Cambiamento climatico, Brasile e Arabia Saudita sfidano la comunità internazionale

I Brasiliani si oppongono alla modifica del carbon pricing, i sauditi bloccano l’adozione del rapporto 1,5° C Ipcc

[28 Giugno 2019]

L’immagine più significativa dei climate talks di Bonn è quella del capo negoziatore della Svizzera, Franz Perrez, che indossava una maglietta con su scritto “Science is not negotiable”, ma è proprio il negazionismo scientifico e climatico di due Paesi come l’Arabia Saudita e il Brasile del neofascista Jair Bolsonaro ad essersi aggiudicato questo round dei negoziati climatici.

Dopo una settimana di colloqui a porte chiuse e di intrighi, l’Arabia Saudita è riuscita a far cancellare l’essenziale rapporto speciale 1,5° C dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), che è stato cancellato per sempre dai colloqui ufficiali dell’United Nations framework convention on climate change (Unfccc) dopo che i sauditi hanno ripetutamente cercato di far approvare una dichiarazione nella quale si diceva che conteneva equivoci scientifici. Alla fine, il testo concordato a Bonn esprime «apprezzamento e gratitudine» alla comunità scientifica per il rapporto speciale 1,5° C  che «riflette la migliore scienza disponibile» e prende  atto «delle opinioni espresse su come rafforzare le conoscenze scientifiche sul riscaldamento globale di 1,5 ° C», ma di fatto non sarà più possibile prendere in considerazione il rapporto Ipcc nelle trattative formali.

Un diplomatico del Costa Rica ha affermato che il rapporto speciale Ipcc rappresenta «Un grande trionfo della scienza. La qualità del lavoro e la solidità delle conclusioni sono un risultato straordinario. Riconosciamo che molti messaggi del rapporto speciale sono difficili da accettare. Sul cambiamento climatico, ascoltare la scienza non è una scelta, ma un dovere. Se chiediamo al mondo di cambiare, anche noi, in quanto rappresentanti, dobbiamo essere disposti a cambiare».

Carlos Fuller, capo negoziatore dell’Alliance of small island states (Aosis), ha detto a Climate Home News: «Sono rimasto deluso dal fatto che per i Paesi non ci saranno altre opportunità formali di approfondire la scienza. E’ preoccupante quando qualcuno cerca di screditare la scienza, specialmente nel mezzo di un’ondata di caldo. Noi siamo quelli che soffrono se gli altri rifiutano la scienza. La versione finale del testo incoraggia tutti a usare [le scoperte del rapporto], ma ha impedito che la scienza venisse discussa».

Il Brasile, nonostante l’appoggio alla riforma della maggioranza dei Paesi sviluppati e in via di sviluppo, ha continuato a bloccare gli sforzi per regolamentare i carbon credit, dicendo che questo avrebbe “ucciso” l’Accordo di Parigi.

In effetti i Paesi si sono scontrati su come dovrebbero essere scambiate le quote di carbonio secondo l’Accordo di Parigi e in particolare quanto il nuovo schema dovrebbe collegarsi con il sistema sviluppato nell’ambito del protocollo di Kyoto, il clean development mechanism (Cdm). Il Brasile si è battuto perché i crediti Cdm passino così come sono nel nuovo meccanismo Onu, dato che con i sui 147,4 milioni di crediti è il quarto Paese più ricco con le vecchie compensazioni. L’Unione europea, gli altri Paesi dell’America latina, i Paesi meno sviluppati e il gruppo africano hanno chiesto che non ci fosse alcuna transizione. Gilles Dufrasne, attivista di Carbon Market Watch, ha spiegato che «Esiste un enorme rischio che i mercati siano inondati da vecchi crediti senza valore».  Un negoziatore del gruppo africano, El Hadji Mbaye M Diagne, ha detto a Climate Home News che «Lo stock of units… abbasserebbe e ucciderebbe l’accordo di Parigi». Pur riconoscendo che questo sarebbe un problema per gli investitori che hanno acquistato carbon credit con il vecchio sistema, ha aggiunto: «Dobbiamo trovare un altro modo per affrontarlo».

