La dieta del mondo è fatta di prodotti agricoli “stranieri”, una minaccia per la diversità

Colture "straniere" - dal mais al mango - dominano i consumi e le pratiche agricole nazionali

[10 Giugno 2016]

Lo studio “Origins of food crops connect countries worldwide”  ricorda che «La ricerca sulle origini di piante alimentari ha portato al riconoscimento che specifiche regioni geografiche di tutto il mondo sono state  di particolare importanza per lo sviluppo delle colture agricole. Eppure, il contributo relativo di queste diverse regioni nel contesto degli attuali  sistemi alimentari attuali non è stato ancora  quantificato». Su Proceedings of the Royal Society B  un team di ricercatori del Center for Tropical Agriculture (CIAT), del Dipartimento dell’agricoltura Usa, del Global Crop Diversity Trust e di diverse università and United States Department of Agriculture  ha determinato le origini, secondo  “le  regioni primarie della diversità” dei prodotti agricoli che rappresentano le maggiori scorte di cibo e produzione agricola dei Paesi di tutto il mondo e ha scoperto che le origini di oltre due terzi dei cereali, legumi, frutta, verdura e altre colture agricole che i paesi crescono e consumano può essere fatta risalire ad antiche coltivazioni i in lontane parti del mondo.

Lo studio, che riguarda 151 colture e 177 Paesi, quantifica scientificamente  per la prima il livello di interconnessione delle diete nazionali e delle economie agricole in termini di piante non autoctone, facendo la storia della diaspora globale delle colture e permettendo una maggiore comprensione di come la globalizzazione continui a influenzare ciò che mangiamo. Secondo i ricercatori, «I risultati hanno anche importanti implicazioni per gli sforzi per rendere l’approvvigionamento alimentare globale più resiliente a sfide quali il cambiamento climatico».

Il principale autore dello studio, Colin Khoury, che lavora per il CIAT e per il Dipartimento dell’agricoltura Usa, sottolinea: «E’ affascinante vedere fino a che punto tante  piante che sono diventate sinonimo di diete tradizionali dei Paesi lo siano diventate a molte migliaia di miglia da dove apparvero quelle piante. Se stai mangiando pomodori in Italia o peperoncini in Thailandia, stai consumando alimenti che hanno avuto origine molto lontano, e che hanno raggiunto quei luoghi in tempi relativamente recenti. Solo ora sappiamo quanto le diete nazionali ei sistemi agricoli in tutto il mondo dipendono da colture che hanno avuto origine in altre parti del mondo».

Il folto gruppo di ricercatori capeggiato da  Khoury ha analizzato una serie di prodotti agricoli  essenziali per l’approvvigionamento alimentare (misurato in calorie, proteine, grassi, e peso alimentare) e la produzione agricola nazionale (misurata in quantità di produzione, area di raccolta e il valore della produzione) in Paesi che coprono il 98% della popolazione mondiale. Ogni coltura è stata fatta risalire a 23 “regioni primarie della diversità” del mondo, cioè aree geografiche nelle quali sono state domesticate e sviluppate tutta una serie di piante commestibili che poi diventare le colture alimentari che conosciamo e delle quali ci cibiamo oggi. «Negli ultimi secoli – spiegano i ricercatori dl CIAT – la migrazione, il colonialismo, e il commercio hanno portato a molte di queste colture ad essere prodotte e consumate lontano dalle loro regioni primarie della diversità, una tendenza che continua ancora oggi».

Lo studio ha scoperto che tutti i Paesi del mondo fanno affidamento su colture “straniere” che ha avuto origine in regioni geografiche ben lontane dai loro confini. Per esempio, gli alimenti di origine asiatica e del Mediterraneo occidentale dominano le diete negli Usa, questo è dovuto alla preponderanza di colture come il grano nel pane e nella pasta e dell’orzo e dell’uva in bevande come la birra e il vino. Inoltre la produzione agricola e l’economia Usa devono ringraziare gli antichi agricoltori dell’Asia orientale, dove è nata la soia,  e dell’America centrale e del Messico, dove hanno avuto origine il mais ed altre colture importanti. .

Il rapporto dimostra che oggi Paesi e regioni lontani tra loro, come l’Europa orientale, l’Argentina, la  Cina, l’Africa orientale e meridionale, l’India e Sud-Est asiatico beneficiano tutti dell’olio di girasole, un’importante fonte di calorie e grassi che ha la sua origine ancestrale in Nord America.

Nei Paesi del Pacifico, come l’Australia e la Nuova Zelanda, quasi il 100% delle diete e dei sistemi agricoli si basa su colture “non native” e lo stesso vale per le isole dell’Oceano Indiano. Per esempio, in Madagascar le più importanti colture alimentari sono riso, manioca, mais, canna da zucchero, frumento, patate dolci, soia, fagioli e banane, ognuna delle quali ha avuto origine altrove.

