Politiche, tecnologie e strategie per ridurre le emissioni di gas serra e raggiungere l’obiettivo dei 2° C

Cambiamenti climatici, tutto quello che dovete sapere sull’ultimo rapporto Ipcc [VIDEO]

[14 Aprile 2014]

Ieri l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) ha reso noto il Summary for Policy della terza parte del Quinto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici dedicato alla mitigazione dei cambiamenti climatici e gli autori italiani del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc) che hanno contribuito a scrivere questo  rapporto del Working Group III  (WG III) il gruppo dell’Ipcc dedicato al tema della riduzione delle emissioni di gas serra, hanno descritto nei dettagli le opportunità, i costi e i benefici delle strategie di mitigazione nei diversi scenari presi in considerazione dal rapporto che è una dettagliata valutazione delle opzioni disponibili per le politiche di mitigazione e delle loro implicazioni sociali a diversi livelli di governance e in differenti settori economici. Dall’energia all’agricoltura, dall’utilizzo del suolo e delle foreste all’industria fino alla gestione delle nostre città e della mobilità, la sintesi del WGIII offre la più aggiornata rappresentazione delle possibilità per ridurre le emissioni di gas serra in diversi scenari futuri, ponendo attenzione alla dimensione internazionale ed ai rapporti tra Paesi industrializzati, economie emergenti e Paesi in via di sviluppo, alle politiche nazionali e locali, alle questioni etiche: equità, diritto al benessere, giustizia.

In un comunicato i ricercatori Cmcc elencano le principali domande: «Quante emissioni di gas serra stiamo producendo? Più di quante non ne abbiamo mai prodotte. Quanto ci costeranno in futuro queste emissioni?» E  rispondono: «Dipende da quanto e quando saremo capaci di ridurre la quantità di gas serra che riversiamo in atmosfera: più aspettiamo, più le riduzioni saranno costose e difficili nel futuro. Chi paga queste emissioni? I costi della riduzione delle emissioni rischiano di gravare troppo sulle economie deboli e in via di sviluppo. Ecco perché i cambiamenti climatici non si possono affrontare come un tema ambientale ed hanno una forte rilevanza economica e finanziaria, globale e nazionale».

Presentando questo “pezzo” del Quinto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici, anche  Carlo Carraro, rettore dell’Università Ca’ Foscari, della Cmcc, della Fondazione Eni Enrico Mattei (Femm) e  vice-presidente WG III Ipcc, ha sottolineato che «È una questione di sviluppo economico e quindi ha a che fare

con la povertà, con i bisogni dei Paesi in via di sviluppo, con gli impatti che i cambiamenti climatici hanno e avranno in Europa e, soprattutto, nelle regioni meno ricche della Terra». Poi ha aggiunto: «C’è una dimensione etica che chiama in causa la collaborazione tra Paesi senza la quale non si riesce a intervenire in maniera efficace né sui cambiamenti climatici, né sullo sviluppo del Pianeta».

Nel video “Tutto quello che dovete sapere sul 5° Rapporto di  Valutazione dell’IPCC – La Mitigazione dei Cambiamenti Climatici” che pubblichiamo, gli autori italiani del WG III dell’Ipcc presentano i contenuti e le cifre dell’atteso ultimo report Ipcc (Valentina Bosetti, Emanuele Massetti, Massimo Tavoni dei centri di ricerca Cmcc e Feem, e Alessandro Lanza, che si occupa di servizi climatici al Cmcc) approfondiscono i

temi cruciali del rapporto e ne evidenziano alcuni dettagli, fornendo cifre e informazioni che chiariscono perché i cambiamenti climatici devono essere conosciuti e compresi anche dai cittadini comuni.

«Si comprende ad esempio – scrivono i ricercatori italiani –  che ci sono anni cruciali: uno è il 2100, per il quale la comunità internazionale ha fissato un obiettivo che consiste nel fare in modo che l’aumento di temperatura del Pianeta non superi i 2° C rispetto all’era preindustriale. Ma un altro anno determinante è molto più vicino a noi, è il 2030 ed è lì che gli studi si concentrano per spiegare come dobbiamo comportarci se vogliamo contenere il riscaldamento della Terra. Una cosa è certa: dobbiamo ridurre le emissioni di gas serra, CO2 in particolare, che sono i responsabili dell’aumento della temperatura. Ma in realtà stiamo facendo l’esatto contrario: non solo le emissioni globali non diminuiscono, ma stanno aumentando con un ritmo che è circa il doppio di quello a cui eravamo storicamente abituati (dall’1% annuo fino al 2000, si è passati a un aumento del 2,2% l’anno nell’ultimo decennio)».

Secondo gli scienziati del Cmcc  le nostre speranze ed obiettivi ruotano tutti intorno ad una data: il  2030, definito «L’anno chiave per la svolta nelle emissioni».

Tavoni ha confermato che la situazione è più che preoccupante: «Se la produzione di gas serra che immettiamo nell’atmosfera continuasse a crescere e superasse i 55 miliardi di CO2 l’anno nel 2030 da quel momento in poi dovremmo ridurre le emissioni del 6% ogni anno se vogliamo rimanere nel target dei 2° C. Se invece riuscissimo a stare sotto i 55 miliardi di tonnellate di CO2, allora lo sforzo di riduzione delle emissioni sarebbe dimezzato».

Quindi rinviare il taglio delle emissioni significherebbe dover fare uno sforzo maggiore in futuro, sia come misure più drastiche per ridurre le emissioni di gas serra che di costi e strumenti compensativi e che questo verrebbe in gran parte caricato sulle spalle dei Paesi in via di sviluppo.

Ma il WG III dell’Ipcc è convinto che esita un modo per mettere d’accordo equità ed efficienza economica: «Utilizzare strumenti di mercato che consentono di ridurre le emissioni dove è meno costoso. Si tratta ad esempio dei cosiddetti mercati delle emissioni che, per produrre concreti risultati, dovrebbero essere in grado di sostenere dal 2030 trasferimenti finanziari dell’ordine 100 miliardi di dollari all’anno. Una cifra che potrebbe crescere di molto e portare benefici che non limitano ai soli mercati delle emissioni, ma riguardano anche la qualità della vita, le migliori condizioni per gli ecosistemi, maggiore sicurezza alimentare e minori impatti negativi dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali e socio-economici».

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