Possiamo impedire la prossima catastrofe naturale?

Il lavoro di uno scienziato per eradicare le specie invasive dalle isole

[17 Giugno 2015]

Tornado, terremoti, tsunami, uragani e, più di recente, nelle isole Galapagos, un vulcano in eruzione; E’ chiaro che le catastrofi naturali non sono rare sul nostro pianeta blu. Aggiungeteci Internet e i programmi di news 24 ore su 24 e siamo immediatamente consapevoli di tutto ciò che sta succedendo, dal nostro quartiere agli angoli più remoti della Terra. Ogni volta che vedo le notizie di un fenomeno come questi, rabbrividisco mentre riportano la devastazione – a prescindere dal fatto che non mi sono mai realmente trovato direttamente nell’epicentro.
Quelli di voi che, come me, non hanno subito un evento come questi, possono considerarsi non esposti ad una calamità naturale? Per molto tempo l’ho pensato, fino a quando, quasi 15 anni fa, ho comprato un biglietto aereo di sola andata per le Isole Galápagos.
Ero ancora un teenager che cercava di laurearsi in scienza della fauna selvatica presso la Oregon State quando il mio advisor ed amico Bruce Coblentz ha deciso che avevo bisogno di sgranchirmi le gambe con qualcosa di unico e appropriato alle mie competenze. Ha riunito i suoi colleghi e la cosa successiva a cui stavo pensando era quella di fare i miei bagagli e di lasciare il Paese per l’Ecuador come volontario per la Charles Darwin Foundation, dove avrei lavorato con il Parco Nazionale delle Galapagos per proteggere le famose tartarughe giganti eradicando le capre e gli asini selvatici dalle isole di Santiago e Isabela (aka Project Isabela).
Eradicare? Rinselvatichito? Eh? Ero sicuro che avrei capito cosa significava tutto questo più tardi. Nel frattempo, avevo preparato un elenco di ciò che volevo sperimentare in questa terra favolosa avevo sentito tanto parlare. Primo, dovevo vedere una tartaruga gigante! Secondo, dovevo nuotare con un branco di squali martello. Terzo, osservare in natura uno dei famosi fringuelli di Darwin. E, infine, gustare, legalmente, una birra. Sono arrivato sulle isole e presto ho fatto la conoscenza di un australiano di nome Karl Campbell, che ha prontamente sostituito la mia lista con due obiettivi: imparare tutto sul Project Isabela e quindi implementare le fondamenta della mie nuove conoscenze.
Ben presto ero al lavoro e arrancavo attraverso il vasto paesaggio di Santiago Island, in soggezione verso ciò che avevo di fronte. Pascoli con pozze paludose, tartarughe quasi delle dimensioni di una Fiat nelle paludi fangose e profondi sentieri che ricoprivano l’isola come la tela di un ragno.
«Wow! Sono davvero qui nelle Galápagos!», mi dissi, prendendo una profonda boccata d’aria fresca dell’isola. Quello che non sapevo è che tutto questo non erano “le” Galapagos. In poche parole, riguardo alle mie aspettative, ero stato dolorosamente ingenuo. Questo paesaggio non era nemmeno vicino a quello che avevano visto Darwin e quelli arrivati prima di lui. I pascoli che cercavo una volta erano foreste, prima le paludi di fango erano rinfrescanti stagni e gli ampi e profondi sentieri creati ed incisi dagli zoccoli degli ungulati avevano cancellato i tunnel essenziali per le tartarughe che attraversavano una fitta vegetazione.
Quello che stavo assistendo era quello per il quale il mio advisor Bruce ha coniato il termine “morti viventi.” Molte delle specie autoctone ed endemiche che avevo di fronte avevano la rotta impostata verso l’estinzione: era solo una questione di tempo prima che arrivassero a destinazione. Quale è stata la causa di tutto questo? E’ stata un bomba ad orologeria che era stato messa un po’ ingenuamente lì da molto tempo, senza comprenderne gli impatti.
Specie invasive non autoctone, tra le quali maiali, capre e asini, erano state rilasciate da balenieri, marinai e pirati, e questi animali hanno fatto semplicemente quello che dovevano fare per sopravvivere; su Santiago e Isabella questo significa che hanno divorato il territorio, il che ha eroso l’isola fino ad uno stato in cui la vegetazione lottava per rigenerarsi e gli animali come la Tartaruga gigante sono stati lasciati a cuocere nel proprio guscio sotto il sole equatoriale. Altri impatti gravi sono ben allenati per realizzarsi, come ad esempio gli alberi maturi stanziali che stanno raggiungendo la fine della loro vita riproduttiva senza aver reclutato un solo alberello per lasciare il segno di oltre un secolo di esistenza.
Dato che il progetto procedeva e che il forte recupero dell’isola innescato dalla sistematica rimozione di ogni ungulato su Santiago era evidente, ho cominciato a realizzare quello di cui ero stato testimone era un vero e proprio disastro naturale. E’ diventato chiaro che, anche se gli impatti delle specie invasive non erano istantanei o sensazionali, come un vulcano in eruzione o la scossa di un terremoto, le isole e le loro specie insostituibili erano a serio rischio di essere definitivamente distrutte sotto i nostri occhi.
Questo fenomeno non è unico per le Galápagos e sta avvenendo su molte delle isole del nostro mondo e nei loro sensibili ecosistemi. Fortunatamente, tutti noi possiamo fare qualcosa al riguardo. A differenza delle calamità naturali che colpiscono in un attimo, siamo spesso in grado di identificare e rimuovere il ticchettio di questa bomba a tempo delle specie invasive con metodi e strategie guidate dalla scienza, con il miglioramento della consapevolezza e con un duro lavoro vecchio stile.
Ripensandoci ora, quel primo elenco di obiettivi sarebbe stato semplice da realizzare, ma è stato il secondo elenco a catturare la mia attenzione e da allora mi ha tenuto occupato. Ho trascorso la mia carriera lavorando per salvare dall’estinzione le specie minacciate a causa degli impatti delle specie invasive. Ogni giorno so che sto aiutando a prevenire questi disastri naturali prevenibili.

Chad Hanson,
Program Manager – Implementation di Island Conservation