I Paesi meno dipendenti dai prodotti agricoli stranieri sono Cambogia, Bangladesh e Niger, ma comunque almeno un quinto della loro dieta è composta da colture che hanno avuto origine in regioni lontane. Il Messico è una “terra di mezzo” grazie alla popolarità nelle diete locali di colture come mais e fagioli, due piante autoctone della regione, alle quali si affiancano la canna da zucchero, che ha origine nell’Asia meridionale, e il grano.

In Africa, il piccolo Malawi, come la maggior parte dei Paesi del mondo, dipende da una serie di colture provenienti da regioni diverse. La sua dieta tipica è fatta di colture dell’America Centrale e del Messico (tra cui mais, manioca e fagioli), del Sud e del Sud-Est asiatico (canna da zucchero, riso e banane, e platani), del  Mediterraneo meridionale e orientale (grano), del Sud America tropicale (manioca e arachidi) e del Sud America andino (patate e fagioli).

Gli autori dello studio hanno anche scoperto che negli ultimi 50 anni  la percentuale di colture alimentari non autoctone nelle diete e dei sistemi agricoli è stata costante aumento e dicono che «E’ il risultato del mutare delle preferenze alimentari, dello sviluppo economico, dell’urbanizzazione e di altri fattori».

Khoury spera che «Una migliore comprensione della nostra continua connessione  con le regioni primarie della diversità delle colture contribuirà a cambiare il nostro modo di pensare al cibo e all’agricoltura. Dato che siamo tutti profondamente in contatto con altre parti del mondo, la nostra ricerca scientifica, le nostre politiche e le nostre istituzioni devono riflettere su questo. Ad esempio, i coltivatori che lavorano per sviluppare colture in grado di resistere ai parassiti e alle malattie o a temperature più elevate, spesso guardano alla vasta gamma di piante e colture tradizionali nelle regioni primari della diversità come fonte di caratteri utili per il miglioramento delle colture. Ma spesso questi habitat sono minacciati, o le collezioni di piante conservate non sono facilmente disponibil»i

Uno degli autori dello studio, Luigi Guarino, del Global Crop Diversity Trust, è d’accordo: «Le varietà delle colture tradizionali e dei loro parenti selvatici che si trovano in una piccola parte del mondo potrebbero potenzialmente essere usate in tutto il mondo. Ciò significa che abbiamo bisogno di ricercatori nei loro habitat naturali, e anche di raccoglierle, conservarle in banche genetiche, e condividerle ampiamente per contribuire a rendere il nostro sistema alimentare più resiliente. Lo sappiamo da tempo. E’ per questo che abbiamo il  trattato internazionale sulle PGRFA [Plant Genetic Resources for food and agriculture, ndr]. Ma è sempre bene avere i dati aggiornati»

Gli autori concludono lo studio con un invito ad agire: «Se il mondo attende troppo a lungo per conservare la diversità delle colture, il suo potenziale a beneficio del mondo potrebbe essere perso per sempre».

Ecco l’appello ad agire dei ricercatori:

1. continui investimenti nelle banche genetiche che conservino specie vegetali fondamentali per la sicurezza alimentare globale. Affinché l’umanità continui a beneficiare della vasta gamma di piante selvatiche e coltivate, queste piante hanno bisogno di essere esaurientemente conservate in banche genetiche e condivise liberamente in tutto il mondo. Queste risorse sono alla base degli sforzi da parte dei coltivatori di piante per sviluppare colture più resistenti che possono aiutare a garantire la resilienza del nostro approvvigionamento alimentare. Gli investimenti nelle banche genetiche pubbliche sono anche uno dei modi più importanti per garantire che la scienza risponda alle esigenze di alcuni dei contadini più vulnerabili.

2. continui investimenti nella raccolta di specie vegetali importanti. Continuano ad esserci un gran numero di specie di piante selvatiche e varietà di colture potenzialmente importanti, sia all’interno che all’esterno delle regioni primarie della diversità del mondo. In molte aree i loro habitat sono minacciati a causa di urbanizzazione, deforestazione, inquinamento e conflitti. Utilizzando tecnologie d’avanguardia per individuare questi habitat, il CIAT può contribuire allo sforzo globale per aiutare a raccogliere e conservare queste piante.

3. Il futuro delle diete umane. Sulla base di questo nuovo studio – e della recente ricerca CIAT sulla  globalizzazione delle diete – i responsabili politici possono beneficiare enormemente dalla ricerca sul modo in cui le diete si evolveranno probabilmente nel corso dei prossimi decenni e sulle implicazioni che questo potrebbe avere per la salute pubblica e sistemi alimentari sostenibili.