Ecco perché per il Fiume Magra serve un Parco nazionale, spiegato da Rossella Muroni

L’ecologista e deputata LeU ha presentato una proposta di legge per la sua istituzione: «Spero che il ministero dell’Ambiente la sostenga, le politiche per i parchi non sembrano essere una priorità del governo giallobruno»

[10 Luglio 2019]

Un fiume, un parco. Mirando a una più efficace tutela del nostro patrimonio ambientale ho raccolto la richiesta avanzata da Legambiente di superare l’attuale divisione tra Toscana e Liguria e di fare del Fiume Magra un Parco Nazionale presentando una proposta di legge in tal senso.  Perché il Magra è a tutti gli effetti un bacino idrografico unitario, anche dal punto di vista della qualità ecologica e della biodiversità.

Il Parco nazionale interesserà il bacino idrografico del Magra nei territori di interesse naturalistico e ambientale delle province di La Spezia e Massa-Carrara, verrà delimitato con decreto del Ministero dell’Ambiente entro sei messi dall’entrata in vigore della legge istitutiva, sarà finanziato per l’esercizio 2020 con 300 mila euro e a decorrere dall’esercizio 2021 con 1.500.000 euro. Istituire un parco nazionale aiuterà a realizzare sul Magra politiche unitarie e coerenti di tutela della biodiversità, gestione ambientale e difesa del suolo.

Ma per mettere le Aree Protette in condizione di tutelare al meglio il nostro capitale naturale serve dotarle di una governance forte e concreta. Per questo spero che il ministro dell’Ambiente sostenga la proposta di istituzione del Parco Nazionale del Fiume Magra e che da ora in poi il Mattm presti alle nostre Aree protette l’attenzione che meritano. Temo, tuttavia, che dovremo aspettare la prossima maggioranza perché le politiche per i parchi non sembrano essere una priorità del governo giallobruno: tuttora perdurano la paralisi nelle nomine dei presidenti e il commissariamento di numerosi parchi nazionali. E questo nonostante l’estate sia un periodo particolarmente delicato per i nostri Parchi, quando con la bella stagione torna purtroppo anche la recrudescenza degli incendi. Un fenomeno che ogni anno in Italia fa scempio di migliaia di ettari di territorio e di boschi. Se il 2017 è passato alla storia come l’annushorribilis per il nostro patrimonio naturale, con ben 35.000 ettari andati a fuoco in Zone a Protezione Speciale, Siti di Importanza Comunitaria, Aree protette nazionali e regionali, l’anno in corso rischia di non essere da meno.

Le aree protette colpite da incendi nel 2017 sono state davvero tante lungo tutto lo Stivale: i roghi hanno coinvolto 87 SIC (31 Sicilia, 24 Campania, 8 Calabria, 7 Puglia, 5 Lazio, 4 Liguria), 35 ZPS (10 Sicilia, 6 Campania, 5 Calabria, 5 Lazio, 3 Puglia, 1 Liguria) e 45 Parchi e Aree protette (12 Sicilia, 13 Campania, 5 Lazio, 4 Calabria, 4 Puglia, 1 Liguria), tra cui 9 Parchi nazionali, 15 Parchi regionali e 16 Riserve naturali. Come denunciato da Legambiente sono state tante, troppe le aree protette colpite. Citiamo tra tutti il caso limite del Parco Nazionale del Circeo dove in media ogni anno si verificano 17 incendi, molti dei quali di origine colposa.

E l’estate 2019 è iniziata nel peggiore dei modi: il 26 giugno il terzo incendio in meno di 24 ore ha colpito la Riserva di Torre Guaceto, mandando in fumo tre ettari di vegetazione in zona “Macchia San Giovanni”, a nord di Brindisi. Appena tre giorni dopo, un altro incendio è divampato tra Punta della Suina e Lido Pizzo a Gallipoli, in Salento. Episodi che rendono evidente e urgente la necessità di intensificare le attività di controllo, prevenzione e contrasto, con particolare attenzione per le aree già percorse dal fuoco negli anni passati e per le Aree Protette.

Per evitare che l’estate 2019 faccia segnare un nuovo record negativo di roghi ho presentato una interrogazione al Presidente del Consiglio e ai ministri dell’Ambiente, dell’Interno, delle Politiche Agricole per chiedere quale sia lo stato di applicazione del catasto incendi. Questo infatti è uno degli strumenti più efficaci che abbiamo contro la criminalità che specula sui roghi. La legge 353/2000 affida ai comuni il compito di censire annualmente i terreni percorsi dal fuoco, in modo da applicarvi i previsti vincoli che tra l’altro impediscono di cambiarne la destinazione d’uso per almeno 15 anni dopo l’incendio, di realizzare edifici o strutture per insediamenti civili o attività produttive per 10 anni dal rogo. Interdette per 5 anni, salvo autorizzazioni speciali, anche le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche. Rispetto al 2000, inoltre, abbiamo uno strumento in più contro chi minaccia il nostro patrimonio naturale: nei casi più gravi gli incendi possono configurare il reato di disastro ambientale istituto dalla legge del 2015 sugli ecoreati e credo che questa possibilità vada sfruttata in pieno.

In Italia la prevenzione e la lotta attiva agli incendi boschivi è affidata alla Regioni, mentre lo Stato concorre alle attività di spegnimento con gli aerei antincendio. In tale quadro, nel luglio 2018, Vigili del Fuoco, Carabinieri e Ministero dell’Ambiente hanno siglato un protocollo dedicato all’antincendio boschivo a tutela delle Aree Protette Statali, dei Parchi Nazionali e delle Riserve Naturali, mentre a metà giugno il Presidente del Consiglio Conte ha inviato una nota alle Regioni sulla campagna estiva antincendio boschivo. Va bene tutto, vanno bene note informative e protocolli, ma contro i roghi sia alle Regioni che alle Aree protette servono azioni e aiuto concreti, con la massima collaborazione tra tutti i livelli istituzionali. Altrimenti il rischio è di lasciare campo libero a piromani, speculatori ed ecocriminali che sperano di arricchirsi sulle ceneri dei nostri boschi. Per questo nell’interrogazione sollecito anche un piano straordinario con adeguata dotazione di risorse umane e finanziare a supporto delle azioni di prevenzione e spegnimento degli incendi, in particolare a tutela dei Parchi. Sperando che il governo batta un colpo.

di Rossella Muroni, ecologista e deputata di LeU per greenreport.it