Osservazioni e proposte sulla situazione dei parchi regionali siciliani

Legambiente: «Negli ultimi 10 anni, invece, la “politica dei parchi” è stata “politica degli enti parco”»

[28 Giugno 2016]

Oggi il sistema delle aree naturali protette in Sicilia vive una fase di forte arretramento e di grave precarizzazione. E’ necessario rilanciare le politiche di tutela dell’ambiente, della natura e del paesaggio anche come scelta strategica per lo sviluppo socio-economico del meridione. L’ha affermato anche il rapporto SVIMEZ dello scorso anno.

Potenziare e rafforzare il sistema delle aree naturali protette non significa difendere acriticamente la situazione attuale; l’analisi di quanto è stato realizzato in questi anni ci consegna nodi strutturali e problematiche che vanno affrontati e risolti.

E questo ancor di più in un momento in cui i territori delle aree naturali protette sono oggetto degli interessi criminali delle agromafie e degli incendiari che lucrano sulle catastrofi prodotte. Proprio questa nuova sfida deve imporre una seria riflessione sullo stato e sul futuro dei parchi regionali, in un contesto come quello siciliano in cui le politiche ambientali arretrano e la crisi finanziaria dei bilanci pubblici impone un ripensamento di alcuni modelli gestionali.

Per i parchi regionali sono evidenti alcuni nodi: la crescita esponenziale e ingiustificata del personale, spesso non qualificato; l’assenza di pianificazione: nessun parco dopo 15 anni dall’istituzione è dotato del piano territoriale; il continuo commissariamento degli enti; l’assenza di vigilanza sul territorio; l’assenza di azioni di contrasto a pratiche illegali diffusissime: dal bracconaggio ai tagli del legname, dal fuoristradismo all’abusivismo edilizio. Anche la stessa vicenda delle agromafie dei Nebrodi dimostra quanta disattenzione ci sia negli altri territori per questo fenomeno noto e diffusissimo; gestioni spesso autoreferenziali e fuori da approcci di sistema con il resto del mondo delle aree protette; assetti organizzativi in profondo contrasto tra di loro, basti pensare alla questione dei guardiaparco presenti solo sui Nebrodi; la rinuncia da parte dei parchi a un ruolo critico nei confronti della Regione per l’assenza di politiche settoriali o scelte in danno delle aree protette; il rifiuto degli enti parco dell’assunzione della Rete Natura 2000 come maglia di riferimento per una svolta nelle politiche di conservazione della biodiversità.

Per noi il parco è un progetto di conservazione della natura e di promozione dello sviluppo sostenibile di un territorio e della sua comunità.

Negli ultimi 10 anni, invece, la “politica dei parchi” è stata “politica degli enti parco”, con un occhio soltanto a inquadramento del personale, dotazioni finanziare, nomine dei vertici con il prevalere di un gestionalismo fine a se stesso privo di visione strategica e proiezione futura pluriennale.

Occorre modificare sostanzialmente l’attuale quadro di principi e di riferimento normativo e programmatico (di tipo urbanistico e legato alla normativa dei primi anni Ottanta) per ancorarlo a quello sulla normativa nazionale e internazionale e sulle direttive comunitaria in materia di biodiversità e sviluppo sostenibile. In generale, vanno mantenuti alcuni aspetti delle LL.RR. n.98/1981 e n.14/1988 che hanno ben funzionato, introducendo correttivi per le parti positive inapplicate ed evitando una riscrittura generale della legge che rischierebbe di mettere in discussione i risultati sinora ottenuti.

Occorre abolire una serie di norme che negli anni hanno favorito la deregulation e vanificato alcuni aspetti positivi dell’impianto originario delle LL.RR. 98/1981 e 14/1988.

La legge quadro n.394 non ha trovato in Sicilia né recepimento formale né ha costituito stimolo per l’adozione di prassi o scelte progettuali costituenti buone pratiche nei parchi nazionali.

Anzi l’unica attuazione della legge n.394 è stata quella di produrre, con una sentenza della Corte Costituzionale del 2014, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale della legge regionale in materia d’istituzione delle riserve naturali, portando all’annullamento di quella dei Pantani della Sicilia sud orientale, area di straordinaria importanza ornitologica a livello europeo.

Gli organismi di gestione dei parchi regionali siciliani, in contrasto con i principi della legge quadro nazionale, vedono la presenza dei soli rappresentanti degli enti locali e nel 2012, su richieste dei presidenti degli enti parco siciliani, sono state espunte le rappresentanze del mondo scientifico e di quello ambientalista.

Ma è sul piano della spesa e dell’organizzazione che il sistema dei parchi regionali è insostenibile e inaccettabile, sempre più sul piano sociale.

