Anbi, il 20% del territorio italiano è (ancora) a rischio desertificazione

L'impiego di pratiche agronomiche meno impattanti sui suoli può rinvigorirne il contenuto di sostanza organica? Il Veneto ci prova

[1 Giugno 2020]

desertificazione

Il 20% dell’Italia, ovvero un quinto del nostro Paese, è a rischio desertificazione. Un pericolo assai concreto, tanto che è stato oggetto d’esame negli anni scorsi anche da parte della Corte dei conti europea, con il ministero dell’Ambiente che nel 2018 parlava già di «piena emergenza». Due anni dopo il problema è però ancora intatto, come testimoniano i Consorzi di bonifica rappresentati dall’Anbi.

«In Italia ci sono aree in cui, a causa dei cambiamenti climatici e di pratiche agronomiche forzate, la percentuale di sostanza organica contenuta nel terreno è scesa al 2%, soglia per la quale si può iniziare a parlare di deserto; secondo il C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche),  le aree a rischio sono il 70% in Sicilia, il 58% in Molise, il 57% in Puglia, il 55% in Basilicata, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%».

A evidenziare il preoccupante dato, che in media vede appunto «il 20% del territorio italiano in pericolo di desertificazione», è l’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi), annunciando la sperimentazione avviata in località Fiorentina a San Donà di Piave, nel veneziano, dove in un podere monitorato sono state distribuite le matrici organiche, preliminari alla preparazione del letto di semina della soia; l’appezzamento è stato suddiviso in varie parcelle, su cui sono stati distribuiti quantitativi differenti di compost e digestato secco, allo scopo di verificare la risposta del terreno, una volta avviata la coltivazione.

Si tratta di un programma sperimentale, che vede la collaborazione fra Consorzio di bonifica Veneto orientale ed Università di Padova (Dipartimento di Agronomia, animali, alimenti, risorse naturali e ambiente) per verificare come l’impiego di pratiche agronomiche meno impattanti sui suoli possa rinvigorirne il contenuto di sostanza organica, che anche in vaste aree del Veneto orientale è sceso a livelli preoccupanti.

«La qualità ambientale è uno dei temi dell’azione dei Consorzi di bonifica – commenta Francesco Vincenzi, presidente di Anbi – Per questo, abbiamo il dovere di impegnarci per invertire una tendenza preoccupante ed evitarne le conseguenze. Va sottolineato che un terreno ricco di sostanza organica è un suolo naturalmente fertile, che trattiene meglio l’umidità e ha minor necessità di irrigazione»

Come sottolineano dall’Anbi la desertificazione, causata da condizioni climatiche ma anche antropiche, rappresenta l’ultimo stadio di degrado del suolo con conseguente perdita di produttività biologica e geologica, nonché annullamento dei servizi ecosistemici forniti dal terreno, causandone alterazioni difficilmente reversibili, che comportano l’impossibilità di gestire economicamente attività di agricoltura, silvicoltura e zootecnia.

«Un terreno vivo drena meglio l’acqua, aumentando la sicurezza idrogeologica – aggiunge Massimo Gargano, direttore generale Anbi – Per questo, l’utilizzo di ammendanti naturali è una scelta virtuosa non solo in termini di qualità e biodiversità, ma come importante tassello per incrementare, assieme alle nuove infrastrutture idriche di cui si stanno aprendo i cantieri, la resilienza del territorio alle conseguenze dei cambiamenti climatici. In Italia va superata la cultura dell’emergenza, che costa mediamente 7 miliardi all’anno in ristoro dei danni».