Grenada ricostruisce la sua barriera corallina

I danni ai reef hanno conseguenze per importanti servizi ecosistemici regionali

[29 Giugno 2015]

Il piccolo Stato insulare caraibico di Grenada è noto soprattutto per l’invasione militare statunitense del 1983, che pose fine ad una effimera rivoluzione marxista, e per la sua bandiera che contiene il simbolo della “ricchezza” della Nazione: la noce moscata, ma ora Grenada è ritornata agli nori della cronaca perché sta seguendo l’esempio del Belize e della Giamaica ed ha cominciato a lavorare per  ripristinare le barriere coralline, la prima difesa delle sue coste contro le onde sollevate dagli uragani. Nei Caraibi le barriere coralline svolgono un ruolo importantissimo per l’economia turistica, la produzione e la sicurezza alimentare, ma stanno subendo gli impatti dell’aumento delle temperature del mare e dell’inquinamento prodotto dalle attività antropiche.

Kerricia Hobson, project manager della environment division del ministero dell’agricoltura, territorio, forestazione,pesca e ambiente di Grenada, ha spiegato all’IPS: «Quello che faremo attraverso questo progetto è in realtà realizzare vivai di coralli  questa è la prima volta che sarà fatto nell’ambito dell’Organisation of Eastern Caribbean States (Oecs). In realtà creeremo  vivai di corallo dove raccoglieremo corallo vivo da alcune delle colonie sane intorno all’isola. Poi li propagheremo nella nursery e, quando saranno sufficientemente maturo, li pianteremo su strutture di barriera già esistenti».

Il ripristino del reef viene realizzato congiuntamente  dal governo di Grenada e dall’United Nations Environment Programme (Unep) all’interno del Coastal Eco-system Based Adaptation in Small Island Developing States (Coastal EBA Project) e nei gioi scorsi è stato presentato al forum del più ampio Rally the Region to Action on Climate Change (RRACC project) che si occupa della complessità di comunicare il cambiamento climatico e i suoi problemi all’opinione pubblica dei Carabi. La Hobson ha sottolineato che «Grenada ed i suoi vicini caraibici ottengono un sacco di vantaggi economici dai loro ecosistemi costieri, in particolare attraverso il turismo e la pesca, che  forniscono anche una protezione per le coste. Ma un certo numero di fattori hanno portato alla distruzione delle barriere coralline. Molti sono legati al clima, ma alcuni sono il risultato di attività umane. Nei Caraibi storicamente non riconosciamo l’importanza di alcune di queste strutture. Come per le mangrovie, la distruzione di alcune barriere coralline è in realtà dovuta a cose come l’inquinamento che proviene dalle attività a terra.  Per esempio nel nostro settore agricolo c’è la tradizione di allevamenti vicino a fonti d’acqua perché è più facile ottenere l’acqua per le piante e gli animali, ma questo significa anche che quando piove tutti i fertilizzanti in eccesso e le feci degli si sversano nei fiume, dato che viviamo su un’isola, cinque minuti dopo la pioggia, queste cose finiscono sulla barriera corallina. Allora, si finisce per avere un reef che è dominato dalle alghe che invadono le barriere coralline».

Secondo un studio triennale pubblicato nel 2014 da un team internazionale di 90 esperti, ricostruire  le popolazioni di pesci pappagallo e migliorare altre strategie di gestione, come la protezione dallo sfruttamento eccessivo e dall’inquinamento costiero, può aiutare nel recupero delle barrire coralline ed a renderle ancora più resilienti rispetto ai futuri cambiamenti climatici. Uno studio recentissimo ha scoperto che alcune specie di coralli sarebbero in grado di adattarsi molto più velocemente di quanto si credeva al riscaldamento del mare in corso.

Ma intanto in Belize, la copertura di coralli vivi sui reef poco profondi è scesa dall’80% del 1971 al 20% del nel 1996, con un ulteriore calo del 20%  nel 1996 e ha raggiunto il 13% nel 1999. Nel 1980, l’uragano Allen – il peggior uragano ad aver colpito la Giamaica negli ultimi 100 anni – ha devastato le barriere coralline e decimato i suoi ecosistemi. Nel mondo il 75% delle barriere coralline è in pericolo per la pesca eccessiva, la distruzione degli habitat, l’inquinamento e l’acidificazione dei mari causato dal cambiamento climatico. Nel suo quinto rapporto, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) ha scritto che i danni alle barriere coralline hanno conseguenze per importanti servizi ecosistemici regionali: nei reef viene pescato il 10 – 12 % di tutto il pesce dei Paesi tropicali e il 20 .  25 per cento di quello dei Paesi in via di sviluppo. Le barriere coralline contribuiscono a proteggere il litorale dall’azione distruttiva di mareggiate e cicloni, sono la protezione per ka sola terra abitabile di diversi Stati insulari, l’habitat ideale per la creazione e la salvaguardia delle mangrovie e delle zone umide e attirano sempre più turisti.

Il rapporto ipcc sottolinea che tutto questo è minacciato dall’innalzamento del livello del mare, dalla diminuzione della copertura di corallo, dalla diminuzione della calcificazione e dagli alti tassi di dissoluzione e bio-erosione causai dal riscaldamento e dall’acidificazione degli oceani. Secondo l’Ipcc, più di 100 Paesi traggono benefici turistici dalle loro barriere coralline, quindi, con il cambiamento climatico ormai più che evidente, i Paesi dei Caraibi, che dal turismo traggono gran parte del loro reddito, devono cominciare ad agire subito, visto che la loro uura economia si basa sulla loro attuale responsabilità verso le barriere coralline.

Secondo Dale Rankine, un ricercatore dl Caribbean Institute for Meteorology and Hydrology (CIMH) di Barbados, «Ci sono alcune cose paesi devono iniziare a fare subito, se non hanno già iniziato.Una è la  mitigazione, che è limitare davvero la quantità di gas serra. Dobbiamo tutti fare lobby contro i principali responsabili delle emissioni, fare causa comune tra tutti i piccoli Stati insulari che in realtà emettono molto poco. Dobbiamo perseguire una green economy. Anche l’adattamento è importante. Per l’adattamento, dobbiamo valutare il costo dell’azione contro l’inazione nei diversi settori. Il cambiamento climatico non è un add-on. Alcune delle cose che si stanno patrocinio e tutela adattamento ai cambiamenti climatici sono le stesse cose che vogliamo fare per lo sviluppo sostenibile. Quindi non è un di più, davvero qualcosa dal quale dobbiamo difenderci mentre facciamo le stesse cose, ma in un modo più sostenibile. I paesi devono iniziare ad integrare le considerazioni sui cambiamenti climatici in tutta la loro pianificazione dello sviluppo e guardare alla diversificazione nel settore agricolo, perché alcuni delle coltivazioni in futuro non riusciranno a sopravvivere».