I puma di Yellowstone e la Morte Nera

Puma, peste e uomini: uno studio indaga sulla diffusione dei patogeni nell'American West

[9 Aprile 2020]

Lo studio “Plague, pumas and potential zoonotic exposure in the Greater Yellowstone Ecosystem”, pubblicato recentemente su Environmental Conservation da L Mark Elbroch e Howard Quigley di Panthera e da T Winston Vickers del Karen C. Drayer Wildlife healthcenter dell’università della California – Davis, è la conclusione di una meticolosa ricerca durata 9 anni che ha esaminato la presenza della peste (Yersinia pestis) nei puma (Puma concolor) , scoprendo che questa malattia era responsabile di un numero significativo di decessi dei puma del Greater Yellowstone Ecosystem (GYE) e che la Morte Nera rappresenta l’ennesima minaccia per la sopravvivenza di questa magnifica specie.

Secondo Panthera, l’ONG internazionale che si occupa della salvaguardia dei felini selvatici, «I risultati suggeriscono anche che la peste può essere più diffusa nella regione di quanto si credesse in precedenza».
Infatti, lo studio ha anche rivelato che «I puma possono servire come utili sentinelle per avvisare le persone del potenziale rischio di esposizione della peste tra le popolazioni umane nell’ovest americano». Inoltre, gli scienziati consigliano tutti, compresi i cacciatori, di fare molta attenzione ad avere contatti ravvicinati con puma vivi o morti e di «Usare cautela dato il raro ma reale rischio di esposizione alla peste».

Lo studio è stato realizzato grazie al Teton Cougar Project di Panthera e i ricercatori dicono che «Ha rivelato che quasi il 7% dei puma adulti e subadulti dello studio è morto a causa della peste, mentre il 36% dei puma ai quali è stata fatta la necroscopia ne erano portatori e il 47% dei puma vivi il ​​cui sangue è stato testato era stato esposto alla malattia. Complessivamente, questi livelli di esposizione sono simili a quelli registrati lungo il versante occidentale del Colorado, adiacente alla regione dei Four Corners, un noto hotspot della peste negli Stati Uniti».

Elbroch, principale autore dello studio e direttore del Panthera Puma Program, ha detto: «Speriamo che queste nuove scoperte possano essere utilizzate per comprendere meglio come la peste abbia un impatto sui puma e sulle persone. Raramente sappiamo quando questa malattia sta aumentando in una popolazione o in un territorio prima che sia troppo tardi. Il monitoraggio della salute e delle posizioni dei puma esposti alla malattia può essere utilizzato per perfezionare le mappe della potenziale esposizione della fauna selvatica e delle persone e, in ultima analisi, proteggere le popolazioni umane».
La peste viene comunemente associata alla “Morte Nera” del XIV secolo, ma non è una malattia del passato: è ancora ben presente e il batterio Yersinia pestis che causa la malattia è rintracciabile nel suolo in tutti gli Usa e in molti altri Paesi. Sebbene la peste venga trovata più comunemente nei roditori e nelle pulci che si sono nutrite di roditori infetti, è stata riscontrata in oltre 200 mammiferi. Si sospetta che i puma e altri carnivori acquisiscano la malattia mangiando roditori o piccoli carnivori infetti che mangiano i roditori con i loro pericolosi ospiti. Gli scienziati sottolineano che «esiste un rischio quasi nullo per le persone di contrarre la peste da un puma a meno che non interagiscano con individui deceduti delle popolazioni di puma nelle quali si è stabilita la peste».

Quigley, direttore esecutivo di Panthera Conservation Science, conclude: «Soprattutto nel bel mezzo dell’epidemia di Covid-19, è importante ricordare che l’uomo e la fauna selvatica sono portatori di malattie e parassiti che attaccano e si espandono grazie a fattori ambientali. Il loro monitoraggio è un altro dito messo per tastare il polso della salute del pianeta. I Puma apportano straordinari benefici ecologici ai loro ecosistemi. Grazie alla loro presenza, i territori interni dell’American West ospitano senza dubbio ecosistemi più sani. Questa ricerca, e si spera ancor più ricerche di questo genere in futuro, ci aiuterà a comprendere la fauna selvatica con la quale condividiamo letteralmente i nostri cortili».