Pesca italiana, varato il Programma nazionale triennale 2013-2015

Il trend degli ultimi anni evidenzia un calo costante della produzione ittica nazionale, inferiore alle 400mila tonnellate

[19 Giugno 2013]

E’ stato adottato il Programma nazionale triennale della pesca e dell’acquacoltura 2013-2015, con relativo decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale di ieri. Il suo fine è quello di assicurare la tutela dell’ecosistema marino e della concorrenza e garantire la competitività del settore ittico, mentre la sua attuazione è possibile grazie all’utilizzo degli stanziamenti iscritti nei pertinenti capitoli dello stato di previsione della spesa  del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per gli anni 2013-2015.

Il Programma è lo strumento di governo della pesca italiana per le competenze di natura nazionale che debbono essere strettamente integrate a quelle dell’Unione europea e a quelle assegnate alle Regioni.

La pesca è un settore capace di creare reddito e occupazione, ma è anche un settore che richiede l’uso del mare e la gestione attiva degli ecosistemi marini. Pertanto, ogni prospettiva economica non può essere disgiunta dalle politiche di conservazione delle risorse acquatiche viventi e della biodiversità marina in generale. La pesca dunque, con i suoi attori che presidiano le coste e le acque territoriali, deve giocare un ruolo attivo nelle nuove politiche europee che mirano a una conservazione integrata del mare nell’ambito di una strategia marina complessiva.

Ed è proprio in questa direzione che la nuova programmazione deve muoversi. Una programmazione che si inserisce in un momento di trasformazione delle politiche europee per la pesca. E’ in atto il processo di adeguamento alle diverse normative emanate nell’ultimo quinquennio (dal regolamento sulla pesca nel Mediterraneo, al regolamento sulla pesca illegale; dalla riforma del sistema sanzionatorio e dei controlli, fino agli adempimenti del “pacchetto  igiene”), e si sta avvicinando il cambiamento atteso dalla riforma della politica comune della pesca (Pcp) corredata dal relativo strumento finanziario, il Fondo europeo affari marittimi e pesca (Feamp). Un processo che, comunque, si inserisce nel più vasto ambito della Strategia Europa 2020, che punta a rilanciare l’economia dell’Ue nel prossimo decennio e in cui irrompe come priorità strategica la Politica marittima integrata (Pmi), volta a liberare il potenziale di crescita sostenibile dell’economia del mare. Una strategia che si basa anche sulla definizione del nuovo Quadro strategico comune (Qsc), come strumento per ottimizzare l’impatto degli investimenti finanziari europei nel periodo 2014-2020, attraverso una migliore integrazione e coordinamento dei diversi Fondi disponibili, tra cui il Feamp. L’obiettivo della corretta politica della pesca è la possibilità di sostenere la tutela delle risorse biologiche e la redditività delle attività di impresa, la salvaguardia dell’occupazione e la coesione territoriale nelle realtà costiere.

Le politiche comunitarie e nazionali messe in campo nell’ultimo decennio hanno prodotto una profonda razionalizzazione del settore rinnovando in parte le imbarcazioni, ma pagando un prezzo pesante in termini di dismissioni e dunque di fuoriuscita di imprese ed equipaggi. Queste politiche hanno determinato una consistente riduzione dello sforzo di pesca senza contribuire in maniera decisiva alla ricostituzione degli stock ittici. L’esame degli indicatori di sostenibilità sociale ed economica dimostra, infine, il perdurare di una crisi settoriale dal lato della produzione che trova nella limitata competitività del sistema imprenditoriale il suo punto di maggiore difficoltà.

La fragilità finanziaria ed economica delle imprese, il controllo dei prezzi da parte del settore distributivo e commerciale che penalizza l’impresa della pesca, l’agguerrita concorrenza da parte di imprese extraeuropee, l’andamento erratico dei costi intermedi e in particolare del costo del carburante – cosa che non può essere traslato sui prezzi – mettono a rischio l’esistenza stessa di una tradizione economica e culturale millenaria come quella della pesca italiana.

Il problema più evidente e attuale è di tipo macroeconomico. La bilancia commerciale italiana è peggiorata: è aumentata progressivamente la dipendenza dell’approvvigionamento del prodotto dall’estero; l’acquacoltura è stata chiamata a compensare la riduzione della produzione tradizionale, ma, per una molteplicità di motivi, non ha assunto un effettivo ruolo.

Il trend degli ultimi anni evidenzia, infatti, un calo costante della produzione ittica nazionale che, negli ultimi due anni, è scesa al di sotto delle 400 mila tonnellate. Nell’ultimo decennio si è registrato un calo sensibile dell’importanza assunta dalle attività di cattura. In termini economici, il ridimensionamento del peso assunto dal comparto della pesca in mare è stato meno vistoso ma, comunque, sostenuto. Il fatturato derivante da attività di cattura e diminuito del 30% nel periodo 2000-2011, mentre quello derivante da attività di allevamento è diminuito, nello stesso arco temporale, del 5%.

Per quanto riguarda la pesca in mare, la produzione ittica ha subito un drastico ridimensionamento dal 2008. I bassi livelli di fatturato legati alla minore produzione, l’aumento dei costi operativi e la stagnazione della domanda interna hanno fortemente indebolito le imprese ittiche. Nel 2011 la produzione lorda vendibile ha raggiunto uno dei livelli più bassi dal 2000 e le prime stime relative agli stessi valori per l’anno 2012 mostrano il perdurare, se non l’aggravarsi, della tendenza negativa.

Sebbene il settore della pesca abbia registrato un calo delle catture, i prezzi alla produzione si sono mantenuti su livelli molto bassi, se non addirittura decrescenti; questi ultimi, piuttosto che riflettere gli aumenti dei costi operativi, sono rimasti stazionari se non addirittura in calo, impedendo alle imprese di pesca di riversare gli aumenti dei costi a valle della filiera.

E.S.