Nuovo studio dimostra che le specie che volano per un periodo più breve, che si nutrono di un numero minore di specie di piante, quelle più piccole e quelle distribuite in aree più limitate hanno una minore differenziazione

Le farfalle europee e il sacro Graal della filogeografia

Molte specie di farfalle stanno vivendo in ambienti non più ottimali alla loro esistenza

[30 Agosto 2019]

Al viaggiatore che si muova da un capo all’altro del mondo non mancherà di stupirsi di come, al pari delle architetture e delle lingue umane, anche le forme animali e vegetali si presentino in forme e varietà diverse. Alle volte queste differenze possono anche risultare invisibili ai nostri occhi. Buona parte della biodiversità è infatti criptica, cioè formata da specie e popolazioni che, all’apparenza identiche, posseggono rilevanti differenze genetiche. La variabilità genetica tra individui della stessa specie è un concetto centrale in biologia: fornisce alla selezione naturale il materiale su cui operare e permette alle popolazioni di sopravvivere ai cambiamenti ambientali. Capire come emerga nello spazio questa variabilità rappresenta uno dei sacri Graal della biologia. Scoprirlo è un processo investigativo complesso ed è l’oggetto di studio della filogeografia. Discendente degli studi di zoogeografia di Alfred Russel Wallace, la filogeografia è la disciplina che studia l’emergere delle varianti genetiche e la distribuzione spaziale che esse assumono.

Come ogni investigatore, anche il filogeografo ha bisogno di un substrato in cui cercare gli indizi che diventino prove. Il modello di studio più usato in filogeografia è il DNA mitocondriale. I mitocondri sono organelli presenti nelle nostre cellule, discendenti di batteri capaci di respirare e che sono stati inglobati dagli eucarioti all’inizio della loro evoluzione. Con pochissime eccezioni li ereditiamo completamente dalle nostre madri e senza di loro saremmo incapaci di respirare. Per una serie di motivi ancora da spiegare definitivamente, il DNA mitocondriale tende a mutare con una velocità più alta della maggior parte del DNA contenuto nei nuclei cellulari. Per questo motivo, sin dai primi anni dell’era del sequenziamento del DNA, i mitocondri hanno offerto un substrato particolarmente favorevole per capire le dinamiche della differenziazione genetica tra popolazioni. Per questa ragione, l’analisi del DNA mitocondriale è divenuto lo strumento principale della filogeografia. Negli ultimi 15 anni inoltre un piccolo segmento di DNA mitocondriale denominato COI è stato riconosciuto come particolarmente adatto a studiare la tassonomia e la filogeografia di moltissimi organismi.

Come ogni indagine, anche la filogeografia necessita di ipotesi di lavoro. E quale è l’ipotesi prevalente su come si sia formata e distribuita la variabilità genetica dei viventi del nostro continente? La distribuzione attuale di animali e piante europei e la loro variabilità genetica sono state da sempre ritenute in gran parte il risultato dei grandiosi fenomeni di contrazione ed espansione di popolazioni, prodotti dai fortissimi cambiamenti climatici avvenuti nell’ultimo milione di anni. Durante le lunghe fasi glaciali, buona parte dell’Europa, invasa da ghiacci e tundra, doveva essere un ambiente inospitale per la maggior parte dei viventi. Quasi tutte le specie che oggi sono ampiamente distribuite in Europa, erano verosimilmente relegate nelle tre penisole meridionali: la Spagna, l’Italia e i Balcani. Qui, rimaste isolate per lunghi periodi a causa delle barriere rappresentate dalle montagne come le Alpi e i Pirenei, alte e coperte da immensi ghiacciai, le popolazioni di molte specie si sono differenziate in nuove varianti genetiche. Nei periodi caldi e sempre relativamente brevi, come quello in cui viviamo adesso, queste popolazioni si espandevano verso nord incontrandosi e mescolandosi prima in Europa centrale e poi nelle penisole in cui si erano originate, in alcuni casi eliminando la variabilità genetica creatasi durante le glaciazioni.

Un assunto della filogeogeografia prevede che le specie caratterizzate da maggiori capacità dispersive possano mescolare le loro linee genetiche più facilmente e appiattire rapidamente le differenze genetiche. Ma come portare prove decisive che questi processi abbiano avuto realmente luogo, nel modo in cui lo abbiamo teorizzato e capire quale sia il loro potenziale per mettere a rischio o proteggere la diversità?

