Sempre più difficile battere i superbatteri

La resistenza agli antibiotici trovata anche nel microbioma di una tribù isolata

Ma gli Yanomami non soffrono di disturbi autoimmuni, diabete, pressione alta e malattie cardiache

[23 Aprile 2015]

Un team di 23 scienziati di Usa, Venezuela e Portorico  ha svolto in Venezuela una ricerca su un villaggio di Yanomami isolati, un piccolo popolo di cacciatori-raccoglitori dell’ Alto Orinoco, contattato per la prima volta solo nel 2009, un’opportunità di studiare la salute di  persone che non erano mai state esposti alla medicina o alle diete occidentali. Ma lo studio “The microbiome of uncontacted Amerindians” che hanno pubblicato su Science Advances rivela una grossa e preoccupante sorpresa.

I ricercatori sottolineano che «La maggior parte degli studi del microbioma umano si sono concentrati sulle persone occidentalizzate con pratiche di stili  di vita che riducono la sopravvivenza e la trasmissione microbica, o su società tradizionali che sono attualmente in fase di transizione verso l’occidentalizzazione».

Gli Yanomami vivono nel profondo della foresta amazzonica al confine tra Venezuela e Brasile e, anche se si sapeva della loro esistenza fin dal XVIII secolo, questo popolo è rimasto isolato fino agli anni ‘50. Nel 2008, un elicottero dell’esercito venezuelano notò una tribù incontattata Yanomami in precedenza e i ricercatori chiesero immediatamente il permesso di studiarli «Prima che fossero esposti ai farmaci occidentali e diete e potessero, quindi, perdere diversi microbi». La prima spedizione medica raggiunse il villaggio nel 2009, curò alcuni bambini con infezioni respiratorie e raccolse anche batteri dalla bocca, pelle e feci di 34 delle 54 persone nel villaggio.  E’ così che hanno scoperto che «Questi Yanomami sostentano un microbioma con la più alta diversità di batteri e funzioni genetiche mai riportata in un gruppo umano».

Ma nonostante il loro isolamento, che è durato probabilmente per più di 11.00  anni, cioè da quando i loro antenati arrivarono in Sud America, e nessuna esposizione conosciuta agli antibiotici artificiali, il bioma degli Yanomami isolati ospita batteri con geni AR, cioè resistenti agli antibiotici, compresi quelli che conferiscono resistenza agli antibiotici di sintesi.

Gli scienziati dicono che «Questi risultati suggeriscono che l’occidentalizzazione influenza significativamente la diversità del microbioma umanano  e che i geni AR funzionali sembra essere una caratteristica del microbioma umano anche in assenza di esposizione agli antibiotici commerciali. I geni AR sono probabilmente pronti a comparire e ad arricchirsi con l’esposizione a livelli farmacologici di antibiotici. I nostri risultati sottolineano la necessità di un’approfondita caratterizzazione della funzione del microbioma e del resistoma nelle popolazioni remote non occidentalizzate prima che la globalizzazione delle moderne pratiche colpisca dei batteri potenzialmente benefici ospitati  nel corpo umano».

Su Science Anne Gibbons spiega: «L’intestino umano ospita migliaia di miliardi di batteri, noti collettivamente come microbioma. Diversi studi recenti hanno scoperto che, per esempio, le persone nei paesi industrializzati ospitano molti meno tipi di microbi che i cacciatori-raccoglitori di Africa, Perù, e Papua Nuova Guinea,. Questo è intrigante dato che l’assenza di diversi batteri è stata collegata all’obesità, al diabete ed  molte malattie autoimmuni, come le allergie, la malattia di Crohn, la celiachia e la colite».

La leader del team di ricerca Maria Gloria Dominguez-Bello, del dipartimento di patologia e immunologia della Washington University School of Medicine di St. Louis, è stata tra i primi ad andare nel remoto villaggio yanomami dell’Alto Orinoco – del quale non è mai stata resa nota l’ubicazione esatta – e dice che «Questa informazione è importante; perché farà luce su quali sono i batteri che mancano, quali i batteri abbiamo perso. Dobbiamo ottenere una migliore comprensione del microbiota di questa comunità di cacciatori-raccoglitori, prima che scompaiano».

