I geni persi da delfini e balene per poter vivere in mare

I cetacei si sono sbarazzati di DNA inutile come quello per produrre saliva e peli, dormire o che impedisce le immersioni profonde

[3 Ottobre 2019]

Balene, delfini e focene passano tutta la loro vita nell’oceano (qualche specie di odontoceti anche nei fiumi), ma respirano aria e si sono evoluti da specie terrestri. Gli antenati dei moderni delfini e balene sono passati da una vita terrestre a una acquatica circa 50 milioni di anni fa e questo ha comportato profondi adattamenti anatomici, fisiologici e comportamentali che hanno facilitato la vita acquatica, ma non era ancora del tutto chiaro quali cambiamenti nel DNA siano alla base di questi adattamenti. Un buon contributo a scoprirlo lo dà lo studio “Genes lost during the transition from land to water in cetaceans highlight genomic changes associated with aquatic adaptations” pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori tedeschi, statunitensi e svizzeri che ha sistematicamente cercato geni “persi” nell’antenato delle balene e dei delfini di oggi.

Il team guidato dai ricercatori del Max-Planck-Instituten für molekulare Zellbiologie e del Genetik und für Physik komplexer Systeme e del Zentrum für Systembiologie Dresden ha scoperto 85 perdite di geni – 65 non erano state segnalate in precedenza – alcune delle quali probabilmente hanno aiutato i cetacei a prosperare nel loro nuovo habitat».

Al Max-Planck-Instituten fanno notare che «Dato l’aspetto di una balena o di un delfino, è facile scambiarli con pesci di grandi dimensioni. Tuttavia, proprio come i loro parenti viventi più vicini, come gli ippopotami o le mucche, i cetacei sono mammiferi che respirano aria e i loro antenati evolutivi si sono adattati a trascorrere l’intera vita in acqua. Durante questa transizione dalla terra all’acqua, si sono verificati notevoli cambiamenti nell’anatomia e nella fisiologia. Ad esempio, balene e delfini hanno corpi snelli e hanno perso i peli del corpo per diventare nuotatori più veloci. Hanno sviluppato uno spesso strato di grasso per l’isolamento. I loro arti posteriori sono andati persi mentre evolvevano grandi code da battere per la propulsione. L’aumento delle riserve di ossigeno facilita lunghe immersioni e una cassa toracica flessibile ospita i loro polmoni consentendo loro di non collassare durante le immersioni a profondità di 100 metri e oltre».

Precedenti studi avevano scoperto che i cetacei avevano perso geni che permettono la crescita dei peli e di sudare, ma il team di scienziati, guidato da Michael Hiller del Max-Planck-Instituten, ha effettuato una ricerca sistematica dei geni andati persi durante la transizione evolutiva, esaminando i genomi delle odierne balene, delfini e di altri mammiferi alla ricerca di mutazioni che inattivano i geni. Il principale autore dello studio, Matthias Huelsmann del Max-Planck-Instituten für molekulare Zellbiologie und Genetik e dell’Instituten für Physik komplexer Systeme, spiega: «Abbiamo cercato le mutazioni che si verificano in tutte le balene e i delfini, ma non nell’ippopotamo o in altri mammiferi terrestri. Tali mutazioni condivise ci dicono che il rispettivo gene è andato perso negli antenati delle balene».

Degli 85 geni persi dai cetacei molti sono stati probabilmente “abbandonati” perché la loro funzione non era più utile. «Ad esempio – dicono gli scienziati – in un ambiente acquatico la saliva non è più utile nel lubrificare il cibo, il che probabilmente spiega perché è stato perso un gene coinvolto nella secrezione di saliva».

Sorprendentemente, la perdita di altri geni potrebbe anche aver fornito un vantaggio alle balene ancestrali. Come spiega ancora Huelsmann: «Una perdita genetica che abbiamo scoperto probabilmente migliora il modo in cui le balene riparano un tipo specifico di danno al DNA. Questo tipo di danno al DNA è causato da una grave carenza di ossigeno che le balene affrontano regolarmente durante le immersioni. Se il DNA non venisse riparato correttamente, questo potrebbe portare a tumori o avere altre conseguenze negative».

I cetacei restano spesso a lungo senza la possibilità di assorbire ossigeno fresco. Questo comportamento può causare danni al DNA ma l’enzima che ripara questo tipo di DNA può a sua volta causare seri danni e, dato che i cetacei subiscono frequenti danni al DNA, i ricercatori sospettano che alla fine questo enzima sia stato abbandonato a favore di enzimi riparatori meno dannosi.

Allo stesso modo, le perdite di altri geni probabilmente proteggono i cetacei che si immergono dalla formazione di coaguli di sangue e danni ai polmoni. La coagulazione del sangue, che può sembrare un meccanismo vantaggioso nei mammiferi, tuttavia, quando i cetacei si immergono, i loro vasi sanguigni si restringono e le bolle di azoto rendono più facile il formarsi di un coagulo di sangue più facile, limitando l’afflusso di ossigeno tanto necessario nel flusso sanguigno. Liberare il corpo dai geni della coagulazione rende le immersioni meno pericolose.

Ma nell’ambiente acquatico non sono cambiate solo anatomia e fisiologia dei cetacei ma anche le caratteristiche comportamentali di balene e delfini. In particolare, la necessità di emergere costantemente per la respirazione ha portato a un tipo particolare di sonno: in modo simile agli uccelli migratori, nei cetacei dorme solo la metà del cervello alla volta, mentre l’altra metà coordina il movimento e la respirazione. Ai moderni cetacei mancano 4 geni correlati alla produzione di melatonina, un ormone del sonno e al Max-Planck-Instituten sottolineano: «E’ interessante notare che i ricercatori hanno scoperto che tutti i geni necessari per produrre melatonina, l’ormone che regola il sonno, sono andati persi nelle balene e nei delfini. Queste perdite genetiche potrebbero essere state un prerequisito per l’adozione di questo speciale tipo di sonno». Infatti la melatonina può causare uno stato di riposo più profondo, il che è pericoloso i cetacei, che durante lunghi periodi di inattività possono affondare o annegare.

Mentre gli scienziati evoluzionisti comunemente pensano che i geni sottoutilizzati tendono a scomparire o diventare inattivi durante il processo evolutivo, questo studio suggerisce che i geni potenzialmente pericolosi per un nuovo stile di vita possono anche essere abbandonati o diventare non funzionali.  Michael McGowen, ricercatore e curatore scientifico dei mammiferi marini al National Museum of Natural History della Smithsonian Institution, ha detto allo Smithsonian  Magazine: «Ci sono stati molti studi come questo, ma questo è stato probabilmente il più completo in termini di numero di geni».

Hiller conclude: «Abbiamo trovato nuove prove che la perdita di geni durante l’evoluzione a volte può essere utile, il che supporta i risultati precedenti del nostro laboratorio. suggerendo che la perdita di geni è un importante meccanismo evolutivo».