Perché gli elefanti si ubriacano? (VIDEO)

Molti mammiferi non possono metabolizzare l'alcol come facciamo noi. Le dimensioni corporee non c’entrano

[4 Maggio 2020]

Nonostante le segnalazioni di elefanti a caccia di birra nei villaggi indiani e africani o di esemplari “ubriachi” che devastavano campi e baracche, molti scienziati erano convinti che gli elefanti, data la loro mole, non potessero ubriacarsi, una tesi smentita dal nuovo  studio “Genetic evidence of widespread variation in ethanol metabolism among mammals: revisiting the ‘myth’ of natural intoxication”, pubblicato su Biology Letters da un team di ricercatori canadesi dell’università di Calgary.

L’ubriachezza tra gli animali non riguarda solo gli elefanti: aneddoti su animali selvatici apparentemente ebbri dopo aver mangiato frutta in decomposizione o aver bevuto prodotti alcoolici prodotti dagli eseri umani abbondano in tutto il mondo. Ci sono le storie degli elefanti elefanti africani ubriachi per aver mangiato i frutti troppo maturi dell’albero di marula (il liquore Amarula Cream è fatto con la stessa pianta), oppure l’alce svedese rimasto bloccato su un albero dopo aver mangiato troppe mele in fermentazione, o i cercopitechi verdi dell’isola caraibica di St. Kitts che rubano i cocktail ai turisti. Per non parlare degli scimpanzé che in Guinea realizzano anche spugne con le foglie che poi strizzano per poter bere la linfa fermentata dioglie in contenitori appesi a palme da rafia.

Eppure, nel 2015, con lo studio “Myth, Marula, and Elephant: An Assessment of Voluntary Ethanol Intoxication of the African Elephant (Loxodonta africana) Following Feeding on the Fruit of the Marula Tree (Sclerocarya birrea)”, Steve Morris, David Humphreys e Dan Reynolds della School of Biological Sciences dell’università di Bristol derubricavano gran parte di queste storie ad aneddoti della fantasia popolare, a cominciare da quello degli elefanti ubriachi.  Ma la principale autrice del nuovo studio, Mareike Janiak, un’ecologa molecolare e antropologa dell’università di Calgary e dell’Alberta Children’s Hospital Research Institute, che studia gli adattamenti digestivi degli animali, spiega che con il lavoro pubblicato su Biology Letters sul metabolismo dell’etanolo «Abbiamo scoperto che queste conclusioni potrebbero essere state premature e che le storie sugli elefanti, e su altri mammiferi, che si inebriano mangiando frutta in decomposizione potrebbero essere vere».

La Janiak evidenzia che «Quando gli scienziati affermavano che gli elefanti non potevano ubriacarsi mangiando frutta in decomposizione, basavano queste affermazioni su un semplice calcolo che includeva la quantità di etanolo che è nella frutta di marula, quanto velocemente gli esseri umani abbattono l’etanolo e la dimensione del corpo di elefanti. Quindi fondamentalmente hanno considerato la quantità di frutti di marula ci vorrebbe per ubriacarci e poi le hanno moltiplicate per le dimensioni di un elefante. Tuttavia, in questa logica c’è un difetto fatale: presuppone che gli elefanti siano in grado di abbattere l’etanolo con la stessa rapidità con cui lo fanno gli esseri umani. La ricerca suggerisce che questo presupposto potrebbe non essere vero».

Dallo studio viene fuori che in realtà noi esseri umani abbiamo una capacità quasi unica di metabolizzare rapidamente l’etanolo: «Uno degli enzimi coinvolti nella scomposizione dell’etanolo, la classe 4 del disidrogeno da alcol, codificata dal gene ADH7, ha una variazione che ci rende 40 volte più veloci nel metabolizzare l’etanolo rispetto ad altri primati – dicono gli scienziati canadesi – Questo cambiamento si è evoluto circa 10 milioni di anni fa nella nostra discendenza comune con i gorilla e gli scimpanzé, molto prima che iniziassimo intenzionalmente a fermentare bevande (cosa iniziata non prima di 12.000 anni fa). Il cambiamento potrebbe essere un adattamento per potersi nutrire di frutta, soprattutto dopo il passaggio a uno stile di vita terricolo, dove probabilmente abbiamo trovato più frutta caduta. I frutti selvatici e i nettari troppo maturi possono avere un contenuto sorprendentemente elevato di etanolo, simile a quello di alcune birre chiare!»

Quindi, se gli esseri umani hanno un metabolismo in grado di smaltire l’etanolo piuttosto velocemente, il confronto tra la nostra stazza e quella degli elefanti per determinare quanto reggono l’alcool potrebbe essere inappropriato. Come spiega ancora la Janiak, «Per saperne di più sulle capacità di altri mammiferi di abbattere l’etanolo, abbiamo confrontato il gene ADH7 per 85 mammiferi. Abbiamo scoperto che la maggior parte di loro non condivide la variazione per una ripartizione più rapida dell’etanolo, e che molti mammiferi non avevano nemmeno un gene ADH7 funzionale, compresi gli elefanti africani e asiatici. Anche i mammut, un parente estinto dell’elefante, non ne avevano. Quel che i mammiferi che hanno perso il gene ADH7 hanno in comune è che non mangiano regolarmente molti frutti: le loro diete sono costituite da erba (mucche, cavalli, pecore e capre) e fogliame (castori, elefanti) o carne (cani, leoni marini, balene e delfini). Ora, il metabolismo dell’etanolo è un processo complesso che coinvolge diversi passaggi e un certo numero di enzimi diversi, quindi è possibile che gli elefanti abbiano un altro modo di abbattere l’etanolo. Ma è molto improbabile che l’efficienza con cui possono farlo sia paragonabile a quella degli esseri umani».

Insomma, confrontare semplicemente le dimensioni corporee non permette di capire con precisione se gli elefanti possono ubriacarsi mangiando i frutti di marula in fermentazione.

Ma ci sono altri mammiferi che condividono le stesse modifiche, o simili, degli esseri umani al loro gene ADH7? La Janiak risponde che «Quel che tendono ad avere in comune è che mangiano un sacco di frutta o nettare. Ad esempio, l’aye-aye, un primate che vive in Madagascar, è noto per bere il nettare della palma del viaggiatore, che si ipotizza sia fermentato. Anche i pipistrelli della frutta, come le volpi volanti o il pipistrello mattutino, che non mangiano altro che frutta e nettare potrebbero essere più bravi ad abbattere l’etanolo. Questo potrebbe essere un adattamento importante: come potete immaginare, essere ubriaco sarebbe una cosa particolarmente cattiva per un mammifero volante».

La scienziata canadese conclude. «Le diete dei mammiferi sono meravigliosamente diverse, così come lo sono i loro sistemi e adattamenti digestivi. Invece di estrapolare dall’uomo il metabolismo degli animali e antropomorfizzarli, dobbiamo considerare la storia evolutiva di ogni specie e le loro diete. Tutte quelle storie sugli animali ubriachi? Dopo tutto, tra loro ci potrebbe essere qualche verità».

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