La memoria dell’umanità è nascosta nel genoma dei papuasi

I primi melanesiani si erano incrociati con i denisovani e hanno inventato l’orticoltura, dopo aver contribuito a estinguere la megafauna autoctona

[19 Dicembre 2019]

Tra giugno e luglio il team di François-Xavier Ricaut, del Laboratoire Évolution et diversité biologique dell’Unité CNRS/Université Toulouse III Paul-Sabatier/École nationale de formation agronomique/IRD ha portato a termine due missioni in Papua Nuova Guinea, nel quadro del progetto Papuan Past che combina approcci archeologici e genomici per capire come, 65.000 – 50.000 anni fa, si sono stabilite e adattate in Melanesia le popolazioni dei nostri primi antenati Homo sapiens.
Al CNRS spiegano che «Il clima allora era molto differente da quello di oggi. La Terra era entrata già da diverse decine di migliaia di anni in un’era glaciale. Per questo, il livello del mare era circa 100 metri più basso di quel che è attualmente. Le isole indonesiane formavano allora solo un’immensa lingua di terra attaccata al resto dell’Asia, che i paleogeografi chiamano Sunda. L’Australia, la Papuasia e la Tasmania erano anche loro collegate in una gigantesca isola: Sahul, che poteva essere raggiunta da Sunda solo attraversando dei bracci di mare che arrivavano fino a 100 chilometri de larghezza».

Ricaut spiega a sua volta: «Vogliamo capire chi erano questi premi “Sahuliani” (antenati degli Aborigeni australiani e dei Papuasi) che, una volta arrivati a Sahul, hanno dato vita a una diversità culturale e genetica tra le più ricche del mondo. Abbiamo particolarmente a cuore di scoprire quale/i rotta/e questi ultimi antenati hanno preso per popolare Sahul e in quale epoca precisa sono arrivati. Questo in particolare per risalire la pista dell’ultima uscita dall’Africa dell’uomo moderno».

Con Papuan Past, i ricercatori puntano a ricostruire un nuovo pezzo del puzzle della storia dell’umanità e tutto questo grazie ai Papuasi, discendenti diretti dei primi Homo sapiens melanesiani, che hanno conservato nelle ,loro cellule, più di qualsiasi altro essere umano del pianeta, la traccia del nostro primo viaggio ai confini del mondo che i ”bianchi” avrebbero scoperto solo millenni dopo.

«Arrivati alla fine della strada – dicono i ricercatori francesi – i primi Homo sapiens melanesiani, con poche eccezioni, probabilmente non hanno più lasciato questo territorio remoto. Mentre gli altri Sapiens, in Asia e in Europa, incrociavano i genomi tra loro, mentre con il passare dei millenni, la traccia delle loro peregrinazioni si offuscava, il genoma dei primi Papuasi, che è anche quello dei primi aborigeni australiani, rimase quasi intatto. Il loro patrimonio genetico è unico al mondo. Comprende tra il 2 e il 4% di DNA di Neanderthal e tra il 4 e il 6% di DNA di Denisovani. I papuasi possiedono nientemeno che la memoria delle nostre origini».

A partire dal17 giugno, per una settimana, il team ha lavorato nel centro della lussureggiante e paludosa regione di Sepik, nel nord-ovest di Papua Nuova Guinea. Con Ricaut c’erano anche il suo collega del CNRS Sébastien Plutniak e Matthew Leavesley e Reubenson Gegeu, dell’università della Papua Nuova Guinea. Dopo 6 ore di canoa sul fiume Arafundi, un affluente del Sepik, hanno raggiunto il villaggio di Awim, in piena stagione secca, ma sono stati ugualmente tormentati da piogge torrenziali che hanno reso molto difficili le loro escursioni nella giungla. Dopo un giorno in canoa e di cammino, i ricercatori sono stati accolti nel villaggio di Awim, al ritmo del sing-sing, una spettacolare danza tradizionale papua.

Per indagare sui primi Homo sapiens sahulieani, l’équipe punta a decrittare il DNA molto particolare e prezioso del popolo papuaso e dicono che «L’obiettivo di queste missioni sul terreno è quindi quello di effettuare dei prelievi tra la popolazione, in diversi luoghi dell’isole, per raccogliere più genomi possibile e identificare così, a partire da questa cartografia generica, un denominatore comune: la traccia degli “antenati fondatori”».