Dopo diverse vicessitudini – ci sono voluti 2 anni per ricevere i permessi dal Venezuela e il laboratoriio della Dominguez-Bello a New York è stato chiuso per danni dopo l’uragano Sandy – alla fine il team internazionale è riuscito a sequenziare l’RNA dei batteri intestinali degli Yanomami e lo ha confrontato con quello degli statunitensi industrializzati, degli amerindi Guahibo rurali della Colombia e degli agricoltori del Malawi, scoprendo  negli Ynomami  «Una diversità significativamente più alta rispetto ad altri popoli», comprese  grandi quantità di Prevotella , Helicobacter , Oxalobacter , e spirocheta , assenti o significativamente ridotte negli esseri umani dei Paesi industrializzati.  E gli  Yanomami, anche se avevano alti livelli di parassiti, erano in buona salute e non soffrono di disturbi autoimmuni, di diabete, di pressione alta, o malattie cardiache.

Intanto il microbiologo Gautam Dantas della Washington University analizzava i campioni intestinali ed orali prelevati dagli Yanomami e campioni per determinare la presenza di geni resistenti agli antibiotici e Erica  Pehrsson ha clonato DNA batterico di questi campioni per testare se qualcuno dei loro geni potesse rendere inattivi gli antibiotici naturali e sintetici. Hanno così scoperto che i batteri intestinali degli Yanomami isolati avevano quasi 60 geni unici che potrebbero rendere inefficaci gli antibiotici, tra i quali una mezza dozzina potrebbero proteggere i batteri dagli antibiotici di sintesi.  Secondo Dantas, questo è particolarmente preoccupante  perché i ricercatori pensavano che ci sarebbe voluto più tempo per evolvere la resistenza dei batteri ad antibiotici prodotti dall’uomo che non si trovano naturalmente nel suolo».

Agli Yanomami del villaggio incontattato non sono mai stati somministrati farmaci o non sono mai stati esposti a cibo o acqua contenenti antibiotici.  Ma Dantas suggerisce che «I batteri intestinali degli Yanomami hanno sviluppato un arsenale di metodi per combattere una vasta gamma di tossine che li minacciano, proprio come hanno fatto i nostri antenati e altri primati per combattere i microbi pericolosi. Ad esempio, i batteri degli Yanomami potrebbero aver già hanno incontrato delle tossine che si trovano naturalmente nel loro ambiente che sono simili come struttura molecolare agli antibiotici moderni, ma che devono ancora essere scoperte dagli scienziati. Oppure, i batteri intestinali nell’uomo hanno evoluto  un meccanismo generalizzato per rilevare alcune caratteristiche comuni a tutti gli antibiotici, tra i quali quelli sintetici progettati dagli scienziati e così possno organizzare una difesa contro le nuove minacce».

L’antropologa Christina Warinner dell’università dell’Oklahoma- Norman, che non ha partecipato allo studio, sottolinea su Science che «La scoperta è preoccupante perché suggerisce che la resistenza agli antibiotici è antica, diversa, e sorprendentemente diffusa in natura, compreso all’interno dei nostri corpi. Questi risultati e le loro implicazioni spiegano perché la resistenza agli antibiotici è stata così veloce a svilupparsi dopo l’introduzione degli antibiotici terapeutici e perché oggi dovremmo essere molto preoccupati per il corretto uso e la gestione degli antibiotici, sia in contesti clinici che agricoli».”

Altri ricercatori sono interessati a studiare la funzione dei diversi batteri che si trovano negli Yanomami, per vedere se proteggano  contro le malattie autoimmuni in aumento nelle popolazioni dei Paesi industrializzati. Un tipo di batteri intestinali, Oxalobacter , trovato negli  Yanomami è già noto per proteggere l’uomo dalla formazione di calcoli renali. Justin Sonnenburg, un microbiologo della Stanford University e co-autore del libro di prossima pubblicazione The Good Gut: Taking Control of Your Weight, Your Mood, and Your Long-term Health conclude: «Credo che questi microbi mancanti siano alla base di molte malattie occidentali. Il grande messaggio è che nel mondo occidentale si è persa la diversità nel  nostro microbiota. Dobbiamo studiare questi gruppi di capire che cosa abbiamo perso, ciò che questi microbi fanno e come tornare ad un microbiota sano».