Il Big Business USA si impegna a ridurre le emissioni e ad investire in tecnologie low carbon

Clima: a Bonn i Paesi in via di sviluppo criticano il documento per la Cop21 di Parigi

Rapporto EEA: «Ue in prima linea con una riduzione delle emissioni del 23%»

[20 Ottobre 2015]

Ieri a Bonn, in Germania,  è iniziato l’ultimo ciclo negoziale dell’Onu prima della Conferenza delle parti Unfcc di Parigi. La Climate change conference di Bonn ha preso il via in un clima di forte critica da parte dei Paesi in via di sviluppo verso l’ultima bozza di progetto presentata per un accordo mondiale sul clima.

Entro il 23 ottobre i negoziatori dovranno comunque licenziare la bozza del nuovo accordo che indicheràò alla COP21 di Parigi quale direzione prendere. All’inizio del mese I due copresidenti dei negoziati hanno ridotto il progetto di accordo a 20 pagine dalla versione iniziale di più di 80 pagine, fornendo sicuramente una base più chiara per i negoziati.

Ma i Paesi in via di sviluppo criticano il progetto perché non è preciso riguardo a problemi cruciali come il sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo e perché non tiene in considerazione molte delle loro richieste. La bozza di risoluzione non chiarisce nemmeno la maniera in cui si potrà tener conto delle diverse responsabilità in materia di riduzione delle emissioni tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo.

In un comunicato il Gruppo G77 e Cina, che rappresenta 134 Paesi in via di sviluppo, sottolinea che la bozza presentata «E’ estremamente squilibrata e di parte, al punto di mettere in pericolo gli interessi e la posizione dei Paesi in via di sviluppo. Il Gruppo ripristinerà le sue posizioni nel testo in maniera costruttiva».

Uno dei due co-presidenti della Climate change conference di Bonn Daniel Reifsnyder, a chiesto a tutti i Paesi di inserire solo i punti indispensabili, ma gli analisti pensano che, alla fine della settimana dei negoziati di Bonn, il testo  sarà più lungo delle 20 pagine attuali, anche se non ritornerà alle 0 pagne del documento presentato all’inizio dell’anno

A non essere d’accordo con le critiche del Gruppo G77 e Cina  è certamente l’Unione europea che oggi ha reso noto il rapporto “Trends and projections in Europe 2015″ dall’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) emerge che, «Secondo stime approssimative, nel 2014 le emissioni di gas serra sono diminuite del 4% rispetto al 2013, anche se in parte ciò è dovuto alle temperature insolitamente miti che hanno determinato una riduzione della domanda energetica. Ciò significa che, rispetto ai livelli del 1990, nel 2014 le emissioni di gas serra dell’Ue sono diminuite del 23%. Le proiezioni più recenti degli Stati membri indicano che entro il 2020 l’Ue, con le misure vigenti, dovrebbe arrivare ad una riduzione del 24% e, con le misure aggiuntive già previste dagli Stati membri, ad una riduzione del 25%. L’UE è quindi sulla buona strada anche rispetto all’obiettivo fissato dal protocollo di Kyoto per il secondo periodo di impegno 2013-2020».

Nell’Unione europea la  riduzione delle emissioni di gas serra dovrebbe continuare anche dopo il 2020, anche se a un ritmo meno sostenuto. «Secondo le proiezioni comunicate dagli Stati membri – dice l’EEA –  le riduzioni previste dovrebbero consentire, entro il 2030, di diminuire le emissioni del 27% (con le misure vigenti) e del 30% (con misure supplementari già pianificate dagli Stati membri) rispetto ai livelli del 1990. Occorrono pertanto nuove strategie per conseguire l’obiettivo di riduzione del 40% entro il 2030. Come affermato dal Presidente Juncker nel suo discorso sullo stato dell’Unione europea, la Commissione europea ha già adottato le prime misure legislative per il conseguimento degli obiettivi del 2030 con la proposta, avanzata l’estate scorsa, di rivedere il sistema di scambio delle emissioni (ETS) dell’Ue».

Il commissario europeo all’azione per il clima e l’energia, Miguel Arias Cañete, ha sottolineato che  «Questi risultati sono eloquenti: l’Europa è riuscita a ridurre le emissioni del 23% tra il 1990 e il 2014 mentre l’economia, nell’arco dello stesso periodo, è cresciuta del 46%. Abbiamo ripetutamente dimostrato che la protezione del clima e la crescita economica vanno di pari passo. Si tratta di un segnale forte, in vista della conferenza di Parigi sul clima, a riprova del fatto che l’Europa rispetta i propri impegni e che le nostre politiche in materia di energia e clima stanno dando i loro frutti. Abbiamo già mosso i primi passi per rispettare il nostro impegno di Parigi con le nuove proposte politiche presentate all’inizio dell’estate».

Anche per Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’EEA «L’impegno dell’Europa per ridurre le emissioni di gas serra ed investire nell’efficienza energetica e nelle energie rinnovabili ha portato a vantaggi concreti. La relazione dimostra che l’Ue è sulla buona strada verso il conseguimento degli obiettivi climatici stabiliti per il 2020».  Ma Bruyninckx  aggiunge che «La relazione indica inoltre che per raggiungere i nostri obiettivi a più lungo termine per il 2030 e il 2050 è necessario un cambiamento radicale delle modalità di produzione e utilizzo dell’energia in Europa».

Intanto si muovono anche le multinazionali: ieri la Casa Bianca ha annunciato che 81 corporations hanno firmato l’impegno “American Business Act on Climate Pledge”, promettendo di ridurre le loro emission di gas serra. Tra i giganti che si sono impegnati figurano Coca-Cola, Apple, Intel, IBM e Walmart.

Si tratta di grandi imprese che negli USA impiagano 9 milioni di persone e che hanno un giro di affari di 3.000 miliardi di dollari all’anno ed un valore in borsa di oltre 5.000 miliardi di dollari. Multinazionali che sullo scenario mondiale “valgono”, anche politicamente, molto di più di diversi Paesi poveri che protestano per la bozza di risoluzione della COP21 di Parigi.

Ma il Big Business Usa ha detto di sperare in «un risultato forte ai colloqui sul clima dell’Onu previsti a Parigi nel prossimo dicembre» ed ha accettato di ridurre le sue emissioni di gas serra e di aumentare gli investimenti low carbon, utilizzando più energie rinnovabili. Sembra un contro-manfesto rispetto al programma dei candidati repubblicani alla presidenza Usa.

Infatti Obama è molto soddisfatto per come le grandi imprese hanno risposto alle sue iniziative climatiche. La Casa Bianca a luglio aveva lanciato l’American Business Act on Climate Pledge e 13 companies americane, come Microsoft, l’avevano firmato impegnandosi a destinare 140 miliardi di dollari a nuovi investimenti in tecnologie low carbon e a produrre più di 1.600 megawatt di energie rinnovabili. Ieri il Consorzio indipendente di investitori a lungo termine, creato a giugno al summit sulle energie pulite organizzato dalla Casa Bianca, ha annunciato la prima serie di investimenti per un totale di 1,2 miliardi di dollari  che partiranno a metà 2016.