Defaunazione e REDD+: nel bilancio del carbonio delle foreste mancano gli animali

La "sindrome della foresta vuota": La caccia nelle foreste tropicali costituisce una minaccia per il clima

[2 Maggio 2019]

Il progetto Reducing emissions from deforestation and forest degradation (REDD+) è al centro delle iniziative della comunità internazionale per combattere il cambiamento climatico ponendo fine alla deforestazione e proteggendo le foreste. Il REDD, che stato negoziato per la prima volta quasi 15 anni fa e nel 2015 ha preso l’attuale forma del REDD+, è un ambizioso, programma planetario verso il quale non sono mancate critiche di ambientalisti e scienziati ma che è stato comunque un risultato politico straordinario. Ma secondo lo studio  . “Not Seeing the Forest for the Trees: The Oversight of Defaunation in REDD+ and Global Forest Governance” pubblicato su Forests  dal biologo svedese Torsten Krause dell’università di Lund e dall’economista amvbientale danese Martin Reinhardt Nielsen dell’università di Copenhagen, al REDD sembra mancare qualcosa di essenziale: gli animali.

Secondo Krause e Nielsen, l’errore di fondo è che «Gli ecosistemi forestali vengono ridotti al loro contenuto di carbonio. Nonostante la retorica sui co-benefici per la biodiversità, la fauna non viene considerata una componente funzionale delle foreste. In tutto il mondo in via di sviluppo, nelle foreste che sono al centro di REDD+ la caccia eccessiva ha ridotto drasticamente le popolazioni di mammiferi di grandi e medie dimensioni. Questo fenomeno ampiamente documentato ha portato a quello che alcuni scienziati chiamano “sindrome della foresta vuota”. Questo è preoccupante non solo perché l’estinzione e l’eradicazione sono una tragedia in linea di principio, ma anche perché riduce il potenziale di stoccaggio del carbonio delle foreste».

Infatti, i mammiferi scomparsi sono proprio quelli che mangiano i frutti degli alberi più grandi e che dopo ne defecano i semi, disperdendoli nei territori insieme a una buona dose di fertilizzante. La distruzione di questo  ciclo altera la composizione delle foreste, dove predominano alberi “minori”,  con un calo della biomassa totale e quindi con una diminuzione dello stoccaggio di carbonio.

Si tratta di un processo complesso e le stime scientifiche sulla diminuzione della biomassa variano ampiamente: si ritiene che nell’Amazzonia brasiliana, la defaunazione sia collegata alla perdita tra il 3 e il 38% della superficie coperta da biomassa. Una simulazione computazionale della defaunazione in Africa, India e Sud America ha evidenziato una diminuzione della biomassa tra il 2 e il 12%. Per Krause e Nielsen  questi dati dimostrano che «La defaunazione minerà gli sforzi di REDD+ per la mitigazione dei cambiamenti climatici. La caccia nelle foreste tropicali costituisce una minaccia per il clima».

Un problema di cui non tiene conto il monitoraggio delle foreste REDD+ che si basa in gran parte sulle misurazioni satellitari della copertura forestale, mentre sia la biodiversità che la minaccia della perdita di animali ricevono solo un’attenzione episodica.

Krause e Nielsen hanno esaminato sia i documenti di pianificazione REDD+ di alto livello sia gli sforzi nazionali di implementazione in Colombia, Ecuador, Nigeria, Tanzania e Indonesia e hanno scoperto che i documenti top-level menzionavano solo superficialmente la biodiversità, mentre erano del tutto assenti la defaunazione e la caccia e le conseguenti implicazioni per lo stoccaggio del carbonio, I due ricercatori dicono che la biodiversità compare nei piani nazionali, ma «La fauna e la caccia vengono raramente menzionate e nessun singolo documento menzionava tutti e tre i termini».  Come se non bastasse, dei rapporti annuali della Forest Carbon Partnership Facility – una coalizione di governi, imprese, società civile e gruppi indigeni che fanno attività REDD+ – «Nessuno entra nel dettaglio di ciò che costituisce la biodiversità o menziona la caccia come una minaccia alla fauna forestale».

Krause e Nielsen hanno scoperto che i progetti locali sub-nazionali hanno maggiori probabilità di prendere esplicitamente in considerazione la biodiversità e la caccia, ma anche che «Il collegamento con lo stoccaggio del carbonio è raramente esplicito, e la direzione di livello superiore è carente».

Perché queste omissioni? Krause e Nielsen ipotizzano che «La biodiversità avrebbe aggiunto un ulteriore livello di complessità ai negoziati REDD+, già criticati per essere eccessivamente tecnocratici e complicati. Bastava sperare che la semplice protezione delle foreste avrebbe salvaguardato anche gli animali che ci vivevano».

In precedenza REDD+ era stato anche criticata perché presterebbe troppa attenzione al benessere delle persone, in particolare delle popolazioni indigene, che si affidano alle foreste per il loro sostentamento e, dato che la caccia è importante per motivi dietetici e culturali, mettere in risalto la salvaguardia della fauna selvatica potrebbe rivelarsi  una questione delicata. Ma non sono certo i popoli autoctoni a rappresentare un pericolo per la fauna, visto che per millenni la hanno gestita quasi sempre in maniera sostenibile, come abbiamo più volte scritto su greenreport.it, nei Paesi in via di sviluppo la richiesta di carne di selvaggina (e il bracconaggio) è aumentata con l’urbanizzazione e la crescita della classe media.

La defaunazione comunque è un problema sempre più preoccupante e Krause e Nielsen sollecitano i responsabili politici e le persone coinvolte in progetti forestali sostenibili a «trovare modi per affrontare la defaunazione in modi che siano equi per le persone proteggendo la biodiversità e, alla fine, la capacità delle foreste di combattere il cambiamento climatico. L’assunto che la copertura forestale e la protezione dell’habitat equivalgano a un’efficace conservazione della biodiversità è fuorviante e deve essere messo in discussione. Altrimenti, c’è il rischio di perdere la foresta per avere gli alberi».