Cop24 Unfccc, la (in)giustizia climatica dell’Arabia Saudita non piace ai Paesi in via di sviluppo

Il no della ricca monarchia petrolifera al Rapporto 1,5° dell’Ipccc l’ha allontanata dai Paesi poveri

[13 Dicembre 2018]

Dopo che l’ostruzionismo saudita ha di fatto bloccato i progressi della 24esima Conferenza delle parti dell’United Nations convention on climate change (Cop24 Unfccc) in corso a Katowice, l’Arabia Saudita – che è annoverata tra i Paesi in via di sviluppo – è stata emarginata dal gruppo di Paesi di cui ancora faceva parte.

L’8 dicembre la Cop24 non è riuscita ad adottare le conclusioni dello Special Report on Global Warming of 1.5°C  dell’Ipccc perché  il capo negoziatore dell’Arabia Saudita, Ayman Shasly,  ha detto che gli scienziati hanno r fatto un quadro che ignora la responsabilità storica dei principali inquinatori. Peccato che a spalleggiarlo ci fossero quelli che so no stati gli inquinatori storici per eccellenza (insieme all’Europa): Stati Uniti d’America e Russia (già Unione Sovietica).

In un’intervista a Carbon Brief , Shasly  ha detto che il rapporto Ipcc pubblicato a ottobre, «dimostra che [il riscaldamento a 1,5° C] è fattibile, se è fattibile, facciamolo tutti insieme, il che non è giusto. Qual è l’equità in questo? Dov’è la storia in questo?».

E’ abbastanza incredibile – e parecchio sfacciato – che un ricco Paese petrolifero, noto per la sua insostenibile impronta energetica e ambientale,  affermi per bocca del suo capo negoziatore climatico che «La responsabilità di limitare l’uso di combustibili fossili non dovrebbe ricadere sui Paesi in via di sviluppo, compresa l’Arabia Saudita, ma sui paesi più grandi e ricchi con una lunga storia di emissioni di carbonio, che includono Stati Uniti, Europa, Canada, Australia e Giappone. Sono questi quelli in questione, non noi. Sono quelli che dovrebbero davvero creare lo spazio per tutti noi, in quanto Paesi in via di sviluppo, almeno per sviluppare qualcosa di più vicino al livello di sviluppo di cui gode il mondo industriale».

Sarebbe tutto giusto, ma il problema è che l’Arabia Saudita è il secondo più grande produttore di petrolio nel mondo e che vorrebbe far credere che non esiste nessuna contraddizione nell’attaccare il Rapporto Ipcc insieme a tre altri Paesi petroliferi, Usa, Russia e Kuwait, due dei quali sono da annoverare tra quelli messi all’indice da  Shasly per le loro storiche colpe.

Ma la furbata saudita di schierarsi con Trump e Putin invocando la solidarietà dei Paesi in via di sviluppo non ha funzionato perché sono stati proprio i Paesi più poveri a parlare a favore della scienza e del rapporto Ipcc. Ieri, intervenendo alla Cop24, il primo ministro delle Fiji, Frank Bainimarama, ha annunciato che chiederà l’accoglimento de l Rapporto Ipcc: «Lasciate che lo chiarisca perfettamente. Le Figi sapprezzano lo Special Report on Global Warming of 1.5°C e ringraziamo le migliaia di scienziati che hanno contribuito a realizzarlo. Dobbiamo tutti accettare la scienza, che è inconfutabile. Accettiamo la scienza praticamente in ogni altra forma di sforzo umano. Una logica così semplice ci impone di farlo quando l’evidenza del riscaldamento indotto dall’uomo è così decisiva. Tutti pagherebbero un prezzo se la scienza venisse ignorata. Se pensi di essere al sicuro nel tuo ambiente, se non sei vulnerabile, sarai vulnerabile, se non daremo seguito a ciò che gli scienziati ci hanno detto».

