Scandali e inquinamento, il futuro della Basilicata oltre il petrolio

In un dossier scenari e proposte per uscire dall’era fossile

[4 Aprile 2016]

In Italia nel 2015 la produzione di petrolio è stata di 5,5 milioni di tonnellate, di queste il 69% arriva dai giacimenti a terra della Basilicata, i più grandi non solo del Paese ma di tutta l’Europa occidentale. Ma c’è il rischio che nei prossimi anni si arrivi a quintuplicare i territori interessati dalle trivellazioni.

E proprio da questa regione è arrivata la conferma che il petrolio rappresenta una filiera oscura e foriera di distorsioni, che inquina non solo l’ambiente ma anche le politiche di un’intera classe dirigente regionale e nazionale. L’ultima inchiesta della Dda di Potenza, che ha portato a sei arresti per traffico illecito di rifiuti, la sospensione della produzione ENI in Val d’Agri e per presunte irregolarità nell’iter realizzativo degli impianti Total a Tempa Rossa, pongono con ancora maggior forza l’imperativo di guardare oltre il petrolio e cominciare a farlo sin da subito.

Per questo Legambiente – che ieri a Potenza ha presentato il dossierIl futuro oltre il petrolio – Scenari e proposte per uscire dall’era fossile – chiede un sistema che sia in grado di dare certezze e sicurezze ai cittadini che oggi al contrario vedono la presenza dell’industria petrolifera in Basilicata, come nel resto del Paese, solo come una minaccia per la salute e per l’ambiente. Per Legambiente una moratoria sull’attività di sfruttamento dei giacimenti lucani, fino al ripristino di una condizione di legalità e trasparenza e l’accertamento delle conseguenze ambientali e sulla salute dei cittadini dell’attività estrattiva, l’avvio di programmi di bonifica e, soprattutto, di compensazione socio-ambientale sono oggi e vere esigenze strategiche del territorio.

In Basilicata – secondo il dossier di Legambiente – sono presenti 10 permessi di ricerca per un totale di 26 Comuni interessati. Le istanze di permesso di ricerca sono invece 17. In totale sono 86 i Comuni della Basilicata interessati, tra permessi di ricerca e istanze di permesso. Di questi, ben 26 ricadono in Area Parco e 7 nel territorio dell’istituendo Parco Regionale del Vulture. Nel solo gennaio 2016, l’attività petrolifera ha prodotto in questa regione quasi 300 mila tonnellate di petrolio estratte dalle 2 concessioni petrolifere attive Serra Pizzuta e soprattutto Val d’Agri. Non più attiva dal 2014 la concessione Gorgoglione. Le aree interessate dall’estrazione di greggio occupano una superficie di circa mille chilometri quadrati, ma l’area ipotecata alle attività petrolifere potrebbe aumentare nei prossimi anni. Infatti ci sono altri 1.454 kmq dedicati ad attività di ricerca e le richieste di nuovi permessi, in corso di valutazione al Ministero dello sviluppo economico, riguardano 3872,35 Kmq.

Un’espansione agevolata anche dalla Strategia energetica nazionale che da un lato dichiara di voler raggiungere e superare gli obiettivi dettati dal Pacchetto UE Clima-Energia 2020 e nel percorso verso la de-carbonizzazione, dall’altro dedica uno dei pilastri proprio allo “Sviluppo sostenibile degli idrocarburi”, prevedendo un progressivo aumento delle produzioni nazionali fino a raggiungere nel 2020 i livelli degli anni ’90. Un evidente controsenso che spinge verso un settore destinato ad esaurirsi in pochi anni perché è da tempo noto che il nostro petrolio è poco e di scarsa qualità.

L’ingente flusso di denaro, anzitutto per l’Eni, e poi per lo Stato Italiano, la Regione Basilicata e i Comuni interessati finora non hanno portato a quello sviluppo del territorio auspicato. Eni quantifica il gettito totale di Royalties versate nelle casse della Regione e dei Comuni interessati dal 1998 al 2015 in oltre 935milioni di euro. Di questi quasi 100 milioni sono stati versati ai Comuni interessati dalla concessione Val d’Agri (Calvello, Grumento Nova, Marsico Nuovo, Montemurro e Viggiano, che ha ricevuto 70milioni di euro).

