Cnr: «Cambiamenti biologici oceanici mai visti»

Studio internazionale: possibili conseguenze sui servizi ecosistemici come pesca, acquacoltura e turismo

[3 Maggio 2019]

«Nell’ultimo decennio il riscaldamento terrestre ha portato a mutamenti biologici su scala oceanica senza precedenti», è quanto emerge dallo studio “Prediction of Unprecedented Biological Shifts in the Global Oceanpubblicato su Nature Climate Change da un team internazionale di ricercatori guidato dal Cnrs francese al quale hanno partecipato anche Alessandra Conversi dell’Istituto di scienze marine del Cnr (Cnr-Ismar)  e Serena Fonda-Umani, del Dipartimento di scienze della vita dell’università di Trieste, e che suggerisce che «Le future variazioni di temperatura avranno effetti ancor più importanti sulla vita marina».

Al Cnr ricordano che «Secondo il 5th Assessment Report dell’Intergovernmental panel on climate change, dal 1995 l’oceano globale ha assorbito oltre il 90% del calore in eccesso intrappolato nell’atmosfera dai gas serra. Tuttavia, solo una minuscola parte degli oceani è attualmente monitorata rispetto al cambiamento globale, il che limita la nostra capacità di prevedere le sue implicazioni sulla biodiversità a scala oceanica».

Lo studio, identifica in particolare «alterazioni inusuali nella vita marina dopo il 2010 nel Pacifico, nell’Oceano Atlantico e nell’oceano Artico» e la Conversi spiega che «Questi risultati suggeriscono l’inizio di una nuova era climatica caratterizzata da forti cambiamenti biologici in regioni sempre più diffuse. E’ risaputo che i cambiamenti climatici hanno effetti sulla biodiversità marina, tuttavia può accadere che in un periodo di tempo relativamente breve (ordine anno) si modifichi l’intera rete trofica di un ecosistema, con impatti anche devastanti sui servizi ecosistemici e sulle collettività che ne usufruiscono. Questi fenomeni, detti “phase”, “regime” o “abrupt shifts”, o cambi/salti di sistema, sono stati identificati in molti bacini marini, per esempio nel Mare del Nord e in Adriatico a fine anni 80».

Risultati preoccupanti che sono stati ottenuti grazie a un nuovo modello numerico globale sviluppato dal team scientifico internazionale sulla  base della Macro-Ecological Theory on the Arrangement of Life (Metal), sviluppata da Gregory Beaugrand.. e che è servita a  capire e predire i cambiamenti nella biodiversità marina. La Conversi sottolinea che «Con questo modello, sono state create un gran numero di specie simulate (pseudo-specie) caratterizzate da diversa tolleranza alla temperatura. In ogni regione oceanica restano solo le pseudo-specie adattate alle variazioni locali della temperatura e formano pseudo-comunità. Per verificare l’efficacia delle predizioni, il modello è stato inizialmente testato su quattordici regioni oceaniche per le quali esistevano osservazioni multi-decennali (dagli anni ’60) dovute a programmi di monitoraggio. Questi test hanno dimostrato che le previsioni teoriche (pseudo-comunità) del modello ‘Metal’ mostrano cambiamenti temporali molto simili a quelli osservati nelle comunità reali, ovvero sono credibili e quindi le predizioni si possono usare in zone in cui non vi sono osservazioni».

Il modello è stato poi applicato su scala globale nel periodo 1960-2015 e la ricercatrice Cnr-Ismar spiega ancora: «Applicando il modello, siamo riusciti a quantificare la forza e l’estensione spaziale dei “regime shifts” a scala globale: Metal ha infatti identificato tra il 2010 e il 2015 un “cambiamento senza precedenti e massiccio” nelle popolazioni oceaniche, che può essere attribuito a El Nino, alle anomalie di temperatura in Atlantico e nel Pacifico e al riscaldamento dell’Artico».

I programmi di monitoraggio delle popolazioni marine coprono solo una piccola area dell’oceano, solitamente vicino alla costa, ma la Conversi conclude facendo notare che «Questo nuovo modello basato sulla teoria Metal offre invece una copertura globale e può essere usato in congiunzione con i sistemi di monitoraggio esistenti, consentendo quindi la predizione dei principali cambiamenti biologici su scale più ampie in spazio tempo di quanto sia possibile fare con i soli dati osservati. Può inoltre fornire segnali di allarme precoce (early warnings) sui cambi di regime negli ecosistemi marini, e allertare sulle possibili conseguenze sui servizi ecosistemici associati, come la pesca, l’acquacoltura, il turismo».