Le sentenze non si dovrebbero commentare, però non sempre è facile capirle

Impianto fotovoltaico nelle aree del poligono di tiro? No (sob!), lo dice il Tar

Evidente che l'impatto zero non esista

[17 Luglio 2014]

Un impianto fotovoltaico anche se in linea con varie esigenze di interesse pubblico – come ad esempio la pianificazione energetica, la riduzione delle emissioni di gas inquinanti, la riduzione di importazioni di altre fonti energetiche ecc…- può comportare un grave impatto negativo sulla fauna e sulla flora. E dunque il giudizio di incidenza ambientale delle amministrazioni può avere esito negativo.

Lo ricorda il tribunale amministrativo del Piemonte (Tar) – con sentenza 10 luglio 2014, n.  1197 – in riferimento al giudizio negativo di compatibilità ambientale espresso dalla Provincia di Torino sul progetto per la costruzione e gestione di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica nelle aree interne al “Poligono Militare Esperienze per l’Armamento” nel Comune di Lombardore.

Un parere negativo che fa leva sulla “cogenza prescrittiva alle Linee Guida regionali” – adottate in attuazione delle linee guida nazionali sugli impianti alimentati da fonti rinnovabili – e sul fatto che l’area prescelta per l’installazione dell’impianto coincide con un’area naturale protetta e sito di importanza comunitaria (Sic), appartenente alla Rete Natura 2000.

Ma secondo la società affidataria del progetto di costruzione e gestione dell’impianto la Provincia avrebbe errato nell’attribuire “cogenza prescrittiva alle Linee Guida regionali”, in quanto l’individuazione delle Aree protette e dei Sic nell’ambito della Rete Natura 2000 e la loro inclusione tra le “aree inidonee” alla realizzazione di impianti fotovoltaici a terra, non rappresenterebbe un vincolo assoluto. Perché esiste l’obbligo per l’ente competente di verificare in concreto la compatibilità del progetto con le esigenze di tutela ambientale e del paesaggio garantite all’interno del procedimento unico di attribuzione dell’autorizzazione – prevista dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003 – e della procedura di Valutazione d’impatto ambientale (Via).

Ma secondo il Tar tali linee sono cogenti e immediatamente applicabili.

La valenza prescrittiva e vincolante delle linee guida trova il suo fondamento direttamente dal Dlgs 387/03 – in particolare all’art. 12 comma 10 – il quale consente alle regioni di procedere, in attuazione delle linee guida nazionali approvate in sede di Conferenza unificata, alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti finalizzati alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Tale divieto – così come afferma il Consiglio di Stato – è sufficiente “a giustificare il diniego di rilascio della autorizzazione, senza necessità di alcuna valutazione specifica del concreto impatto ambientale del costruendo impianto”. Questo perché le Linee guida statali (predisposte con il D.M. 10.9.2010) prevedono per le Regioni – al fine della individuazione delle aree e dei siti non idonei – l’obbligo di una preventiva e “apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti”. In questo modo viene reso noto anticipatamente agli operatori la non idoneità di determinate aree alla localizzazione dell’impianto, individuate e vagliate sulla base di criteri tecnici oggettivi, connessi alla caratteristiche del territorio.

C’è da dire, però, che le scelte urbanistiche compiute dai comuni non hanno la capacità di porre assolute preclusioni alla realizzazione degli impianti alimentati da energie rinnovabili in determinate zone del loro territorio, perché il legislatore del 2003 attribuisce all’autorizzazione unica l’efficacia di variante allo strumento urbanistico. E perché lo stesso legislatore attribuisce alle sole Regioni la potestà di porre limitazioni e divieti per l’installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti rinnovabili.