Covid-19: perché tagliare i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo e alla biodiversità è una pessima idea

L'agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile come prevenzione della pandemia (e dell’immigrazione)

[28 Aprile 2020]

Il legame tra la distruzione della biodiversità, la povertà e l’aumento del rischio di ulteriori pandemie come quella del Covid-19  dimostra che l’umanità è a un punto di svolta: deve preservare quel che resta delle aree naturali, in particolare le foreste tropicali con la loro enorme biodiversità, anche per proteggersi e può farlo solo se sconfigge la povertà endemica che porta a invadere quelle aree naturali  e ad abbattere quelle foreste. Come ha scritto Ludwig Trepl della Ludwig-Maximilians-Universität München, «La salute umana non può essere garantita senza un ecosistema altrettanto sano».

E’ per questo che, come evidenzia Sebastian Niessen, co-responsabile del programma Asia del think tank svizzero Foraus, diversi Paesi si sono rivolti all’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem  (ipbes) per ottenere un  supporto alla loro politica di prevenzione della pandemia. La protezione della biodiversità sulla Terra è uno dei 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile che si è data l’Onu: la cosiddetta agenda 2030. Inoltre, numerosi scienziati negli ultimi mesi hanno ribadito che, oltre alle protezioni della natura già in atto, sono necessarie ulteriori misure per proteggersi dalle pandemie. Secondo il virologo statunitense Nathan Wolfe, fondatore e presidente di Metabiota e global leader  di World Economic Forum Young WEF Young Nathan, il maggior rischio viene dai cacciatori di sussistenza, cioè che caccia per il proprio sostentamento, che entrano in contatto con pericolosi virus animali perché per loro il rischio di infezione è minore del rischio di non nutrire le loro famiglie. Quando questi virus fanno il salto di specie animale –  uomo. Come era già successo prima del Covid-19 con altri coronavirus e con Ebola, può innescarsi una pandemia che, partendo dalle aree più povere e remote del mondo, alla fine può avere pesantissimi effetti economico-sociali sui Paesi ricchi e sulle grandi potenze mondiali come Cina e Usa,

Elizabeth Maruma Mrema, segretaria esecutiva della Convention on Biological Diversity (Cbd) è convinta che ai cacciatori di sussistenza deve essere offerta un’alternativa risetto a misure come quella di vietare semplicement i mercati della selvaggina che potrebbero avere l’effetto indesiderato di far aumentare il del commercio illegale. Come fa notare Niessen sul suo blog, la vera sfida è quindi «la povertà nel sud globale, la lotta alla quale si riflette anche in diversi obiettivi dell’Agenda 2030. Al fine di prevenire ulteriori pandemie, questi obiettivi dovrebbero essere maggiormente affrontati».

E’ il contrario della strategia politica messa in atto in questi difficili settimane o mesi dalla no-destra, dai partiti neofascisti e da alcuni governi, con in testa quello statunitense.

In Italia è per esempio circolata sui social network e in particolare su WhatsApp un messaggio scandalizzato – mirato soprattutto a screditare il ministro degli esteri Luigi Di Maio – che condannava la concessione di un finanziamento per lo sviluppo alla Colombia asserendo che erano soldi sottratti agli italiani impegnati nella lotta al coronavirus. Si tratta di messaggi ispirati e rilanciati dagli stessi Partiti che fino a pochi giorni fa teorizzavano l’”Aiutiamoli a casa loro” come dimostrazione che la loro non è una politica razzista e xenofoba. Ma la cosa non riguarda certo solo Lega (ex Nord) e Fratelli d’Italia) sembra una strategia della “internazionale” della destra che segue Trump in tutte le sue iniziative sovraniste che lo hanno portato a uscire dall’Accordo di Parigi, a tagliare i fondi per lo sviluppo ai Paesi poveri, ad uscire dall’Unesco e a chiudere i finanziamenti all’Organizzazione mondiale della sanità… tutte iniziative che, come hanno sottolineato in molti, hanno lasciato spazio libero all’attivismo della politica estera cinese che sta riempiendo gli spazi lasciati liberi dagli Usa nei Paesi in via di sviluppo (e non solo).

Niessen  fa l’esempio della strategia che sta attuando la Schweizerische Volkspartei /Unione Democratica di Centro (SVP, che in realtà rappresenta la destra svizzera) che «Chiede che i fondi per lo sviluppo vengano dimezzati per il periodo 2021-2024. Denaro il cui obiettivo esplicito è la riduzione della povertà. Paradossalmente, l’SVP giustifica la sua pretesa con l’attuale crisi del coronavirus  Al fine di prevenire ulteriori pandemie, questi obiettivi dovrebbero essere affrontati maggiormente».

Ma a preoccupare Niessen  è soprattutto la crisi della biodiversità che presenta diversi rischi per quanto riguarda le potenziali pandemie future: «Se gli habitat naturali degli animali selvatici, cioè i possibili portatori di virus, si riducono attraverso le monoculture, si avvicinano sempre più alle piantagioni e agli insediamenti umani. Noi in Europa non siamo del tutto innocenti». Nell’ultimo Sustainable Development Report della Bertelsmann Stiftung e dell’United Nations sustainable development solutions Network (Unsdn) la Svizzera è altri Paesi europei sono stati ritenuti a forte rischio per quanto riguarda l’indicatore “minacce alla biodiversità importate”.