I ricercatori contano di riuscirci con la paleogenetica e spiegano ancora: «L’informazione genetica è trasmessa da una generazione all’altra, ma non sempre identica. Secondo un ritmo regolare, delle novità, chiamate mutazioni, compaiono e vengono trasmesse ai discendenti. Questo ritmo di mutazioni funge in qualche modo da orologio, un cosiddetto orologio molecolare: confrontando il numero di mutazioni tra due sequenze (due porzioni) di DNA appartenenti a due diversi individui, i ricercatori possono calcolare quando questi due individui divergevano l’uno dall’altro e, quindi, riscoprire il periodo in cui visse il loro antenato comune». Ricaut aggiunge: «Oggi abbiamo i mezzi tecnici per analizzare una grande quantità di genomi, cosa che era impossibile ancora pochi anni fa. Sequenziando il DNA di numerosi papua e aborigeni australiani, possiamo in qualche modo risalire nel tempo».

Grazie al loro database genetico, unico al mondo per questa regione, i ricercatori sono davvero riusciti a stabilire i uno scenario di popolamento. I primi Homo sapiens sarebbero arrivati a Sahul tra 65 e 50.000 anni fa e Ricaut sottolinea che «Questo si adatta all’archeologia: Madjebebe in Australia e Ivane in Papua Nuova Guinea, i due più antichi siti noti di occupazione umana, sono rispettivamente di -65.000 e -49.000 anni. Ma ovviamente questo scenario deve essere verificato».

Conoscere la data dell’insediamento di Sahul è fondamentale per conoscere l’origine dei papuasi e degli aborigeni australiani. Ma non solo. Se riusciranno a capire esattamente quando i Sapiens sono arrivati lì, i ricercatori potranno dedurre quando hanno lasciato l’Africa. Si ritiene che l’espansione degli ominidi sia avvenuta al ritmo di un chilometro all’anno. Se i Sapiens sono arrivati nell’attuale Papua Nuova Guinea tra 65.000 e 50.000 anni fa, questo significa che facevano parte di migranti che avrebbero lasciato l’Africa tra 75.000 e 60.000 anni fa.

Ma resta ancora da rispondere a una domanda che si fanno molti paleontologi di tutto il mondo: qual è il punto di entrata dei Sapiens a Sahul? Attualmente vengono valutate due ipotesi: una rotta da nord, da Celebes e la “testa di uccello” della Nuova Guinea, l’altra da Sud, attraverso Timor e la piattaforma continentale australiana. Poi bisogna capire come i nostri antenati si sono diffusi su Sahul: attraverso l’altipiano centrale o lungo la piana dell’Arafura, oggi sommersa. A sud? I ricercatori dicono che «Le nostre prime analisi suggeriscono che le attuali popolazioni della Papia Nuova Guinea provengono maggiormente da una colonizzazione dal sud dell’isola».

Il team ha quindi effettuato dei prelievi tra delle popolazioni di Daru a sud di Papua Nuova Guinea, sulle coste del mar di Arafura, di fronte all’Australia, il cui genoma potrebbe essere molto vicino a quello degli “antenati fondatori”, ma per confermare questo scenario c’era bisogno di una nuova analisi e quindi di nuovi prelievi ai quali uomini e donne papuasi si sono sottoposti di buon grado sentendosi parte di una ricerca sulle loro origini e su quelle dell’intera umanità. Per una settimana, il team di ricercatori francesi e papuasi ha risalito il corso del Sepik, marciato per ore in un jungla inestricabile, navigato su piroghe da un villaggio all’altro per raccogliere campioni provenienti da individui e comunità molto diverse e Ricaut evidenzia che «Più avremo dei dati differenti, più potremo paragonare gli individui tra loro e, attraverso la tecnica dell’orologio molecolare, risalire agli antenati fondatori e alla loro rotta di dispersione. Questa diversità ci permette già di trarre delle informazioni molto precise sui primi Sapiens che hanno accostato a Sahul. In effetti, pensiamo che fossero costituiti da almeno 6 gruppi geneticamente distinti e da circa 1.500 individui».

Questi primi papuasi e i loro discendenti hanno dato vita a un insieme di culture straordinarie e, nel corso di millenni, a 800 lingue diverse: il 20% di tutte le lingue parlate nel mondo. Una diversità umana eccezionale che è senza dubbio frutto di una necessità: «In questo mondo isolato – fanno notare al CNRS – queste famiglie di antenati fondatori erano in preda alla consanguineità. Ora, quando il patrimonio genetico di un gruppo si impoverisce, quest’ultimo è più esposto alle malattie e finisce per estinguersi. Pensiamo che per sfuggire all’endogamia, questi primi papuasi si siano organizzati in piccoli gruppi regionali ognuno con delle differenze culturali molto marcate».