I 4 parchi regionali (non teniamo conto del Parco dei Sicani di fatto non operante) costano 1,2 milioni di euro per il funzionamento e la gestione e quasi 12 milioni di euro per il personale (oltre 260 dipendenti).

I dati configurano dei veri e propri stipendifici e si commentano da soli, anche con riferimento a parametri oggettivi o a quelli cui s’ispira l’organizzazione dei parchi nazionali, di gran lunga più estesi e che hanno conseguito spesso maggiori risultati:

 

Alcantara e Sicani sono senza presidente e da anni gli assessori regionali di turno si prodigano nella nomina come commissari di collaboratori del proprio staff, spesso esterni all’amministrazione regionale e strumentalmente inquadrati.

Tale pratica, assai pregiudizievole per la continuità amministrativa e per la credibilità della stessa istituzione parco, ha riguardato anche i direttori dei parchi come dimostra la continua alternanza di dirigenti dell’Assessorato regionale territorio ambiente inviati, per pochi mesi, a turno a dirigere il Parco dell’Etna.

Occorre fissare norme sull’incompatibilità a livello di organi di gestione e la scelta dei presidenti degli enti parco deve scaturire da procedure pubbliche comparative tra più candidati.

La vicenda del Parco dei Monti Sicani è poi scandalosa.

Istituito per la prima volta nel 2012, ripetutamente cancellato dal TAR e reistituito definitivamente nel 2014, oggi registra soltanto la continua alternanza di commissari e la presenza occasionale di un funzionario della Regione come direttore provvisorio. E’ senza organi, senza fondi e non compie alcun atto gestionale.

Il Parco dei Sicani, sino a oggi, ha avuto come unico risultato, deleterio, la soppressione della gestione di 4 preesistenti riserve naturali ben gestite dall’Amministrazione forestale.

Anche la vicenda dei guardiaparco è indicativa della gravità della situazione.

Previsti per legge per tutti i parchi, solo quello dei Nebrodi se n’è dotato, mentre storicamente i presidenti degli altri enti parco si sono rifiutati di procedere alla loro costituzione. E tale contraddizione e violazione di legge continua a essere consentita dalla Regione, con grave pregiudizio per la protezione dell’integrità delle aree continuamente aggredite da piccoli e grandi abusi (vedi bracconaggio sulle Madonie o discariche di rifiuti sull’Etna).

Anzi nel tempo delle piante organiche sono state modificate e piegate alle logiche, spesso di tipo politico-clientelare, di stabilizzare personale precario o proveniente da altre amministrazioni o in avvicinamento da sedi lavorative extra regionali, senza tenere conto delle professionalità necessarie.

Basta vedere quanti zoologi, forestali, botanici sono, anzi non sono presenti, nelle piante organiche degli enti parco siciliani.

Oggi il rilancio del sistema passa attraverso alcune scelte coraggiose, pena la perdita di credibilità dei parchi siciliani: modifica della legge regionale per rendere più efficace le gestioni, imponendo standard e obiettivi, pena la sostituzione degli amministratori; abolizione dell’Ente parco dell’Alcantara e incorpamento del relativo territorio protetto del parco fluviale nel Parco dell’Etna; istituzione del Parco dei Monti Peloritani, già definito da molti anni; ridefinizione delle piante organiche, con una significativa riduzione del numero e una forte riqualificazione in direzione di competenze specialistiche sia gestionali che tecnico-scientifiche; integrazione con il sistema dei parchi nazionali, attraverso l’istituzione di quelli dell’Arcipelago delle Egadi e dell’Arcipelago delle Eolie, con una gestione unitaria di terra e mare; rafforzamento del sistema di vigilanza, attraverso la previsione dei corpi di vigilanza in tutti i parchi o l’impiego del Corpo Forestale Regionale, prevedendo idonei strumenti di dipendenze funzionali di alcuni nuclei dai direttori degli enti parco; rafforzare il ruolo di pianificazione e programmazione strategica, indirizzo e controllo dell’Assessorato regionale territorio e ambiente, dando valenza giuridica alla Rete Ecologica e alla Carta della Natura; disciplinare la gestione dei Siti Natura 2000, affidando i compiti agli enti gestori delle aree naturali protette e rivedere, in senso coerente, le norme sulla valutazione d’incidenza, togliendone la competenza ai Comuni; rivedere e rafforzare il quadro finanziario che deve avere carattere certo pluriennale. Riattivare i capitoli per spese in conto capitale.

Per quanto riguarda il riordino della governance, l’assetto degli organi di gestione non può continuare a essere così difforme da quanto previsto dalla legge quadro, anche in termini di riduzione del numero dei componenti e di garanzia della pluralità delle rappresentanze.

Legambiente Sicilia