Cosa c’è nella plastisfera del Santuario dei Cetacei: batteri e alghe potenzialmente pericolosi

Da Pelagos Plastic Free nuove e importanti informazioni su un nuovo ecosistema marino che minaccia i cetacei

[20 Settembre 2019]

Secondo Expèdition Med e Legambiente, la plastisfera si può definire «un nuovo ecosistema marino sviluppatosi intorno ai rifiuti plastici, composto da microorganismi potenzialmente dannosi per pesci, uccelli e mammiferi marini».  Dalla superficie del mare ai fondali marini i rifiuti plastici rappresentano oltre l’80% del marine litter. Un impatto fortemente negativo per pesci, uccelli e mammiferi marini. Questo non solo a causa degli additivi tossici di cui è composta la plastica e per la sua grande diffusione in mare ma anche per quanto può portare con sé. Un vero e proprio ecosistema in miniatura che si sviluppa sulla superficie dei rifiuti plastici, composto da batteri, alghe e virus, alcuni potenzialmente pericolosi per gli organismi marini.

E Pelagos Plastic Free, il progetto realizzato dalle due associazioni e finanziato dal Segretariato Pelagos e da Unicoop Firenze, Novamont, Mareblu e dai Parchi nazionali dell’Arcipelago Toscano e delle Cinque Terre, si è concentrato sulla plastisfera dell’area marina del Santuario Pelagos tra Toscana, Liguria, Corsica e Costa Azzurra.

Il progetto è infatti nato per contrastare l’inquinamento del mare dalla plastica per salvaguardare la biodiversità dell’area protetta del Santuario di Pelagos, un accordo internazionale tra Italia, Principato di Monaco e Francia. Oggi, durante una conferenza stampa al Salone Nautico di Genova, sono stati presentati l’attività di ricerca e i dati inediti raccolti che «rappresentano un passo in avanti nell’ambito dello studio della plastisfera, un lavoro che fornisce le basi per future linee di ricerca». Parallelamente all’attività scientifica, Pelagos Plasti Free ha anche coinvolto gli enti locali, per migliorare la gestione dei rifiuti e prevenirne la dispersione in mare e sensibilizzato gli operatori del mare e le scuole sul marine litter.

Tosca Ballerini, coordinatrice scientifica ExpéditionMed, ha sottolineato che «Grazie al progetto Pelagos Plastic Free abbiamo raccolto una serie di campioni preziosi dalle acque superficiali del santuario e dai fiumi e porti che vi si affacciano. Con l’aiuto di un team di ricerca internazionale e multidisciplinare abbiamo acquisito nuove informazioni sulla quantità e il tipo di rifiuti plastici che galleggiano nelle acque del Santuario. Soprattutto abbiamo potuto studiare le comunità microbiche che colonizzano i rifiuti plastici, compresi gruppi di microorganismi potenzialmente dannosi per pesci, uccelli, mammiferi marini. Oltre ai batteri, il nostro studio ha incluso anche i dinoflagellati, un gruppo di alghe unicellulari all’interno del quale si trovano alcune specie capaci di dare origine a fioriture algali tossiche. Il Santuario Pelagos è ricco di biodiversità, ma è anche una delle zone con la più alta concentrazione di rifiuti plastici al mondo. Per preservare la biodiversità del santuario è necessario prevenire un ulteriore inquinamento da plastica».

Per analizzare e tracciare il profilo della plastisfera del Santuario Pelagos è stato condotto uno studio scientifico multidisciplinare, in collaborazione con diversi istituti di ricerca europei, quali il Nioz Royal Netherlands Institute for Marine Research, l’università di Amsterdam, le italiane Enea e Stazione Zoologica Anton Dohrn. I ricercatori spiegano che «L’obiettivo dello studio era caratterizzare le comunità microbiche che si sviluppano sui rifiuti plastici in mare, nei fiumi e nei porti, e confrontarle con quelle che vivono libere nell’acqua di mare, dei fiumi e dei porti, per capire il ruolo della plastica nella diffusione di vari gruppi di microrganismi. L’attività di raccolta dei campioni di plastiche galleggianti sulla superficie del mare è stata condotta attraverso un’attività di citizen science tra luglio e agosto del 2018 a bordo del veliero Ainez che ha toccato diversi punti dell’area di studio inoltrandosi fino alla foce del fiume Arno, in Toscana, del fiume Golo, in Corsica, e del fiume Var, in Costa Azzurra, e i porti di Marina di Pisa, di Bastia e di Nizza».

Dall’analisi della composizione chimica i polimeri più presenti sono risultati «il polietilene per il 50%, il polipropilene per il 24%, e l’11% di polistirene e polistirene espanso».