I Paesi hanno anche discusso su come evitare le double-counting emission reductions, cioè come non accreditare un obiettivo climatico nazionale con una riduzione delle emissioni che viene poi venduta anche a un altro Paese. Attualmente, la maggior parte dei Paesi sostiene un meccanismo che impedirebbe l’utilizzo dei crediti due volte. Il Brasile ha guidato il fronte per una contabilizzazione dei crediti meno efficace, trovando l’appoggio della solita Arabia Saudita, a capo dei Like minded developing countries (LMDC) e dell’Egitto, a nome dell’Arab Group.

Il gruppo Aosis voleva una carbon tax globale sulle quote di carbonio, ma la proposta è stata respinta dai Paesi ricchi. Nel frattempo, l’Unione Europea e ii membri dell’umbrella group auspicano che le compensazioni siano calcolate su linee basi più ambiziose.

Il risultato è stata una bozza di accordo zeppa di parentesi e postille che riassume tutte le preferenze messe sul tavolo negoziale dai diversi Paesi e gruppi. Dufrasne ironizza: «E’ più chiaro e più facile da seguire. Ma dà l’impressione di tornare a dove eravamo a Bonn un anno fa».

Solo che a Bonn un anno fa non era così caldo: mentre Sauditi e brasiliani – e i loro alleati palesi e nascosti – di davano da fare per far saltare ogni vero accordo, la ex capitale delle Repubblica federale tedesca era investita in pieno dall’ondata di caldo record che sta soffocando l’Europa. Però, secondo uno sconsolato delegato cileno la cosa non ha impressionato molto i partecipanti al summit: «L’ondata di caldo ha avuto l’effetto inopportuno di far sentire i delegati assonnati».

Paula Tassara, di Climate Action Network, ha ricordato inutilmente che «La Germania ha infranto il suo record di caldo di tutti i tempi per giugno, mentre le parti si sono sedute in stanze climatizzate discutendo su come adottare la migliore scienza disponibile sui cambiamenti climatici. Questa settimana, Francia, Repubblica Ceca, Belgio e Italia hanno emesso allarmi per la salute».

Nel caldo soffcante di Bonn la montagna ha partorito un topolino: i Paesi membri dell’Unfccc sembrano intenzionati ad approvare un aumento del 5% del bilancio Onu per i cambiamenti climatici per il 2020-21, ben al di sotto del 26% di aumento proposto dal Segretario generale dell’Onu  Mario Guterres all’inizio dell’anno. Secondo fonti citate da Climate Home News, «La Cina ha sostenuto più energicamente la riduzione della spesa, con molti Paesi sviluppati pronti a sostenere un pacchetto più generoso» e questo proprio mentre l’Unfccc assume diverse nuove responsabilità ai sensi dell’Accordo di Parigi».

Ovais Sarmad, vicesegretario esecutivo dell’Unfccc, commenta: «Non saremo in grado di fare tutto ciò che abbiamo programmato di fare in un modo prevedibile. Potremmo essere in grado di colmare le lacune con un budget supplementare, che dipende dalla generosità dei donatori come il miliardario Michael Bloomberg».

I negoziatori hanno anche discusso della prossima revisione periodica dell’obiettivo globale stabilito dall’Unfccc, complementare agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che  punta a ridurre le emissioni di gas serra fino a «un livello che eviterebbe pericolose interferenze antropogeniche (indotte dall’uomo) con il sistema climatico». La prossima revisione dei progressi verso questo obiettivo è prevista per il 2020-2022.

Secondo Alden Meyer, direttore strategia e politica dell’Union of Concerned Scientists, «Un certo numero di Paesi sviluppati sono preoccupati che stia creando un forum per indirizzare la discussione su tutt’altri binari:  trasparenza, global stocktake, finanza».

