Riforma costituzionale, chi e come si governa l’ambiente col Titolo V?

[11 Luglio 2016]

Tra le molte questioni che stanno surriscaldando le polemiche sul referendum con firme e senza firme quella niente affatto trascurabile del governo del territorio e specialmente dell’ambiente sembra quasi sparita. Tra le ragioni che consiglierebbero il Sì infatti si continua a sostenere che avere con il nuovo Titolo V verrà finalmente impedito alle regioni di fare ciò che vogliono con o senza leggi, e che il  doversi allineare volenti o nolenti alla supremazia dello Stato è una bella novità. E lo è tanto più perché anche in quello che compete alle regioni (non quelle speciali, che il Titolo V ignora) lo Stato potrà mettere becco quando e come vuole. A chi considera comprensibilmente e ragionevolmente questa scelta tutt’altro che felice si è detto di stare tranquilli perché l’esperienza confermerà che le cose non andranno poi così male. Insomma, i pasticci del vecchio Titolo V che hanno visto crescere anziché la leale collaborazione istituzionale e costituzionale la penalizzante e paralizzante conflittualità potranno essere superati grazie al rafforzato ruolo dello Stato e del suo centralismo.

Qui sarà bene perciò verificare più direttamente come stanno oggi le cose concretamente nelle regioni, e il loro rapporto con lo Stato e gli enti locali con in meno le province e in più le 9 Città metropolitane oltre alla  ricerca della mitica area vasta. A differenza di altri comparti di cui si lamenta la mancanza o inadeguatezza della legislazione, in quello ambientale le leggi ci sono sovente (anzi quasi sempre) da tempo e si tratta complessivamente di buone leggi. Peccato che sia mancata o sia stata decisamente inadeguata la capacità e volontà di attuarle. È bene ricordare che l’art. 117 della Costituzione assegna alla ‘competenza esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema’ che non si può ridurre in senso tecnico perché la tutela dell’ambiente è da intendere come una ‘sorta’ di ‘materia trasversale’. Insomma quella trasversalità che implica e richiedeva e richiede quella collaborazione nella sua gestione se vogliamo evitarne una ingovernabile frammentazione. Non è perciò un caso che la legge sul mare – per rifarci ad una delle più stagionate – prevedesse i piani costieri regionali, o la legge 183 sul suolo i piani di bacino e quella sui parchi – sia per quelli regionali che nazionali – piani ambientali inclusivi anche della tutela paesaggistica che l’ultimo Codice ha sottratto inopinatamente alle aree protette. Ma è qui appunto che è cascato l’asino perché per il mare il ruolo delle regioni è andato via via ridimensionandosi nonostante l’aggravarsi dei problemi dell’inquinamento, della navigazione, della pesca e soprattutto della mancata gestione integrata delle coste e degli abitati costieri.

Nel 2010 al ministero dell’Ambiente venne assegnato il ruolo di autorità competente per il coordinamento delle attività dove si allarga il quadro all’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino, e proprio da allora circola la proposta per sfrattare le regioni da qualsiasi ruolo sulle aree protette marine. Non meglio vanno le cose per i bacini.. Sui parchi come abbiamo avuto modo di documentare più volte è dal 2011 che dopo avere detto che lo Stato non può più farsene carico (Prestigiacomo) si sta malamente armeggiando al Senato per  ridurre la legge 394 ad una caricatura di quella del 1991. Non può quindi sorprendere che dei nostri parchi si parli sempre più, anche da parte di chi dovrebbe garantirne una gestione conforme alle finalità della legge, di un ruolo aperto a insediamenti che poco e più spesso nulla hanno che fare con le politiche di tutela.

Quella supremazia che oggi lo Stato si è ripresa era già di fatto prevista negli ambiti appena richiamati che sono nella maggior parte dei casi finiti male. E se le regioni hanno indiscutibilmente le loro non marginali responsabilità lo Stato non ne ha certo di meno se 10 anni non sono bastati a fare qualche piano delle coste o a rilanciare i nostri parchi.

Ecco perché noi come Gruppo di San Rossore d’intesa con altri soggetti ambientalisti intendiamo rilanciare una politica che assegni al governo del territorio quel ruolo irrimandabile se vogliamo uscire da questa crisi. Che è il tema a cui dedicheremo a fine estate un incontro nazionale a Pisa in cui vorremmo confrontarci anche – anzi soprattutto – con le nostre istituzioni senza retorica e demagogia.

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