Strage di Pinne nobilis anche nel Golfo di Trieste: da Muggia a Sistiana il 60-70% degli individui è già morto

Il responsabile della moria di nacchere è un parassita che sta decimando le popolazioni del più grande bivalve del Mediterraneo

[24 Gennaio 2020]

Dopo 4 anni di sorveglianza, le attività di monitoraggio subacqueo condotte dall’Area Marina Protetta (Amp) di Miramare nelle ultime settimane, insieme agli esiti delle analisi genetiche compiute dall’università di Trieste, ormai parlano chiaro e le ultime speranze per le nacchere sono ormai cadute: «L’epidemia che sta decimando le popolazioni di Pinna nobilis in tutto il Mediterraneo ha raggiunto il Golfo di Trieste – dicono all’Amp – Anche se nella riserva di Miramare sembrano godere ancora di buona salute, da Muggia a Barcola, da Santa Croce a Sistiana, il 60-70% degli individui è già morto. E la causa è sempre lui: l’Haplosporidium pinnae, il parassita che dal 2016 dalla Spagna alla Grecia sta sterminando il più grande mollusco bivalve del Mediterraneo, ora è arrivato anche nelle nostre acque».

Per affrontare l’emergenza, a Trieste si era già messa in moto la task force tecnico-scientifica dopo che i ricercatori di Miramare avevano registrato prima moria nella zona di Barcola; L’Amp aveva subito avvisato il gruppo adriatico di allerta costituito nel 2019 su impulso dell’Iucn proprio per tenere sotto controllo la situazione e con Università di Trieste, OGS, Arpa, Regione Friuli Venezia Giulia, Ispra e istituti di ricerca che si occupano a livello nazionale e internazionale del fenomeno e sta preparando un piano di azione. Recentemente la nacchera – specie endemica del Mediterraneo – è stata riconosciuta ufficialmente ed elencata come “Critically Endangered” dalla Lista Rossa delle specie in pericolo di estinzione dell’IUCN.

La sopravvivenza delle popolazioni di nacchere dipende fortemente dalla sopravvivenza degli adulti riproduttori. Il Wwf spiega che «Fenomeni legati all’ermafroditismo e al tasso di reclutamento basso e disomogeneo rendono più difficile il recupero delle popolazioni e meno probabile che accada. La specie si riproduce principalmente durante i mesi estivi e le larve si insediano tra luglio e ottobre dopo un periodo planctonico. Il ruolo ecologico di questo grande mollusco è molto importante: filtrando l’acqua, trattiene grandi quantità di materia organica da detriti sospesi che contribuiscono alla limpidezza dell’acqua. Le sue superfici sono inoltre colonizzate da moltissime specie bentoniche, tra cui alghe e macroinvertebrati, aumentando così la “biodiversità” locale». Grazie ai dati forniti da organizzazioni e istituzioni di conservazione di tutto il Mediterraneo, l’IUCN-Med ha lavorato per produrre la Red List Assessment of the Mediterranean Fan Mussel (Pinna nobilis) e realizzato la mappa di distribuzione dell’epidemia elaborata con le informazioni disponibili prima di novembre 2019, che pubblichiamo, ma dalla quale mancano le morie segnalate nell’Arcipelago Toscano, in particolare all’Elba e Giannutri.

Maurizio Spoto responsabile per l’Amp Miramare sottolinea che «L’attenzione sullo stato di salute della pinna, specie protetta dalla Direttiva Habitat e dalla Convenzione di Barcellona, nel Golfo di Trieste in realtà è già altissima da quando nel 2016 è stato registrato in Spagna un evento di mortalità di massa causato dal patogeno Haplosporidium pinnae, che ha colpito 80-100% degli individui. Da allora, abbiamo iniziato monitoraggi specifici in coordinamento con Arpa, Regione FVG e i principali istituti di ricerca locali e nazionali, per verificare le condizioni di salute nell’Area Marina e più in generale nelle acque regionali».

