Dopo Cecil, il vero problema dei leoni africani non sono i safari

In 20 anni scomparsa la metà di questi grandi felini a causa della frammentazione degli habitat

[4 Agosto 2015]

La barbara uccisione di Cecil, il leone dalla criniera nera diventato uno dei simboli dello Zimbabwe, ha riacceso i riflettori sul declino di questi potenti felini in Africa, ma in un articolo su The Conversation, ripreso anche dall’Ecologist, Lochran Traill e Norman Owen-Smith, del Centre for African Ecology dell’università sudafricana di Witwatersrand, scrivono che il problema più grosso per i leoni non sono i safari ma  la cattura con le trappole  e la frammentazione dei loro habitat.

Traill e Owen-Smith  sottolineano che «Gran parte dell’attenzione generata dalla scomparsa del leone Cecil sembra legata al fatto che era un membro di una specie carismatica, che la sua specie è minacciata e dalla natura della sua morte. Ma ora che Cecil, un abitante dell’Hwange National Park nello Zimbabwe, è scomparso come possiamo garantire che tali eventi non si ripetano? Non è semplicemente con il divieto di caccia».

I due ricercatori sudafricani sanno bene che i safari di caccia o l’abbattimento selettivo di animali sulla base di una caratteristica desiderabile è una questione «profondamente polarizzante» e che «I punti di vista etici contro l’uccisione deliberata di animali per sport sono quel che determina la risposta dell’opinione  pubblica che vediamo ora» e che anche «I biologi hanno delle preoccupazioni circa gli esiti evolutivi indesiderati che possono derivare dalla uccisione di singoli “prime” animali. Questi animali sono in genere i maschi che presentano una caratteristica desiderabile, come una grande criniera. Gli ambientalisti sono preoccupati che la caccia possa provocare consanguineità, o portare sull’orlo dell’estinzione le popolazioni di specie rare isolate nelle aree protette». Ma Traill e Owen-Smith  difendono i safari perché nella maggior parte dei Paesi africani  sono «un’attività giuridicamente sanzionata» e perché la caccia produce reddito. I cacciatori e cacciatrici sportivi che vanno in Africa rappresentano un giro d’affari diretto di 201 milioni di dollari all’anno, poi ci sono altri moltiplicatori economici accessori. Nell’Africa sub-sahariana gli operatori di safari gestiscono 1,4 milioni di km2, che superano di oltre il 20% la superficie dei Parchi nazionali dei Paesi dove la caccia è consentita .

Secondo Traill e Owen-Smith, «I conservazionisti riconoscono che, dove l’ecoturismo può essere impraticabile, il trophy hunting contribuisce alla protezione del territorio. I divieti di safari di caccia in Kenya (dal 1977 in poi), Tanzania (1973-1978) e Zambia (2000-03) sono stati associati a una perdita accelerata di fauna selvatica, non al contrario. Il dimezzamento della popolazione dei leoni in Africa nel corso degli ultimi 20 anni non è il risultato del trophy hunting. I leoni africani sono in declino a causa dei classici drivers dell’estinzione, cioè perdita di habitat, conflitto uomo-fauna selvatica e malattie».

Però Cecil non era un leone come gli altri: aveva già 13 anni, «Era ben oltre la normale età riproduttiva per i maschi della sua specie – dicono i ricercatori sudafricani – era cioè quel che chiamiamo leoni senescenti».

I leoni maschi si guadagnano l’opportunità di accoppiarsi solo dopo aver raggiunto almeno i 5 anni di età ed aver sconfitto il maschio dominante del branco. Si tratta di un regno effimero, che dura tra i 2 e i 4 anni, prima che il capobranco venga spodestato da maschi più giovani. Quindi Cecil avrebbe dovuto da un pezzo aver esaurito il contributo genetico che ci si poteva aspettare da lui, prima che un dentista americano gli sparasse dopo averlo attirato fuori dall’Hwange National Park. Probabilmente Cecil avrebbe potuto vivere non molto oltre i 15 anni.

Ma perché Cecil è rimasto il maschio dominante fertile per così tanto tempo? Secondo Traill e Owen-Smith  «Uno dei motivi potrebbe essere che i maschi più giovani che avrebbero potuto contestare il suo dominio erano stati eliminati dai cacciatori che operano nei territori vicini all’Hwange National Park». Infatti, i ricercatori dell’Università di Oxford che seguivano le mosse di Cecil con un radiocollare dicono che il 72% dei maschi dotati di collare all’interno del parco nazionale sono stati uccisi da cacciatori di trofei e che il 30% di quei maschi erano sotto i 4 anni di età. «In questo modo, la caccia che si svolge legittimamente sul territorio al di fuori dell’area protetta sta formalmente pregiudicando non solo la ricerca scientifica, ma anche il ruolo di punta di un parco nazionale per la protezione delle popolazioni vitali di grandi carnivori», ammettono i due scienziati sudafricani. Ma aggiungono che se il cacciatore professionista dello Zimbabwe e il dentista americano suo cliente hanno violato la legge, sarà il sistema giuridico dello Zimbabwe ad occuparsene, ma che, come sanno bene i conservazionisti, non si può rinunciare al denaro portato dai cacciatori perché i costi di gestione e mantenimento delle aree protette sono enormi.

Traill e Owen-Smith sono consapevoli che bisognerebbe impedire che la fauna selvatica, in particolare gli animali più “belli”,  venga attratta con esche fuori dalle aree protette, così come bisognerebbe vietare la realizzazione di poste di caccia ai limiti dei parchi, per questo chiedono di rivedere i confini delle aree protette basandosi sulle zone dove vivono questi animali: «Hanno bisogno di aree contigue e di zone cuscinetto dove la caccia non sia consentita. In alternativa, le aree effettivamente protette all’interno del parco dovrebbe avere attività di non-bracconaggio delle quali le persone possono godere. Forse le attività nella zona cuscinetto potrebbero essere safari a piedi, offrendo l’emozione di incontri con gli animali selvatici, senza l’esito distruttivo associato alla caccia».

Tornando a Cecil, Traill e Owen-Smith, con una convinzione che farà inorridire molti animalisti e ambientalisti, sperano che «La risposta emotiva in tutto il mondo per l’uccisione di questo animale eminente potrebbe potenzialmente portare ad una più efficace raccordo tra i legittimi contributi che la caccia può dare alla conservazione e agli sforzi per inserire abbastanza territorio nelle aree protette per garantire la persistenza a lungo termine delle specie che queste aree dovrebbero proteggere».

Ma i due ricercatori sono convinti che «Qualunque sia l’esito dopo la morte di Cecil, da solo, un punto di vista emotivo, senza compromessi intorno all’etica del trophy hunting, non aiuterà gli sforzi della conservazione in Africa. In effetti, potrebbe anche avere la conseguenza non voluta di indebolirli».