Cinghiali in aumento in tutta Europa, ma la caccia non riesce a contenerli

Il caso dei Colli Euganei (e italiano). Ma le ricette per risolvere il problema sono spesso opposte

[21 Maggio 2015]

Secondo lo studio “Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe”, pubblicato su Pest Management Science, i cinghiali si stanno diffondendo rapidamente non solo in Italia: «In tutta Europa, i numeri dei cinghiali sono aumentati negli anni ’60 e ‘70, ma si sono stabilizzati negli anni ‘80; recenti evidenze suggeriscono che il numero e l’impatto del cinghiale è cresciuto costantemente dagli anni ‘80».

Essendo la caccia a principale causa di mortalità per questa specie (Sus scrofa), i ricercatori guidati dalla biologa Giovanna Massei, che si occupa di fauna selvatica per il National Wildlife Management Centre – Animal and Plant Health Agency (APHA) di York, in Gran Bretagna, hanno analizzato gli abbattimenti di cinghiali ottenuti con la caccia e tendenze della popolazione di cacciatori in 18 paesi europei dal 1982 al 2012. Poi i ricercatori hanno utilizzato i dati statistici della caccia e il numero di cacciatori come indicatori del numero di animali e della pressione venatoria e dicono che «I risultati hanno confermato che il cinghiale è aumentato costantemente in tutta Europa, mentre il numero dei cacciatori è rimasto relativamente stabile o è diminuito nella maggior parte dei Paesi». La conclusione è che  «La caccia ricreativa non è sufficiente a limitare la crescita della popolazione di cinghiale e l’impatto relativo della caccia sulla mortalità cinghiale è diminuito. Anche altri fattori, come inverni miti, la riforestazione, l’intensificazione della produzione agricola, l’alimentazione supplementare e le risposte compensative alla pressione venatoria della popolazione di cinghiale potrebbero spiegare la crescita della popolazione.  Dato che le popolazioni continuano a crescere, a meno che non si inverta questa tendenza, sono attesi più conflitti uomo-cinghiale selvatico. Nuovi approcci interdisciplinari sono urgentemente necessari per mitigare i conflitti uomo-cinghiale, che sono altrimenti destinati a crescere ulteriormente».

Michele Favaron, del Gruppo d’Intervento Giuridico – Padova, fa notare una contraddizione – peraltro rilevata spesso sulle pagine di greenreport.it riguardo alla situazione toscana –  che è questa: «Ci aspetteremmo che ciò stia in un rapporto inversamente proporzionale con il numero di cacciatori. In poche parole: più cacciatori, meno cinghiali; più cinghiali, meno cacciatori. Fuorviante semplificazione».

Favaron fa l’esempio del Veneto, «Dove è stato sfornato un esercito napoleonico di “selecontrollori” (cacciatori) per la caccia al cinghiale? Come giustificare 15 anni di fallimenti dei piani di abbattimento dei cinghiali sui Colli Euganei? Come discolparsi per quasi diecimila animali uccisi in un un’area naturale protetta”? Come scusare milioni di euro sprecati e l‟aver permesso a 67 cacciatori locali di sparare nel Parco? Come motivare l’impiego a tempo pieno dei 30 operai forestali regionali (ora, per giunta, lasciati a casa) per dare la caccia ai cinghiali sui Colli Euganei? Come rileggere i proclami di Coldiretti e CIA che chiedevano (e chiedono!) di sparare di più? È chiaro come il sole (e lo era già da anni!) che la caccia, con tutto il suo bagaglio di corruttele, torbidità e totale assenza di rigore metodologico, non poteva e non può essere una risposta al contenimento numerico dei cinghiali, così come dei daini dei Colli Euganei. Leggere correttamente i dati delle uccisioni dei cinghiali sui Colli Euganei ammoniva da tempo, non solo sull’inefficacia dalla caccia, ma addirittura sull’aggravamento della situazione dovuto ad essa».

Favaron forse generalizza ed altre esperienze sembrano aver avuto più successo, ma la morale della favola che v ne trae per quanto riguarda la situazione he sembra conoscere meglio è  che «Da febbraio 2015 l‟Ente Parco Colli Euganei ha svuotato completamente le proprie casse e non ha più un soldo da dilapidare per ammazzare quasi un migliaio di cinghiali all’anno. I 30 operai forestali regionali, impiegati in “nobili” operazioni di abbattimento e di trasporto degli animali selvatici al macello, non sono stati riassunti dalla Regione Veneto. I cinghiali si possono contattare facilmente anche nelle zone più esterne del Parco: Abano e Montegrotto Terme ad esempio. E il vicepresidente del Parco, Lucio Trevisan, cosa fa? Va in Prefettura a chiedere l’impiego degli agenti del Corpo Forestale dello Stato e della Polizia provinciale (già irreperibili per emergenze e compiti di loro competenza) nonché lo stanziamento di altre somme di denaro e l’assunzione di altri uomini per…sparare ai cinghiali!»

Favarn conclude riproponendo una misura controversa e che molti – anche tra gli ambientalisti – ritengono troppo dispendiosa e inefficace, soprattutto per l’immediata protezione della biodiversità duramente colpita dalla presenza di cinghiali introdotti nelle aree protette: «Rimangono invece inascoltati e da sempre derisi tutti gli appelli e le proposte dei protezionisti che, ormai da tempo chiedono, ad amministratori, politici e a tutta la collettività, di destinare risorse e denaro unicamente al controllo della fertilità degli ungulati: efficace, duraturo, incruento e perfino più economico sul lungo periodo! (spesso le uniche azioni sensate hanno programmazione, durata ed efficacia pluriennale). Ma del resto, cosa potremmo aspettarci: proprio come gli economisti che incitano ad “uscire dalla crisi” con le stesse ricette che la crisi l’hanno causata; allo stesso modo il vicepresidente Trevisan propone di “aumentare la dose di droga”, non di smettere di prenderla».