Nel 2018 Miramare ha attivato il progetto RESTORFAN finanziato da MedPan, il network delle aree protette mediterranee, che prevede la valutazione dell’uso dei giovanili di nacchere rinvenuti negli impianti di mitilicoltura per possibili azioni di ripopolamento in altri siti, e nel 2019 ha aderito al Gruppo adriatico di allerta attivando da subito un protocollo di monitoraggio bimensile. Ed è stato proprio durante uno di questi censimenti che nel novembre scorso i ricercatori della Riserva – già allertati dalla moria avvenuta la scorsa estate sulla sponda croata dell’alto Adriatico all’altezza di Zara – hanno colto i primi segni di un evento di mortalità che ha avuto come epicentro la zona tra Barcola e il confine dell’AMP sul molo Sticco. All’Amp dicono che «L’allerta è partito immediatamente. Dopo aver avvisato le principali istituzioni scientifiche, i ricercatori dell’Amp hanno prelevato alcuni esemplari e li hanno inviati all’università di Trieste per le indagini genetiche necessarie a rilevare la presenza di DNA del patogeno. Contemporaneamente sono stati avviati monitoraggi mirati anche nelle località di Muggia, Barcola, Santa Croce e Sistiana».

Il laboratorio di genomica applicata e comparata del Dipartimento di scienze della vita dell’università di Trieste ha estratto il materiale genetico dai campioni di animali morti e una serie sequenziale di evidenze genetico-molecolari ha confermato la peggiore delle previsioni: «La sequenza del DNA isolata dagli esemplari deceduti nel golfo di Trieste – spiega il professor Alberto Pallavicini – è identica a quella del patogeno isolato nell’estate del 2019 in Croazia e un anno prima nelle coste ioniche. In pratica si può affermare che esiste un unico ceppo patogenico di Haplosporidium pinnae che sta decimando la popolazione nell’intero Mediterraneo e che da ultimo è arrivato a colpire la popolazione del Golfo di Trieste».

Saul Ciriaco, che per l’Amp Miramare sta seguendo l’evolversi della situazione in mare, aggiunge: «Al momento, i dati osservati evidenziano una mortalità media che si attesta mediamente al 60-70% degli individui. Molti individui si presentano ancora in posizione verticale (questa situazione probabilmente cambierà a seguito della dissoluzione del bisso e delle prime mareggiate) e spesso ancora con i resti di materiale in decomposizione ma già colonizzati all’interno da pesci come blennidi, gobidi e anche serranidi. La stagione invernale con le sue temperature basse è un fattore limitante alla diffusione ulteriore del patogeno ma il timore è che con l’arrivo della primavera si verifichi un moria con effetti devastanti per una specie che nel nostro Golfo raggiungeva densità anche di 0,8 individui per metro quadro, una densità straordinaria (fino a 20 volte superiore) rispetto ad altri siti del Mediterraneo e che da sempre ha fatto ben sperare che qui potesse rimanere un serbatoio genetico utile alla conservazione di questa specie. E che inoltre spiega anche l’importanza e il ruolo ecologico fondamentale di questo mollusco per il Golfo di Trieste, dove finora era talmente diffuso da rappresentare una sorta di scogliera naturale sui fondali sabbiosi e fangosi e microhabitat per moltissime specie bentoniche».

Ma cosa si può fare per impedire che il più grande mollusco bivalve del Mediterraneo scompaia? Spoto evidenzia che «L’epidemia non può essere fermata ma possiamo cercare di mitigarne gli effetti. Ora l’azione più urgente è l’attivazione di un monitoraggio a tappeto su tutto il golfo per identificare i nuclei di animali sani, sopravvissuti o per motivi ambientali derivanti dalle diverse condizioni chimico-fisiche dell’acqua (acque fredde e dolci rappresentano infatti un fattore limitante alla diffusione del batterio) o perché la diversità genetica innata delle pinne ha selezionato dei particolari ceppi resistenti al parassita. Gli esemplari sani dovranno essere utilizzati con tecniche di ripopolamento o sui fondali o in stabulari per ricreare uno stock di molluschi tale da assicurare la sopravvivenza della specie nel Golfo di Trieste. Per queste attività sperimentali saranno tuttavia necessari finanziamenti ad hoc, senza i quali non potremo affrontare l’emergenza e salvare la Pinna nobilis dalla sua estinzione nel Golfo».