Gli animali sociali condividono un pan-microbioma che potrebbe aiutare a regolare la salute

Microbioma: il contatto sociale aiuta a diffondere i batteri intestinali benefici

L’occidentalizzazione sta distruggendo il nostro microbiota nativo co-evoluto

[18 Gennaio 2016]

Lo studio “Social behavior shapes the chimpanzee pan-microbiome” pubblicato da un team di ricercatori statunitensi su Science Advances è partito dal fatto che «La socialità animale facilita la trasmissione di microrganismi patogeni tra gli ospiti, ma la misura in cui la socialità consente benefiche associazioni microbiche negli animali è poco conosciuta. La questione è fondamentale, perché le comunità microbiche, in particolare quelli a livello intestinale, sono regolatori chiave della salute dell’ospite».

I ricercatori dimostrano che «Le interazioni sociali degli scimpanzé propagano la diversità microbica nel microbioma intestinale sia all’interno che tra le generazioni o ospiti. La frequente interazione sociale promuove la ricchezza di specie all’interno dei singoli microbiomi, nonché l’omogeneità tra gli intestini dei membri delle diverse comunità di scimpanzé».

Inoltre, «Il campionamento di generazioni successive in più famiglie di scimpanzè suggerisce che i cuccioli  ereditano i microrganismi intestinali principalmente attraverso la trasmissione sociale – dicono gli scienziati – Questi risultati indicano che il comportamento sociale genera un pan-microbioma, preserva la diversità microbica attraverso le scale temporali evolutive e contribuisce all’evoluzione di specie-ospiti-specifiche  delle comunità microbiche intestinali».

Quindi, anche se trascorrere del tempo in stretto contatto con gli altri porta spesso al rischio di ammalarsi a causa dei germi, essere socievole può anche aiutare a trasmettere microbi “buoni”.

I ricercatori statunitensi hanno monitorato per 8 anni i cambiamenti nei microbi intestinali e il comportamento sociale degli scimpanzé selvatici nel Gombe National Park, in Tanzania, scoprendo che il numero di specie batteriche nel tratto intestinale di uno scimpanzé sale quando gli scimpanzé sono più gregari.  Risultati che aiutano gli scienziati a capire meglio i fattori che mantengono sano anche il microbioma intestinale degli esseri umani. Infatti, come spiegano i ricercatori, «Le calde e morbide pieghe dei nostri intestini ospitano centinaia di specie di batteri e altri microbi che aiutano a scomporre il cibo, sintetizzano le vitamine, addestrano il sistema immunitario e combattono le infezioni. Una ridotta diversità microbica intestinale negli esseri umani è stata collegata all’obesità, diabete, alla Crohn e ad altre malattie». Uno degli autori dello studio, Andrew Moeller, dell’università delle California – Berkeley, sottolinea che «Più sono diversificati i biomi delle persone, più esistenti sembrano essere alle infezioni opportunistiche».

Moeller e i suoi colleghi hanno analizzato il DNA batterico degli escrementi di 40 scimpanzé di ogni età, dai neonati agli anziani, e hanno individuato migliaia di specie di batteri che prosperano nelle viscere di questi nostri cugini, molti dei quali sono comuni anche negli esseri umani, come Olsenella e Prevotella. Poi il team ha messo insieme i dati microbici con i dati giornalieri di quello che i primati mangiavano e con quanto tempo passavano con gli altri scimpanzé o da soli.

«Gli scimpanzé tendono a passare più tempo insieme durante la stagione delle piogge, quando il cibo è più abbondante – evidenzia un altro degli autori, Steffen Foerster della Duke University – Durante la stagione secca stanno più tempo da soli». Così i ricercatori americani hanno scoperto che ogni scimpanzé aveva circa il 20 –  25% in più di specie batteriche durante la stagione delle piogge, quando socializzano di più, che  durante la stagione secca, ma dicono che «Le differenze nel microbioma non sono dovute unicamente ai cambiamenti stagionali nella frutta, foglie e insetti che costituiscono la loro dieta», sono importanti anche i cambiamenti di comportamenti sociali. .

