Scoperti un nuovo genere di batteri e un complicato ecosistema nei pozzi del fracking

I “Frackibacter” formano ecosistemi sostenibili nei pozzi insieme a decine di specie di microbi

[6 Settembre 2016]

Analizzando i genomi dei microrganismi che vivono nei pozzi del fracking di  petrolio e di gas di scisto, i ricercatori dell’Ohio State University hanno scoperto che sono popolati da ecosistemi sostenibili formati in parte  da un genere di batteri mai visti prima, che hanno chiamato “Frackibacter”.  Si tratta di una ricerca finanziata dal Dimensions of biodiversity program della  National Science Foundation, dal Dipartimento dell’energia Usa e dal Deep Carbon Observatory.

I ricercatori dell’Ohio State University spiegano su Nature Microbiology  che «Il nuovo genere è uno dei 31 membri delle comunità microbiche trovate che vivono all’interno di due pozzi di fracking separati». Infatti, anche se i pozzi studiati sono a  centinaia di miglia di distanza di sistanza  e sono stati trivellati in tipi di  formazioni di scisto diverse, «Le comunità microbiche al loro interno erano quasi identiche».

Quasi tutti i microbi che hanno trovato i ricercatori erano stati visti altrove prima, e molti probabilmente provenivano dagli stagni di superficie dai quali le compagnie energetiche attingono per riempire i pozzi. «Ma non è il caso del nuovo Candidatus Frackibacter , che potrebbe essere unico per i siti di fratturazione idraulica – spiega  Kelly Wrighton, una microbiologa e biofisica dell’Ohio State – Nella nomenclatura biologica, “Candidatus” indica che un nuovo organismo è in fase di studio per la prima volta con un approccio genomico, non un organismo isolato in una cultura di laboratorio». I ricercatori hanno scelto di assegnare al genere il nome  “Frackibacter” giocando sul termine fracking, l’abbreviazione con la quale è ormai conosciuta la fratturazione idraulica.

Candidatus Frackibacter prospera a fianco dei microbi che provengono  dalla superficie, formando comunità in entrambi i pozzi in attività da quasi un anno. «Pensiamo che i microbi in ogni pozzo possano formare un ecosistema autosufficiente nel quale si forniscono di proprie fonti di cibo – ha spiegato la Wrighton – La trivellazione del pozzo e il  pompaggio del liquido fratturazione crea un ecosistema, ma i microbi si adattano i al nuovo ambiente in modo da sostenere il sistema per lunghi periodi».

Campionando per più di 328 giorni i liquidi prelevati dai due pozzi, i ricercatori hanno ricostruito i genomi di batteri e di archeobatteri che vivono negli scisti e, con loro grande sorpresa,  due pozzi – uno nellUtica shale scisto e l’altro nel Marcellus shale –  hanno sviluppato comunità microbiche quasi identiche. Inoltre, i due pozzi sono di proprietà di due diverse compagnie che utilizzano tecniche di frackin diverse. I due tipi di scisto sono a più di un miglio e mezzo sotto terra e si sono formati a milioni di anni di distanza, e contenevano forme diverse di combustibile fossile. Eppure è emerso un batterio, Halanaerobium, che  dominare le comunità in entrambi i pozzetti.

La Wrighton sottolinea: «Abbiamo pensato che potessimo aver scoperto dei batteri dello stesso tipo, ma il livello di somiglianza era così alto, è stato sorprendente. Questo suggerisce che tutto ciò che sta accadendo in questi ecosistemi è più influenzato dal fracking che dalle differenze insite nel scisto».

Wrighton e il suo team non sono ancora al 100% sicuri dell’origine microbi: «Alcuni quasi certamente provenivano dagli stagni che forniscono l’acqua ai pozzi. Ma altri batteri e archeobatteri avrebbe potuto vivere  nella roccia prima dell’inizio della trivellazione, Candidatus Frackibacter tra di loro».

Le compagnie del fracking hanno di solito proprie “ricette” per i fluidi che iniettano nei pozzi per fratturare gli scisti e fare in modo che rilascino petrolio o  gas e Rebecca Daly, una microbiologa dell’Ohio State e principale autrice dello studi o pubblicato su Nature Microbiology spiega: «Tutti iniziano con acqua e aggiungono altri prodotti chimici. Una volta che il fluido è all’interno di un pozzo, il sale all’interno della scisto percola in esso, rendendo salmastro. I microrganismi che vivono nella scisto devono tollerare ad alte  temperature, pressione e salinità, ma questo studio suggerisce che la salinità è probabilmente il fattore di stress più importante per lla sopravvivenza dei microbi. La salinità costringe i microbi a sintetizzare composti organici chiamati osmoprotettivi per impedire a se stessi di scoppiare. Quando le cellule muoiono, gli osmoprotettivi  vengono rilasciati nell’acqua, dove altri microbi li possono utilizzare per proteggersi o mangiarli come cibo. In questo modo, la salinità ha costretto i microbi a produrre una fonte di cibo sostenibile».

Ma questi ecosistemi s delle profondità terrestri sono ancora più complicati: oltre ai vincoli fisici ambientali, i microbi devono anche proteggersi dai virus. I ricercatori hanno ricostruito i genomi dei virus che vivono all’interno dei pozzi e hanno  trovato le prove genetiche che alcuni batteri sono  predati virus e che morendo rilasciano osmoprotettivi nell’acqua. Esaminando i genomi dei diversi microbi, i ricercatori hanno scoperto che gli osmoprotettivi  vengono mangiati  da Halanaerobium e Candidatus Frackibacter . A loro volta, questi batteri forniscono cibo ad altri microbi chiamati metanogeni, che alla fine producono metano.

Per convalidare i loro risultati sul campo, i ricercatori hanno allevato gli stessi microbi in laboratorio in condizioni simili: «Anche i microbi cresciuti in laboratorio hanno prodotto osmoprotettivi  che sono stati convertiti in metano – dicono gli scienziati –  una conferma che i ricercatori sono sulla strada giusta per capire cosa sta succedendo all’interno dei pozzi. Una conseguenza di questo studio è che il metano prodotto da microbi che vivono nei pozzi di scisto potrebbe integrare la produzione di energia dei pozzi».

Wrighton e Daly dicono che «La quantità di metano prodotto dai microbi è probabilmente minuscola  rispetto alla quantità di petrolio e gas stoccata nello scisto anche un anno dopo la frattura iniziale. Ma c’è un precedente in un’industria correlata, quello del coal-bed di metano, che utilizza  microbi ad una maggiore vantaggio. Nei sistemi coal-bed  è stato dimostrato che possono facilitare la vita microbica e aumentare le rese di metano. Poiché il sistema nel tempo diventa meno produttivi, il contributo del metano biogenico potrebbe diventare significativamente più alto nei pozzi di scisto. Non siamo arrivati ancora a quel punto, ma è una possibilità».

Intanto una ricerca guidata da un altro autore dello studio, Michael Wilkins, che insegna scienze della terra e microbiologia dell’Ohio State University, ha utilizzato le informazioni genomiche per allevare  Candidatus Frackibacter in laboratorio e sta testando ulteriormente la sua capacità di resistere ad alti livelli di pressione e salinità.