Nello studio “International trade drives biodiversity threats in developing nations”, pubblicato nel giugno 2012 su Nature da un team dell’università di Sydney guidato da Manfred Lenzen e del quale faceva parte anche Leonarda Lobefaro dell’università  di Bari, si metteva in guardia sul fatto che le attività angtropiche stanno causando la sesta estinzione di massa, con un declino accelerato della diversità biologica »a tassi da 100 a 1.000 volte i livelli pre-umani». La conclusione era che «Escludendo le specie invasive, abbiamo scoperto che il 30% delle minacce globali alle specie sono dovute al commercio internazionale. In molti Paesi sviluppati, il consumo di caffè, tè, zucchero, tessuti importati, pesce e altri manufatti causano un’impronta sulla biodiversità che è più grande all’estero che all’interno. I nostri risultati sottolineano l’importanza di esaminare la perdita di biodiversità come fenomeno sistemico globale, invece di considerare isolatamente i produttori degradanti o inquinanti. Prevediamo che i nostri risultati faciliteranno una migliore regolamentazione, certificazione sostenibile della catena di approvvigionamento ed etichettatura dei prodotti di consumo».  Su questo ultimo punto, negli ultimi 8 anni i risultati ottenuti non sono stati quelli sperati dagli scienziati.

Niessen fa notare che «La protezione della biodiversità non è quindi l’unico problema della politica ambientale: approcci possono essere trovati anche nel diritto commerciale e degli investimenti». Possibili percorsi attuali e futuri comprendono valutazioni della sostenibilità della globalizzazione e del libero scambio delle merci, le commissioni globali che si occupano di  compatibilità tra gli accordi ambientali e gli accordi sulla protezione degli investimenti o i tribunali arbitrali  e l’esperto svizzero è convinto che sia necessario «Un maggiore utilizzo dell’articolo 31, paragrafo 3, lettera c), della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che consente di tenere conto della normativa ambientale nelle controversie in materia di investimenti».

Anche le misure che iniziano dal lato della domanda possono essere promettenti, ma  anche associazioni di categoria come la Schweizer Bauernverband/Associazione Svizzrera dei Contadini stanno prendendo la strada opposta e come l’SVP (per la quale votano molti agricoltori svizzeri)  giustifica le sue richieste con la crisi del Coronavirus. Niessen  spiega che «In risposta alla prevista riforma agricola del Consiglio federale, che impone requisiti ecologici più rigorosi per l’agricoltura (ad esempio più territorio per la biodiversità), l’associazione degli agricoltori vuole invece aumentare la produzione interna».  Ma c quello che sembra comprensibile a prima vista (come si è visto anche produrre all’estero può anche avere i suoi rischi) a un secondo sguardo più attento si rivela controproducente. Secondo il think tank Vision Landwirtschaft , «Con i miliardi di franchi del contribuente, la politica agricola svizzera 8attuale) spinge l’agricoltura nella direzione opposta, verso una produzione sia molto nociva per l’ambiente che troppo intensiva e terribilmente dipendente dallo Stato. Non un solo obiettivo obbligatorio dello sviluppo sostenibile è stato raggiunto finora dalla politica agricola. Anche dal punto di vista economico è un disastro. Spinta da incentivi inopportuni dello Stato, l’agricoltura svizzera oggi non guadagna più nemmeno un  centesimo dalla sua produzione. È troppo cara e troppo intensiva. I fornitori onnipresenti realizzano sempre più maggiori affari con l’agricoltura svizzera di quanto l’agricoltura svizzera intasca con la sua produzione. E’ chiaro che il reddito agricolo ora proviene solo dal denaro statale». Una situazione che, fatte le dovute differenze, e tenuto conto dei diversi contesti, si ritrova anche in gran parte dell’Unione europea e negli Usa.
Nonostante gli agricoltori svizzeri siano convinti che il loro problema siano gli aiuti ai Paesi in via di Sviluppo, l’esperto agricolo Urs Niggli in un’intervista alla Neue Zürcher Zeitung  fa notare che in realtà problemi come la perdita di biodiversità, l’uso eccessivo di fertilizzanti e i cambiamenti climatici sono rimasti irrisolti e che il modo migliore per affrontarli è proprio quello di riforma della politica alimentare e l’appoggio a iniziative federali popolari come “Acqua potabile pulita e cibo sano – No alle sovvenzioni per l’impiego di pesticidi e l’uso profilattico di antibiotici”.

NIessen conclude: «E’ sempre più evidente che nella lotta contro le pandemie, un’ampia varietà di settori politici sono strettamente collegati. Il desiderio di risposte semplici che sembrano seguire il buon senso è comprensibile. Tuttavia, le risposte semplici possono spesso ottenere il contrario di ciò che sostengono di volere. Queste interazioni tra diversi settori e obiettivi politici si riflettono anche nell’Agenda 2030 che offre quindi un approccio sistemico, che ha anche un ruolo da svolgere nella prevenzione della pandemia e può rendere giustizia alla complessità dei processi coinvolti».