E poi c’è l’ombra delle illegalità ambientali. Per l’associazione contro la corruzione Transparency, il settore delle estrazioni di petrolio e gas è in assoluto tra i più a rischio corruzione, con un tasso del 25% di corruzione percepita. L’Italia ha visto consumarsi sul suo territorio diverse inchieste nel settore dell’estrazione di idrocarburi. E la Basilicata, per la presenza delle attività estrattive, è purtroppo al centro di queste vicende. L’inchiesta sul Centro Oli di Viggiano, di proprietà dell’Eni, era venuta alla luce a febbraio 2014 con un primo “blitz” dell’Antimafia. Da allora i filoni d’indagine si sono moltiplicati.

«La classe politica regionale in questi anni si è completamente “seduta” sul petrolio utilizzando il bancomat delle compagnie petrolifere alla bisogna – sottolinea Alessandro Ferri, presidente di Legambiente Basilicata -. Mentre il resto del mondo vive l’era del fine petrolio, in Basilicata non possiamo continuare a costruirci un futuro con il vuoto al centro. L’impegno della Regione Basilicata contro le trivelle in mare è sicuramente condivisibile ma perde il suo valore se non si estende a tutto il territorio regionale la posizione, le ragioni e l’approccio che hanno portato all’ormai prossimo appuntamento referendario. Non vanno invece in questa direzione le recenti dichiarazioni del governatore regionale Marcello Pittella che ha perso ancora un volta l’occasione per voltare definitivamente le spalle agli interessi delle compagnie petrolifere e per guardare con occhi nuovi ad un futuro che metta realmente al centro la qualità dei territori come motore di uno sviluppo locale sostenibile».

Dopo 15 anni di attività petrolifera Legambiente chiede anche quale sia il ormai il senso del Parco dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese che doveva rappresentare un’avanguardia culturale capace di promuovere uno sviluppo effettivo e duraturo. «Tuttavia – fanno notare gli ambientalisti – nei primi 8 anni di vita, l’Ente Parco dell’Appennino lucano non ha dimostrato alcuna capacità ad interpretare il suo ruolo in questo senso. Appiattito in un approccio di ‘buon vicinato’ con ENI, non ha saputo essere il motore di alcun cambiamento, né il soggetto trainante verso una rivoluzione del paradigma petrolio che, con le promesse fallite di un’occupazione insoddisfacente – in termini numerici e qualitativi». Il Cigno Verde ricorda una vicenda della quale se ne è occupata forse per primo greenreport.it: quella del bando di gara del progetto Security, «attraverso il quale l’Ente Parco nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese intende spendere 3,5 milioni di euro – concessi da ENI – per la prevenzione di eventuali danni al territorio attraverso la ricognizione visiva delle condotte che collegano i pozzi petroliferi e che attraversano il territorio del Parco. In questo il Parco manca completamente di sensibilità e della percezione del suo ruolo, ragionando ormai come parte dell’indotto ENI invece di essere garante e promotore della compensazione ambientale e immagine di un territorio che sulla tutela e la valorizzazione delle risorse naturali possa finalmente iniziare a ragionare su un piano di moratoria e avvio di riconversione dell’attività estrattiva». Per questo, Legambiente Basilicata ha formalmente chiesto al ministero dell’ambiente di verificare questa situazione e di esercitare le sue prerogative di vigilanza e controllo.

Il direttore generale di Legambiente, Stefano Ciafani, conclude: «Dobbiamo liberare tutti i territori dalla schiavitù delle fossili con un nuovo sistema energetico distribuito e democratico fondato su efficienza e rinnovabili e anche per questo è fondamentale informare i cittadini sul referendum del 17 aprile Andare a votare Sì significa dare un segnale sulla politica energetica di cui necessita questo Paese, perché questo referendum ha una valenza che va ben oltre il quesito sulla durata delle concessioni di ricerca ed estrazione di petrolio e gas entro le 12 miglia: è una presa di posizione sul futuro e il presente che costruiamo per le persone e i territori. Oggi, inoltre, l’illegalità ambientale può essere contrastata con maggiore facilità anche grazie alla legge sugli ecoreati in vigore dal maggio dello scorso anno. A tal proposito attendiamo di capire gli esiti dell’inchiesta attivata utilizzando il nuovo delitto del disastro ambientale».