Perché abbiamo più empatia e compassione verso alcune specie animali e nessuna per altre

Pubblicata la prima “carte affective” del mondo vivente: siamo condizionati dai nostri pregiudizi sensoriali

[14 Gennaio 2020]

Nello studio “Empathy and compassion toward other species decrease with evolutionary divergence time”, apparso su Scientific Reports, Aurélien Miralles e Guillaume Lecointre dell’Institut de systématique, évolution, biodiversité-ISYEB (Sorbonne Universités /CNRS/EPHE/UPMC) e Michel Raymond dell’ISEM – Université Montpellier pubblicano «una cartografia del mondo vivente vista attraverso il prisma dei nostri affetti» che punta in particolare a determinare «in quale misura la nostra capacità di essere in empatia con altri organismi e a sentire della compassione verso di loro, fluttua da una specie all’altra».

Circa 3.500 internauti hanno compilato un questionario online progettato per valutare le loro percezioni di tipo empatico ed è stato sottoposto loro un campione fotografico di organismi molto diversificati, che andavano dalle piante agli esseri umani. I ricercatori francesi dicono che «I risultati mettono in luce la componente evolutiva delle nostre reazioni empatiche e le presa dei meccanismi antropomorfici sul nostro rapporto affettivo col vivente: più un organismo è progressivamente distante da noi, meno ci riconosciamo in lui e meno ci emozioniamo per il suo destino. Quando una specie è evolutivamente vicina a noi (ad esempio grandi scimmie VS meduse o anemoni), condividiamo con loro le caratteristiche, in particolare fisiche, acquisite gradualmente durante la nostra comune evoluzione. Così possiamo riconoscervi più facilmente un alter ego e adottare per lei gli stessi comportamenti prosociali di quelli che ci consentono di mantenere relazioni armoniose con i nostri simili (ad esempio compassione, altruismo, attaccamento)».

Insomma, secondo la prima  “carte affective” del mondo vivente, proviamo più empatia per le grandi scimmie e gli altri primati che ci somigliano, quasi niente per insetti, piante e funghi. I ricercatori hanno determinato che la specie verso la quale proviamo istintivamente più affetto e/o compassione è l’orango e ricordano che il video del 2018 di un orango che affrontava un bulldozer che stava distruggendo la sua foresta in Indonesia diventò virale e creò molta emozione in tutto il mondo (probabilmente mota meno in Indonesia tra chi aveva invaso l’habitat degli oranghi). Invece, la sorte di specie come le zecche, i cactus o le meduse lascia indifferenti praticamente tutti gli esseri umani.

Miralles, Lecointre e Raymond concludono che la loro “carte affective” e «I risultati di questo studio hanno potenziali implicazioni per l’antropologia, la scienza cognitiva o la scienza evolutiva. Ci invitano anche a dare un’occhiata più da vicino all’influenza esercitata dai nostri pregiudizi sensoriali ed emotivi sulle questioni sociali che coinvolgono le nostre relazioni con il resto del vivente (conservazione della biodiversità, etica alimentare, benessere animale…)».

E magari potrebbero permetterci di interrogarci anche sul razzismo, la xenofobia e la paura verso i nostri simili con un colore di pelle diversa, per i quali a volte abbiamo meno empatia e compassione che per un cane o un gatto.