IL 25 giugno, dopo aver fatto scalo a Port Moresby, la capitale di Papua Nuova Guinea, il team ha fatto base a Manim, un villaggio a 1.770 metri di altezza nella valle di Wurup, nelle Highlands, una regione montuosa ricoperta da una fitta foresta che può arrivare fino a 4.500 metri di altezza. L’obiettivo della seconda parte della spedizione era quello di confermare con l’archeologia quanto emerso dalla genetica. Nei remoti villaggi di montagna i ricercatori speravano di trovare altri antichissimi siti di popolamento umano come quelli di Ivane e Madjebebe, posti idealmente lungo la rotta che le loro analisi genetiche cominciano a tracciare. Un’area dove le diverse comunità papuase coltivano una grande varietà di frutti e legumi esotici: banane, canna da zucchero, frutti della passione, patate dolci, arachidi, taro, avocado… il che conferma che la Papua Nuova Guinea è il più antico centro di agricoltura/orticoltura del mondo, datata a 9.000 anni fa nel sito di Kuk a pochi chilometri da Manim.

Oltre a studiare gli antichissimi orti, i ricercatori hanno setacciato le Highlands alla ricerca di altri siti di popolamento, con l’obiettivo di conoscere meglio il modo di vita dei primi melanesiani, scoprendo così in alcuni siti i resti di un’impressionante megafauna estinta. Questo fa pensare che al loro arrivo a Sahul i Sapiens abbiano trovato una popolazione di grandi animali endemici che non avevano mai visto prima come il diprotodon, lo zygomaturus, il palorchestes… pensando probabilmente di essere arrivati in un altro mondo. Ed è probabile che proprio per questo che, in alcune regioni, la tradizione orale papuasa è piena di storie di animali fantastici.

Esaminando gli strati più recenti di questi antichi insediamenti, i ricercatori non hanno trovato più traccia di quella megafauna, senza dubbio estintasi progressivamente nei millenni che hanno fatto seguito all’arrivo degli esseri umani moderni e alla pressione della caccia e agli incendi appiccati alla foresta, ma anche per l’impatto climatico della glaciazione. Secondo e Ricaut «E’ possibile che, privati della fauna, I primi melanesiani si siano sempre più basati sulle risorse vegetali: in alcuni siti, ritroviamo delle tracce di strumenti per deforestare, si osserva anche che la loro ciotola del cibo cambia e che è costituita principalmente da vegetali. Inoltre, la cucina vegetale che hanno inventato all’epoca fa ancora parte integrante della cultura papua!».

Il 4 luglio, prima di rientrare i Francia, Ricaut e la sua équipe hanno fatto un salto in Australia al Melbourne Integrative Genomics Lab dell’università di Melbourne che analizza una parte dei campioni di DNA raccolti in Papua Nuova Guinea, mentre il resto è studiato all’’Université de Toulouse, dotata di strumenti di sequenziamento del DNA di ultima generazione.
Ricaut conclude: «Grazie ai Papuasi, rintracciamo poco a poco l’arrivo dei primi Sapiens alla fine del mondo. Ormai ci resta solo da definire la loro rotta, il numero di individui che componevano questi pionieri, ma anche quale patrimonio genetico esatto abbiano ereditato dai Denisovani, un ominide ancora sconosciuto 10 anni fa ma che popolava la Terra allo stesso tempo dei Neanderthal e dei Sapiens. Questo ominide con il quale i primi melanesiani si sono ibridati lungo la loro rotta asiatica verso Sahul, ma anche, come suggeriscono i nostri ultimi studi, a Sahul stessa. Restano ancora in sospeso numerose questioni: sappiamo che i papuasi discendenti da questi pionieri possiedono tra il 4 e il 6% dei geni dei Denisovani. Ma a che servono precisamente questi geni? I primi dati suggeriscono che conferiscono ai loro detentori una buona risposta immunitaria di fronte alle malattie e un particolare metabolismo dei lipidi. Ma portano ancora altri geni arcaici utili, forse determinanti? Questi stessi geni sono stati lasciati in eredità a tutta l’umanità?» Il genoma così prezioso dei papua dovrebbe rivelarlo.

Per maggiori informazioni: https://papuanpast.hypotheses.org/