Il ministro dell’ambiente del Costa Rica, Carlos Manuel Rodríguez, ha detto a Climate Home News che «La resistenza dell’Arabia Saudita, condivisa con Kuwait, Russia e Stati Uniti, l’ha isolata dalle altre nazioni in via di sviluppo, che negoziano insieme in un blocco di 134 paesi conosciuto come G77 e Cina. Penso che sia questo dove esiste una grande differenza con alcuni membri del G77. Non sono così sorpreso dal fatto che ancora una volta diversi Paesi abbiano espresso scarso impegno per rispettare le raccomandazioni scientifiche, ma non dovrebbe esserci alcuna possibilità di mettere in discussione quelle informazioni».

Il rapporto Ipcc ha concluso che con un aumento delle temperature globali di 1,5° C il clima continuerebbero a peggiorare ma le conseguenze sarebbero molto meno disastrose che con un aumento di 2° C. Il problema è che ci stiamo velocemente dirigendo verso i più 3° C (e oltre) e che l’Ipcc avverte che le conseguenze le pagherebbero in maniera sproporzionata proprio «le popolazioni svantaggiate e vulnerabili, alcune popolazioni indigene e le comunità locali dipendenti dai mezzi di sussistenza agricoli o costieri». Le più danneggiate sarebbero le economia dei Paesi tropicali e di quelli subtropicali dell’emisfero australe, che sono praticamente tuti Paesi in via di sviluppo, cioè quelli dai quali l’Arabia Saudita pretenderebbe solidarietà.

Probabilmente più che per i Paesi poveri l’Arabia Saudita è preoccupata perché il Rapporto Ipcc dice che per restare entro gli 1,5° C sarebbe necessaria una rapida trasformazione energetica planetaria, mettendo fine all’utilizzo di combustibili fossili entro la metà del secolo. La verità è che a Katowice la ricca e spietata monarchia assoluta saudita sta combattendo una battaglia per la sua sopravvivenza a discapito di quella di milioni di persone

François Martel, segretario generale del Pacific Islands Development Forum, pensa che la provocatoria iniziativa saudita possa essere addirittura salutare: «Questa pressione offre ai Paesi in via di sviluppo l’opportunità di saltare dentro questo secolo. Riguardo a questo rapporto, non si vedono problemi da parte a dell’India, della Cina, del Sud America e dell’Africa. Perché non è una questione di economia, è una questione di sopravvivenza».

Anche per Melchior Mataki, capo delegazione delle Isole Salomone alla Cop24, «La posizione saudita è simile a quella di chi dice “OK, potete solo continuare ad affrontare le conseguenze negative dei cambiamenti climatici e probabilmente anche perdere le vostre economie”. Le Isole Salomone premono perché la presidenza polacca del vertice Onu includa un passaggio che accoglie la relazione nella dichiarazione finale del summit».

Secondo una fonte europea citata da Climate Home News, anche l’Ue sta facendo pressioni sulla presidenza perché “accolga” il Rapporto  e si aspetta che altri facciano altrettanto.

Shasly ha detto a Carbon Brief che l’Arabia Saudita ha chiesto alla presidenza polacca della Cop24 una decisione definitiva che «prenda atto» del Rapporto. Quindi per domani sera, quando la Cop24 Unfccc dovrebbe concludersi con l’adozione di un regolamento per l’attuazione dell’Accordo di Parigi, si annuncia un durissimo scontro politico, ma alla fine l’Arabia Saudita, che potrebbe anche riuscire bloccare tutto grazie all’aiuto dei suoi potenti ma inaffidabili alleati, si troverà completamente isolata dai Paesi in via di sviluppo che non condividono la sua furbesca concezione della (in)giustizia climatica e si troverebbe ad assumersi la responsabilità di far saltare l’azione climatica urgente che potrebbe salvare il pianeta da conseguenze disastrose.

Una cosa è evidente: se bastano un pugno di Paesi – uno dei quali, gli Usa, già con le valige in mano – a mettere a rischio un accordo internazionale vitale, qualcosa nel ferraginoso meccanismo negoziale dell’Unfccc non torna.