Mab Unesco al Parco regionale di Tepilora, Montalbo e rio Posada. Una bella storia dalla Sardegna

Venneri: «Piccole comunità coese che gestiscono in equilibrio territori belli e delicati»

[15 Giugno 2017]

Che ci faccio davanti al palazzo dell’Unesco a Parigi in questo caldo 14 di giugno con il mio amico Filippo Lenzerini, di Punto 3, e una quindicina di sindaci di sperduti paesini della Sardegna. È una bella storia che forse vale la pena accennare. In realtà è una storia piccola piccola, di quelle che verrebbe voglia di raccontare a voce bassa, senza enfasi né retorica. È la storia di una comunità di cittadini che vivono in quei piccoli comuni che tanto piacciono a Legambiente, guidati da sindaci che sembrano usciti dai fotogrammi di un film di Gianni Amelio o dalla fiction di don Matteo. Sindaci che non fanno notizia nelle cronache giudiziarie locali, di quelli che giurano alla moglie che questo è l’ultimo mandato che fanno e poi invece si fanno fregare dai loro concittadini perché… “non abbiamo trovato proprio nessuno e poi tu sei veramente bravo”. E loro: “e vabbè, ma questa è veramente l’ultima volta… “.

Sto parlando di un territorio senza nome stretto fra le montagne del Montalbo e il mare di Posada, in Sardegna, fra la scintillante Costa Smeralda a nord e le rinomate coste del golfo di Orosei a sud.

Un luogo di passaggio insomma per i vacanzieri che sbarcano a Olbia ansiosi di raggiungere le spiagge più esclusive, di quei luoghi senza neppure una freccia marrone sulla statale, di quelle che indicano un punto panoramico o un’area archeologica.

E sì che di cose belle da vedere questo territorio ce ne ha eccome. A cominciare dalla zona umida disegnata dal delta del rio Posada, un vero e proprio paradiso per i birdwatchers, fatto di larghe e lente anse di una bellezza mozzafiato e popolate da meravigliosi aironi ed eleganti fenicotteri e cavalieri d’Italia. E poi i sentieri sulle montagne del Montalbo, battuti da escursionisti e cercatori di funghi. E le piste della forestale che sono diventate ottime ciclovie per i mountainbikers. E che dire poi dell’area nuragica di Romanzesu, un sito di straordinaria importanza storico archeologica che ospita un antichissimo santuario dedicato al culto dell’acqua, sede di cerimonie religiose e meta di pellegrinaggi da tutta l’isola fino a qualche millennio fa. E ancora Bitti, la patria dei tenores, con il suo bellissimo museo dedicato a questo canto particolare che ha ispirato Peter Gabriel e tanti altri artisti e dichiarato patrimonio immateriale dell’umanità. E infine le dune di capo Comino, rese celebri dagli sganassoni che il signor Carunchio (alias Giancarlo Giannini) rifilava alla povera Mariangela Melato, dopo essere stati travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto.

Ecco. Qualche anno fa ci si interrogava sul nome da dare al parco che i sindaci di questi comuni volevano creare sul loro territorio. Perché qui il parco l’hanno voluto proprio loro, i sindaci e i cittadini. Ne hanno fatto oggetto di incontri e dibattiti, con i cacciatori, con gli agricoltori, con gli albergatori. Confronti aspri e diretti che si scioglievano alla fine davanti a qualche bicchiere di Cannonau e al pecorino filante cotto alla brace. E sono stati loro a pretendere che la regione ratificasse questa decisione ed emanasse finalmente il decreto istitutivo del parco regionale di Tepilora, così hanno poi deciso di chiamarlo, dal toponimo di un’area montana che domina il comprensorio.

L’infaticabile animatore di questo percorso è stato sicuramente Roberto Tola, sindaco di Posada; quello, per capirsi, che non sapeva come dire alla moglie che i suoi concittadini lo avevano ricandidato e rieletto per la terza volta prima ancora di andarlo a votare. La Legambiente in verità l’aveva scoperto già da qualche tempo e ne aveva premiato le capacità amministrative con le Cinque Vele della nostra Guida Blu. Qualche anno dopo anche l’Inu (Istituto Nazionale di Urbanistica) se ne sarebbe accorta, premiando il piano regolatore del comune di Posada come il migliore in Italia.