Quel che è certo è che invece a vincere sono state le pressioni di un gruppo di Paesi grandi produttori di petrolio e gas guidati dall’Arabia Saudita. L’etiope Gebru Jember Endalew, capo negoziatore per il gruppo dei Paesi meno sviluppati ha detto: «Non possiamo negoziare la scienza. Questo non è il nostro mandato. Sebbene escludere il rapporto Ipcc dai negoziati formali è stato un errore, ma è meglio andare avanti senza nulla piuttosto che avere una lista della spesa di problemi». Poi ha invitato il Cile, che sta per assumere la presidenza dei colloqui Unfccc, a «organizzare eventi affinché le discussioni possano continuare in modo informale».

Per Meyer, «Il testo concordato è molto debole e ha aggiunto poco più di quanto era già stato concordato. Dimostra che un piccolo gruppo di grandi Paesi produttori di petrolio e gas, che nutrono forti preoccupazioni sulle implicazioni del rapporto per le loro entrate future, stanno coordinando con una strategia per cercare di bloccare queste implicazioni perché siano più ampiamente comprese. Ma non importa quanto duramente ci provino, l’Arabia Saudita non può rimettere il messaggio nella bottiglia, il rapporto è già là fuori».

Eddy Pérez, analista di politica internazionale di Climate Action Network Canada, mette  in guardia contro la “politicizzazione” della scienza climatica e, in un editoriale pubblicato sul Financial Times, il negoziatore del Belize e degli Aosis, Lois Young, ha scritto che, 5 anni dopo che tutti i Paesi hanno accettato l’accordo di Parigi, alcuni Paesi pensano di poter «usare tranquillamente le misure procedurali per stracciarlo», una strategia che Young descrive come «Un rifiuto del multilateralismo. La mossa in sostanza dichiara che le piccole isole e gli Stati costieri in via di sviluppo a basso livello sul mare, come casa mia, il Belize, sono zone globali usa e getta da sacrificare in un cambiamento climatico senza precedenti. Questa è una crisi che colpisce la nostra sicurezza e chiediamo a chi blocca l’Onu di farsi da parte».

La segretaria esecutiva dell’Unfccc, Patricia Espinosa, si sforza di vedere il bicchiere mezzo pieno e è convinta che a Bonn, « I governi hanno fatto dei progressi in diversi settori importanti. Ma anche se l’atmosfera è stata costruttiva, dobbiamo risolvere tutte le questioni in sospeso entro la COP25  per mostrarci all’altezza della nostra responsabilità collettiva e d vigilare affinché l’ambizione sia rafforzata nella misura del possibile. in modo da evitare le peggiori conseguenze dei cambiamenti climatici. Non possiamo più permetterci progressi incrementali nell’affrontare il cambiamento climatico: dobbiamo fare cambiamenti profondi, trasformazionali e sistemici all’interno della società, che è fondamentale per un futuro low carbon, altamente resiliente e più sostenibile.  Esorto i governi a utilizzare il resto dell’anno per trovare soluzioni affinché possano finalmente prendere forma regole forti per i carbon markets. Le imprese lo vogliono, si aspettano segnali positivi da parte dei governi e che lo facciano. Sanno che è un buon modo per ridurre le emissioni a livello globale».
Sottolineando l’importanza dei mercati per un’efficace azione climatica, la Espinosa ha osservato che «Questa settimana, degli investitori che gestiscono oltre 34 trilioni di dollari di assets hanno sollecitato i governi ad attuare politiche in linea con dell’Accordo di Parigi.  Le persone chiedono risultati, sia su Internet che per le strade, e dobbiamo dimostrare che ci stiamo assumendo le nostre responsabilità. L’accordo di Parigi è chiaro: è il nostro lavoro. Abbiamo il mandato di farlo. Dobbiamo mantenere la parola data».

Ora bisognerà farlo capire ai sauditi, ai brasiliani e a quelli per cui fanno il lavoro sporco.