Il cambiamento climatico sta riducendo le possibilità riproduttive degli uccelli migratori europei

I piccoli uccelli migratori raggiungono altezze fino a quasi 6.000 metri, finora si credeva potessero arrivare a 2.000 – 3.000 metri

[8 Novembre 2019]

Gli uccelli migratori compiono alcuni dei viaggi più estremi: attraversano un enorme deserto come il Sahara e interi oceani, ma ci sono ancora enormi lacune nella nostra comprensione di come riescono a percorrere queste vaste distanze e quale impatto ha e avrà il cambiamento climatico sulle loro rotte migratorie.

Stuart Bearhop, un esperto di ecologia animale dell’università britannica di Exeter, spiega su Horizon che «Alcune specie migratrici potrebbero essere influenzate da un clima mutevol. Esistono prove provenienti da diverse popolazioni che probabilmente i cambiamenti climatici avranno un certo impatto sulla loro demografia».

Bearhop è stato a capo del  progetto “Fitness drivers in long-distance migrants: the interacting roles of physiology, social biology, ecological and physical environments” (STATEMIG), che ha studiato la migrazione delle oche colombaccio (Branta bernicla) lungo il loro viaggio dall’Irlanda alle aree riproduttive dell’Artico e ha scoperto che «L’attuale volatilità delle stagioni sta influenzando i livelli di popolazione delle oche perché il tempo stava seminando il caos nei loro schemi di riproduzione. Si prevede che, con il cambiamento climatico e l’aumentare delle temperature, gli anni umidi aumenteranno, ma naturalmente per le oche, poiché si spostano così a nord, questo non significa pioggia, significa neve. Le oche colombaccio hanno maggiori probabilità di riprodursi quando il clima è freddo e sereno, ma quando c’è più neve ci sono meno posti in cui allevare in sicurezza i loro piccoli e nutrirsi».

Il team di STATEMIG ha osservato che negli anni più freddi gli uccelli si riproducevano più tardi nel corso dell’anno, causando effetti a catena sulle loro popolazioni: «Le oche non avevano abbastanza tempo per allevare la loro prole fino all’indipendenza prima dell’inverno, o non c’era abbastanza cibo per sopravvivere – dice Bearhop – Gli anni nevosi hanno visto morire o essere abbandonati dagli adulti più pulcini. Ciò significa che se gli anni nevosi persistono, potrebbe rappresentare un rischio a lungo termine per la popolazione di questi uccelli».

Bearhop ha scelto le oche colombaccio perché seguono una migrazione routinaria e i giovani rimangono con i genitori per almeno un anno: «Questi modelli affidabili rivelano informazioni utili sui livelli di popolazione e su ciò che potrebbe influenzare la loro migrazione».

Per raccogliere i dati di cui avevano bisogno, i ricercatori di STATEMIG hanno osservato le oche in Irlanda e in Islanda prima che gli uccelli volassero nell’Artico per riprodursi verso luglio. E nelle due isole che hanno attaccato i tag di identificazione alle oche e le hanno pesate e misurate. Dati preziosi da utilizzare come punti di riferimento per diversi anni.

Quando le oche sono tornate in Irlanda e in Islanda verso la fine di agosto, con i loro pulcini, i ricercatori hanno potuto confrontare i livelli della loro popolazione e farsi un’idea di come i fattori ambientali avevano modellato le loro migrazioni. Bearhop ricorda che «Probabilmente, ci sono molti fattori che hanno guidato l’evoluzione della migrazione e questi probabilmente differiscono tra le specie e il dibattito è su quali sono più importanti è ancora in corso. Le due ragioni principali per cui gli uccelli migrano sono: a causa di una competizione sul territorio e per trarre vantaggio dagli “impulsi” stagionali della crescita della vegetazione o dall’eccesso di insetti per garantire che abbiano abbastanza cibo per crescere i loro piccoli».

La ricerca di STATEMIG sottolinea l’importanza di quest’ultimo fattore e Bearhop spera che «possa portare a ulteriori ricerche che esplorino come i cambiamenti nei territori di alimentazione influenzeranno le popolazioni di uccelli migratori».

Secondo la danese Sissel Sjöberg, un’esperta di migrazione degli uccelli dell’università di Copenaghen, «Gli scienziati comprendono solo in parte il perché gli uccelli migrano, come sapere dove mangiano e si riproducono, ma non hanno gli strumenti per comprenderli accuratamente durante l’intera migrazione .

Ad esempio, ci sono tag ad alta risoluzione che possono essere posizionati su alcuni grandi uccelli per tracciare la loro posizione, ma questi non si adattano agli uccelli più piccoli che costituiscono la maggior parte di quelli che migrano. Inoltre, questi tag non forniscono approfondimenti su altri aspetti, come l’altitudine o il modo in cui attraversano aree enormi e inospitali in cui potrebbero non essere in grado di atterrare, come il deserto del Sahara o l’Oceano Pacifico».

La Sjöberg è a capo di un altro progetto, il BIRDBARRIER, che sta mettendo su piccoli uccelli che migrano su lunghe distanze, come l’avèrla piccola (Lanius collurio) e il cannareccione (Acrocephalus arundinaceus), dei minuscoli zaini che registrano le loro attività con un sensore di pressione per determinare le altezze e fornire aggiornamenti ogni 5 minuti su come si comportano durante il viaggio- Informazioni che possono essere correlate alle previsioni meteorologiche o a mappe paesaggistiche dettagliate.

La Sjöberg rivela su Horizon alcuni dei primi risultati del progetto: «E’ chiaro che nei loro voli vanno più in alto di quanto pensassimo prima. In precedenza gli esperti pensavano che le loro dimensioni li limitassero a volare a 2.000 – 3.000 metri sul livello del mare, ma li ho visti volare a quasi 6.000 metri. Potrebbero farlo per trovare venti più forti che li trasportino su distanze più lunghe, il che richiede meno energia per volare e aumenta le loro possibilità di sopravvivenza. Il rischio maggiore per questi uccelli è quello di fermarsi nei terreni ostili che attraversano perché potrebbe essere difficile decollare di nuovo o ritrovare le stesse altezze. I luoghi sicuri dove posarsi sono essenziali per questi uccelli lungo i loro viaggi intercontinentali perché hanno condizioni favorevoli, comprese le fonti di cibo, ma in alcuni luoghi si stanno riducendo, ad esempio, nel Sahara, dove il deserto si sta espandendo. Quelle aree (sicure) stanno diventando sempre più piccole, quindi c’è più concorrenza».

La Sjöberg, che continuerà a raccogliere dati dai mini- zaini per diversi mesi prima di analizzarli per scoprire magari nuove meraviglie sui piccoli migratori, spera che «le mie ricerche aiuteranno a identificare le aree più importanti per gli uccelli, il che potrebbe aiutare a informare le autorità su come proteggere meglio questi paradisi sicuri».