Fatto il parco bisognava trovare un presidente. E anche qui sguardi bassi, scuse improbabili e sorrisi imbarazzati. Alla fine la scelta è caduta su Graziano Spanu, il più anziano, che di mestiere fa il farmacista a Lodè e, insomma … “chi meglio di te!”. E lui: “vabbè, ma fra due anni cambiamo…”.

Ecco, è venuta in testa a gente come questa l’idea meravigliosa di candidare quel territorio a riserva della biosfera. Ed è venuta in testa poco tempo fa, è passato appena un anno e mezzo, tra i commenti scettici di altri amministratori e gestori di aree protette che sapevano quanto fosse laborioso il percorso di riconoscimento da parte dell’Unesco. Come Legambiente e Vivilitalia, la società che si occupa di turismo ambientale per conto dell’associazione, abbiamo deciso di dar loro una mano costituendo una task force con Punto 3, la società di Ferrara che qualche anno prima aveva portato il parco dell’Appennino Tosco Emiliano al riconoscimento Mab Unesco. A gennaio 2016 abbiamo cominciato il lavoro per confezionare il dossier di candidatura. Un lavoro fitto, fatto di incontri e consigli comunali, di sindaci da convincere e pregiudizi da contrastare. Alla fine siamo riusciti a conquistare alle ragioni del Mab altri 13 comuni oltre ai 4 del parco: un successo incredibile in una Regione non propriamente prodiga di aree protette. Ne è venuto fuori un bel lavoro, accompagnato e incoraggiato dalla direzione del Ministero dell’Ambiente guidata dalla dott.ssa Giarratano che ci ha affidato alle sapienti mani del dottor Diego Martino. Qualche settimana fa l’indiscrezione che aspettavamo: “ce l’abbiamo fatta, l’Unesco ha detto sì, siamo l’unica riserva della biosfera approvata quest’anno in Italia!”.

E così eccoci alla giornata di ieri, davanti a questo palazzone al centro di Parigi, con le vetrate che inquadrano la tour Eiffel da un lato e quella di Montparnasse dall’altro con il bel logo che auspica le Olimpiadi del 2024. Eccoci con la comitiva di sindaci e l’assessore regionale all’ambiente un po’ disorientati e impacciati, ma ben coscienti del fatto che stavano accompagnando in un passaggio storico il loro territorio e tutti i loro concittadini. Eccoci applaudire come ragazzini quando il martelletto di legno del presidente ha battuto sul tavolo per sottolineare l’approvazione della candidatura da parte dell’assemblea. E inorgoglirci pure noi, che non siamo figli di quelle terre, quando ne scorrono le immagini sul maxischermo. E rimanere poi sorpresi e sbalorditi quando scopriamo la curiosità e l’interesse che il nostro Paese genera negli altri, quando ci accorgiamo che l’applauso della sala è stato un po’ più forte di quello riservato alle altre candidature, ma soprattutto quando vediamo che erano proprio in tanti a filmare il nostro ambasciatore che ringraziava l’Unesco e a fotografare questo folto gruppo di italiani che è venuto a cambiare la linea del futuro della loro terra.

Che si trattasse di una storia speciale l’ha capito anche il direttore generale del programma Mab dell’Unesco, Han Qunli, che dopo la proclamazione ha voluto riprendere stranamente la parola e ringraziare, in maniera inusuale, “tutti quegli amministratori che sono venuti dalla Sardegna per testimoniare la vicinanza delle loro comunità”. Il senso che sta dietro il riconoscimento di area della biosfera in fondo è proprio questo: piccole comunità coese che gestiscono in equilibrio territori belli e delicati.

Abbiamo mangiato alla mensa del Palazzo con una vetrata che inquadrava grande grande la torre di ferro. E brindato a champagne, ma una bottiglia per tutti. “E pazienza – dice il sindaco che ha pagato – se il segretario comunale non mi rimborserà mai lo scontrino del bar …”.

di Sebastiano Venneri – Vivilitalia