La coautrice, Anne Pusey, preside del dipartimento di antropologia evolutiva della S Duke University,  evidenzia che «Probabilmente i batteri intestinali delle scimmie passano da  uno scimpanzé all’altro durante il grooming,  l’accoppiamento o altre forme di contatto fisico, o quando passano inavvertitamente dove hanno defecato altri scimpanzé». I ricercatori hanno scoperto che «Il mix di batteri nelle viscere degli animali è altrettanto simile tra individui non imparentati che in quello tra madri e figli. Questo è stato sorprendente, perché i cuccioli assumono il primo icrobioma dalla madre quando passano attraverso il suo canale del parto. I risultati suggeriscono che, nel corso della vita, le interazioni sociali con gli altri scimpanzé sono altrettanto importanti per la diversità microbica intestinale dell’esposizione iniziale da parte della mamma».

Gli scienziati non sanno ancora se collegamenti sociali aiutano a mantenere la diversità del microbioma intestinale anche negli esseri umani. «Una delle principali ragioni per cui abbiamo iniziato a studiare i  microbiomi degli scimpanzé   che ci ha permesso di fare degli studi che non sono stati fatti o non possono essere fatti negli esseri umani – dice il co-autore Howard Ochman dell’università del Texas – Austin – E’ davvero una risorsa straordinaria e non sufficientemente sfruttata in precedenza. «Possiamo pensare al pan-microbioma come a Internet, che è pieno di informazioni depositate da parte di individui. Se uno o più individui hanno perso un po’ di queste informazioni, è possibile riaverle indietro».

Allo studio, finanziato dal National Institutes of Health e dalla National Science Foundation  hanno partecipato anche Michael Wilson dell’università del Minnesota e Beatrice Hahn, della Perelman School of Medicine dell’università della Pennsylvania. Lo studio pubblicato su  Science Advances, conferma le intuizioni dei un precedente studio,  “Social networks predict gut microbiome composition in wild baboons”, pubblicato su eLife   da un team di ricercatori guidato da da Ran Blekhman, dell’università del Minnesota, che aveva dimostrato forti collegamenti tra il contatto sociale tra i babbuini e la composizione del loro bioma intestinale. Blekhman  ha commentato le nuove scoperte sul bioma degli scimpanzé: «Molte  persone sono interessate a ciò che effettivamente cambia o colpisce il microbioma, perché sappiamo che questi cambiamenti possono influenzare la nostra salute. Sappiamo che otteniamo il nostro primo microbioma quando nasciamo. Ma come fa a cambiare? Cosa influenza questo cambiamento? Ad esempio, una maggiore diversità dei microbi intestinali potrebbe contribuire a combattere  disturbi come la malattia di Crohn, che precedentemente è stata associata a cambiamenti del microbioma intestinale umano. Ma se esistono armi utili nel pan-microbioma, gli scienziati devono cominciare a prendere le misure necessarie, prima che alcune specie vadano perse per sempre. Sappiamo che l’occidentalizzazione sta distruggendo il nostro microbiota nativo co-evoluto. Finora, il lavoro si è concentrato sulle conseguenze della perdita della diversità microbica ancestrale negli individui, tuttavia, se dal pan-microbioma umano stanno scomparendo dei batteri che non potranno mai essere recuperati, in futuro sarà importante catalogare la diversità microbica di intere popolazioni umane, non solo degli individui».

Moeller conclude: «Se la trasmissione fosse esclusivamente da madre a figlio,  anche solo  per caso alcuni microbi potrebbero non farcela e andrebbero persi per sempre. Nello scenario della trasmissione sociale, questa possibilità è notevolmente ridotta, perché così i microbi dovrebbero essere persi da ogni individuo contemporaneamente, un evento molto improbabile. Sono necessari ulteriori studi per determinare come le singole fluttuazioni della diversità del microbioma nell’intestino degli scimpanzé abbia un  impatto sulla loro salute».