Poi i ricercatori sono passati  allo screening del DNA dei vari tipi di microorganismi sviluppatisi sulle plastiche e dicono di aver «analizzato milioni di sequenze di DNA specifiche, relative a potenziali organismi patogeni, inclusi quelli che colpiscono i mammiferi marini. Ad esempio, sono state ricercate diverse famiglie di batteri, tra cui il genere Vibrio, nel quale alcune specie sono responsabili di malattie gastrointestinali nei pesci e organismi filtratori, nonché, nel caso di Vibrio cholerae, portatori del colera nell’uomo; Escherichia, nel quale diverse specie sono patogene; gruppi di fitoplancton dinoflagellati (alghe unicellulari) come Gonyaulax, Karenia e Pseudo-nitzschia, che possono causare fioriture algali dannose e produrre tossine in quantità tali da accumularsi nella rete trofica e avere impatti su pesci, uccelli e mammiferi marini. Gli organismi potenzialmente dannosi sono stati rinvenuti su molti campioni di plastica con concentrazioni variabili».

Al di là dei numeri, il dato fondamentale emerso dall’attività scientifica è che «Le comunità microbiche sviluppate sui rifiuti plastici variano da zona a zona e sono differenti da quelle che vivono libere nell’acqua marina o nelle acque dei porti o dei fiumi. I meccanismi capaci di creare queste differenze non sono ancora noti, ma i dati raccolti confermano che i rifiuti plastici rappresentano un nuovo ecosistema marino che ha la capacità di influenzare l’abbondanza delle varie specie di microorganismi».

Il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani. Ha ricordato che «La cattiva gestione a monte è la principale causa della dispersione dei rifiuti in mare. Per questo il progetto Pelagos Plastic Free, oltre al monitoraggio scientifico, si è concentrato sulle attività di sensibilizzazione e informazione delle amministrazioni e degli operatori del mare, senza tralasciare il coinvolgimento dei più giovani con le attività nelle scuole, per diffondere le pratiche più virtuose di gestione dei rifiuti e per limitare la diffusione e la dispersione dei rifiuti plastici, agendo sui processi di riutilizzo, riciclo e corretto smaltimento. In attesa che il nostro Paese recepisca la direttiva sulle plastiche monouso, pubblicata a giugno 2019, alzando l’asticella con obiettivi e target di riduzione ancora più ambiziosi, e che il Parlamento approvi il disegno di legge Salvamare per permettere ai pescatori di fare gli spazzini dei fondali marini, possiamo impegnarci anche singolarmente: sindaci, scuole, singoli operatori, ognuno di noi può fare qualcosa per cambiare il proprio stile di vita anche diminuendo la produzione dei rifiuti e la loro quantità da smaltire».

La media dei rifiuti plastici rinvenuti nelle 60 stazioni di campionamento in mare effettuate da Pelagos Plastic Free è di oltre 114.000 per ogni Km2 di superficie marina monitorata, l’805 è rappresengtato da microplastiche  (di dimensioni inferiori ai 5 mm). I ricercatori fanno notare che «I rifiuti vengono trasportati dalle correnti marine così come il plancton e questo determina il loro accumulo nelle zone in cui si nutrono le balenottere comuni. Le concentrazioni maggiori sono state rilevate nel canale di Corsica, a nord dell’Isola di Capraia, e lungo la Costa Azzurra, a sud di Mentone». Per quanto riguarda il monitoraggio dei rifiuti spiaggiati, effettuato attraverso la citizen science, ha riguardato 17 spiagge tra Toscana e Liguria e «Su più di 30mila metri quadri di superficie ispezionati sono stati rinvenuti oltre 14mila rifiuti costituiti per l’87% da plastica, per una media di 857 oggetti ogni 100 metri lineari di litorale. La cattiva gestione dei rifiuti urbani è la causa principale della loro presenza sulle spiagge. Per quanto riguarda i rifiuti maggiormente presenti, il 29% è rappresentato da frammenti di plastica da 2,5 a 50 cm, il 13% da pezzi di polistirolo, il 10% da mozziconi di sigaretta, il 9,3% da tappi, coperchi e anelli di plastica e il 5,4% da bastoncini cotonati per la pulizia delle orecchie (cotton fioc)». Dati e numeri che Legambiente trasferirà al programma Marine Litter Watch dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Sempre nell’ambito contrasto all’inquinamento del mare causato dalla plastica, Legambiente ed ExpaditionMed  hanno coinvolto diversi rappresentanti delle amministrazioni locali riuscendo a farli aderire a linee guida che gettano le basi per migliorare la gestione dei rifiuti urbani. L’altro fronte del progetto Pelagos Plastic Free si è concentrato sull’attività nelle scuole con workshop e attività di laboratorio che hanno coinvolto insegnanti e studenti riscuotendo un gran numero di adesioni. Stesso discorso per quanto riguarda la sensibilizzazione degli operatori del mare (dalle comunità di pescatori ai diving center) con cui sono stati siglati protocolli d’intesa per salvaguardare la biodiversità in mare oltre che impegnarsi in attività concrete come la pulizia dei fondali. Durante l’evento al Salone Nautico di Genova è stata presentata la bandiera “La mia barca è Plastic free” in collaborazione con Ucina Confindustria Nautica e la rivista mensile Nautica. Sarà il “marchio” per i diportisti che sceglieranno di schierarsi contro l’inquinamento del mare riducendo l’utilizzo di plastica usa e getta a bordo della propria imbarcazione.