Lo studio globale su fungo dell’apocalisse degli anfibi. E spunta lo sterminatore di salamandre

Per ora l’unica soluzione è la biosicurezza. Senza programmi di riproduzione, molte altre specie si sarebbero estinte

[29 Marzo 2019]

Lo studio “Amphibian fungal panzootic causes catastrophic and ongoing loss of biodiversity”, pubblicato su Science da un foto team internazionale di ri cercatori, vista Science, indaga sulla malattia, la chitridiomicosi che, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, ha portato al declino di oltre 500 specie di anfibi e all’estinzione di 91 specie di rane, rospi e salamandre. Si tratta della peggiore perdita di biodiversità dovuta ad una singola malattia e la più grave ondata di estinzioni causata da una sola specie, se si esclude l’uomo.

Come ci scrive uno dei coordinatori dello studio, l’italiano Stefano Canessa del Laboratory of veterinary bacteriology and mycology della facoltà di medicina veterinaria dell’università belga di Ghent, «In questo studio dimostriamo l’impatto senza precedenti di una singola malattia, causata da un fungo parassita, che ha portato al declino oltre 500 specie di anfibi in tutto il mondo negli ultimi 30-40 anni. Si tratta della singola peggiore malattia mai registrata in termini di specie colpite, e la singola specie più dannosa mai registrata. In Italia e in Europa gli effetti sono stati finora limitati, ma una seconda specie scoperta da poco rappresenta una minaccia altrettanto seria».

La chitridiomicosi è causata da una specie di fungo, il chitridio, che divora la pelle dei suoi ospiti. Nel 2009, i ricercatori hanno scoperto come il fungo chytrid uccide le rane, mentre nel 2018 la penisola coreana è stata identificata come la probabile origine del lignaggio più mortale del fungo. Infatti in Asia gli anfibi sembrano mostrare una certa resistenza ai suoi effetti. Il nuovo studio ha coinvolto 41 esperti e ricercatori da tutto il mondo, permettendo di tracciare un quadro globale dei suoi effetti.

Secondo il principale autore dello studio,  Ben Scheele dell’Australian National University (ANU) «Nell’era dell’Antropocene, la perdita di una specie è una storia troppo sfortunatamente comune. Riduzioni di habitat, inquinamento, specie introdotte o cambiamenti climatici sono cause comuni, ma a volte le risposte sono meno ovvie». Infatti per quanto riguarda il fungo killer  «si tratta della peggiore specie ‘invasiva’, cioè diffusa oltre la sua zona d’origine dall’azione dell’uomo, mai conosciuta. Non ha precedenti in termini di dimensioni. Non c’è nessun altro agente patogeno della fauna selvatica che abbia causato un simile numero di cali. Il suo impatto è pari alle peggiori specie invasiva come i gatti o i ratti. Il commercio di animali selvatici in un mercato globale ha senz’altro facilitato questa pandemia. L’uomo sposta ogni giorno sempre maggiori quantità di piante e animali, e con essi, inevitabilmente, nuovi parassiti e malattie».

Scheele  spiega ancora: «Lo studio  valuta quante specie sono state colpite e la gravità della loro perdita. Alcune specie hanno avuto un declino relativamente minore, mentre altre ora sono estinte. Analizza anche i tempi di declino e le condizioni ambientali che hanno permesso al patogeno di prosperare. Climi più freschi e quelli con un’alta biodiversità di rane sembrano fornire le condizioni più favorevoli per il fungo chytrid, e in Australia i maggiori impatti sono stati avvertiti sulle spiagge lungo la costa orientale. Un grave declino ed estinzioni sono stati più comuni nelle specie con piccoli areali e limitati range di altitudine. Nessuno prima aveva valutato l’impatto globale. E’ stato un processo complesso, perché avevamo bisogno di informazioni specifiche sul terreno, specie-specifiche,  che hanno richiesto ai collaboratori di fare grandi sforzi per contribuire a questo progetto. Quindi il primo passo è stato quello di entrare in contatto con le persone giuste e creare fiducia. Questo perché i Paesi ricchi di biodiversità come l’Ecuador, la Bolivia e la Colombia avevano molte specie da valutare, richiedendo un notevole impegno di tempo per i collaboratori per l’accesso e la compilazione dei dati. Questo richiedeva settimane di tempo alle persone e spesso si fidano di dati non pubblicati, che hanno richiesto molti anni per essere raccolti. Costruire quella relazione è stato fondamentale».

Canessa sottolinea: «Nonostante il pericolo rappresentato dal chitridio sia ormai chiaro, fermare un’epidemia in corso è terribilmente difficile. Arrestare le malattie infettive tra gli umani è già abbastanza complicato, immaginate farlo per rane e rospi, che sono difficili da vedere e catturare, per cui una cura o un vaccino non esiste, e che quando sono malati non consultano un ospedale né possono segnalare parenti e amici potenzialmente infetti. Diverse specie potrebbero essere state spazzate via ancora prima di essere scoperte».

Attulmente, la chitridiomicosi è diffusa in più di 60 Paesi, Italia compresa.  Secondo lo studio, «Le aree geografiche più colpite sono l’Australia e le Americhe centro-meridionali». In Europa e in Italia, gli effetti della chitridiomicosi sono stati finora limitati ad alcune specie isolate come il tritone sardo. Tuttavia, un nuovo distruttore si presenta all’orizzonte. All’inizio di questo decennio, degli ambientalisti olandesi notarono un collasso repentino e micidiale delle popolazioni di salamandre locali, con la morte del 99% degli animali. La causa di questa pestilenza senza precedenti venne presto identificata in una nuova specie di chitridio, ribattezzata Batrachochytrium salamandrivorans “il divoratore di salamandre”. Canessa ricorda che «L’Europa, e l’Italia in particolare, ospitano numerose specie di salamandre e tritoni, tra cui alcune esclusive del nostro territorio, animali incredibili che non si trovano altrove al mondo. Trent’anni dopo l’arrivo del primo chitridio, non siamo preparati per questa nuova minaccia, anche se ci stiamo lavorando. La prima linea di difesa passa necessariamente per la prevenzione. Limitare il commercio illegale ed incoraggiare i proprietari di animali esotici a fare uno screening sanitario dei loro beniamini. Esistono molti centri di ricerca in grado di svolgere queste analisi, che sono nell’interesse dei proprietari stessi. E ovviamente mai e poi mai disfarsi di animali da compagnia indesiderati liberandoli in natura. I danni possono essere incalcolabili».

Ma che ne sarà delle rane?  Scheele dice che «Il fungo si è dimostrato difficile da controllare, e al momento non c’è soluzione per questo. La biosicurezza è la chiave. Abbiamo solo bisogno di una migliore sicurezza biologica a tutto tondo. Ci sono due modi per raggiungere questo obiettivo. Uno è attraverso la sorveglianza della biosicurezza sul territorio nei punti di ingresso, e l’altro è attraverso la riduzione del commercio di rane, perché è stato identificato come un problema e uno dei percorsi chiave di come il patogeno è diffuso in tutto il mondo. A livello locale, possiamo usare programmi di riproduzione in cattività, come quello di Canberra per la Rana Corroboree. Senza programmi di riproduzione, molte altre specie si sarebbero estinte. Non abbiamo ancora un proiettile d’argento, ma i programmi di riproduzione stanno essenzialmente acquistando tempo mentre lavoriamo a una soluzione».