Per poter decifrare se, nonostante il rumore di fondo prodotto del caso, la variabilità genetica fosse generata, almeno parzialmente, da processi deterministici e quindi misurabili e prevedibili, servivano grandi numeri, ottenibili solo dal confronto di un grandissimo numero di specie studiate a scala continentale e con un alto dettaglio spaziale. La ragione per cui studi di questo tipo siano così poco numerosi è dovuta agli altissimi costi di raccolta dei campioni animali e vegetali su aree tanto vaste e al successivo sequenziamento del loro DNA. Negli ultimi dieci anni, alcuni gruppi di ricerca in Europa, tra cui il gruppo di studio sulla biologia delle farfalle guidato da Leonardo Dapporto del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, hanno compiuto vaste campagne per raccogliere farfalle in tutta Europa e sequenziare il COI del maggior numero di specie e con un’ampia risoluzione spaziale. Con più di 15,000 sequenze per oltre 300 specie di farfalle presenti in Europa occidentale, questo è sicuramente il più completo set di dati mai raccolto per un così grande gruppo animale e su una così vasta area geografica.

Con strumenti e dati, possiamo finalmente cercare le prove che avvalorino le nostre ipotesi di lavoro. Per prima cosa si è voluto verificare se fosse possibile supportare il paradigma della dinamica di isolamento glaciale e della successiva ricolonizzazione. È stata quindi calcolata la diversità genetica media tra le specie presenti nelle aree di studio e successivamente creata una mappa zoogeografica nella quale regioni aventi lo stesso colore rappresentano aree geografiche in cui le popolazioni di farfalle sono geneticamente simili tra loro (Fig.1)

Il risultato di questa analisi ha rivelato l’esistenza di sei regioni zoogeografiche, cinque delle quali si ritrovano in Italia. Due regioni sono rappresentate da aree insulari (Sicilia una; Sardegna e Baleari l’altra), ribadendo uno dei maggiori fondamenti della biogeografia e della teoria dell’evoluzione secondo cui le aree insulari, seppure di ridotta estensione, ospitano una grandissima parte della biodiversità globale. Una terza regione è rappresentata da un’area continentale e da una insulare (Pirenei, Corsica, Elba e Giglio) con le isole dell’Arcipelago Toscano che confermano il loro forte contrasto con l’Italia peninsulare. Infine, tre regioni continentali includono le Alpi e le due penisole meridionali (Iberia e Italia centro-meridionale), confermando la teoria della contrazione delle popolazioni animali nelle aree meridionali durante i massimi glaciali.

Dimostrato che effettivamente la differenziazione genetica si origina in aree isolate grazie a bracci di mare (isole) o ai mutamenti climatici (penisole), rimane da capire quali siano le caratteristiche che permettono alle specie di differenziarsi e mantenere popolazioni geneticamente diverse nello spazio.

Lo studio ha dimostrato che le specie che volano per un periodo più limitato dell’anno, quelle che allo stadio larvale si nutrono di un numero minore di specie di piante, quelle più piccole e quelle distribuite in aree più limitate hanno una minore differenziazione. Questo risultato conferma finalmente in modo empirico quello che si era da tempo ipotizzato e cioè che le specie più piccole, che volano per tempi brevi (minor periodo di volo) e che giunte in un luogo nuovo hanno più difficoltà a trovare risorse, tenderanno molto meno a spostarsi dal loro luogo di origine e svilupperanno maggiormente le differenze genetiche emerse nei millenni. Questo studio (“Integrating three comprehensive data sets shows that mitochondrial DNA variation is linked to species traits and paleogeographic events in European butterflies”)  guidato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, pubblicato su Molecular Ecology Resources, fornisce una prova significativa che i cambiamenti climatici del passato hanno avuto conseguenze decisive nel determinare la struttura genetica attuale della maggior parte delle popolazioni di farfalle Europee.

Quando si osservano le conseguenze dei cambiamenti climatici del passato è impossibile non cercare di aprire una finestra su quelle che saranno le conseguenze future dei drammatici cambiamenti che stiamo osservando negli ultimi decenni. Molte specie stanno vivendo in ambienti non più ottimali alla loro esistenza e la diversità genetica del DNA mitocondriale potrebbe rappresentare un elemento fondamentale per la loro sopravvivenza. Infatti grazie alla diversa performance respiratoria di una varietà genetica mitocondriale, una popolazione potrebbe meglio adattarsi ai climi caldi come quello che verosimilmente avremo nei prossimi decenni rispetto a un’altra. Sarà quindi possibile che alcune varianti genetiche, provenienti da aree più o meno lontane, riescano a sostituire quelle più sfavorevoli in leggera o profonda crisi, salvando quindi la specie dall’estinzione e mantenendo la funzionalità degli ecosistemi. Le farfalle infatti hanno ruoli importantissimi nel funzionamento degli ambienti in quanto sono fondamentali per la dieta degli insettivori e partecipano all’impollinazione delle piante a fiore.

di Leonardo Dapporto

Dipartimento di Biologia Università degli Studi di Firenze

Alessandro Cini

Dipartimento di Biologia Università degli Studi di Firenze

 Centre for Biodiversity and Environment Research, University College London