Coronavirus, clima ed economia: in Cina le emissioni di CO2 ridotte di oltre un quarto

Ma ora il rischio è che la Cina punti sulle industrie energivore per recuperare il PIL perduto

[25 Febbraio 2020]

Secondo quanto riporta l’agenzia ufficiale cinese Xinhua il team congiunto di esperti della Cina e dell’Organizzazione mondiale della sanità ha detto che «Gli interventi di salute pubblica senza precedenti della Cina per far fronte all’epidemia di COVID-19 hanno prodotto dei risultati considerevoli per quel che riguarda il bloccare la trasmissione interumana del virus, prevenire o almeno ritardare centinaia di migliaia di casi».

Secondo la valutazione congiunta presentata ieri a Pechino dal team composto da 25 specialisti che hanno compiuto un viaggio di studio di 9 giorni nelle aree più colpite, «La Cina ha anche svolto un ruolo cruciale nella protezione della comunità internazionale, permettendo ai Pesi di aver del tempo prezioso per adottare delle misure attive di prevenzione e di controllo e offrendo loro un’esperienza valida. La Cina prende delle misure prudenti, progressive e ordinate per ristabilire progressivamente l’ordine nei settori sociale, economico, educativo e sanitario. Altri Paesi dovrebbero rivalutare rapidamente le misure prese guardando alla Cina».

Mentre la Cina combatte contro il Coronavirus, Carbon Brief pubblica l’”Analysis: Coronavirus has temporarily reduced China’s CO2 emissions by a quarter” curata da Lauri Myllyvirta del Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea) sugli impatti delle iniziative prese dal governo cinese sulla domanda energetica e sulle emissioni della Cina Paese e dice che «stanno solo iniziando a farsi sentire».

Myllyvirta spiega che «La domanda di elettricità e la produzione industriale rimangono di gran lunga al di sotto dei livelli abituali per tutta una serie di indicatori, molti dei quali sono alla media più bassa di due settimane in diversi anni. Questi includono: Utilizzo di carbone nelle centrali elettriche che riporta i dati giornalieri al minimo da quattro anni. I livelli di funzionamento della raffineria di petrolio nella provincia di Shandong al livello più basso dal 2015. Produzione di linee chiave di prodotti in acciaio al livello più basso da 5 anni. Livelli di inquinamento atmosferico da NO2 in Cina che sono diminuiti del 36% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. I voli nazionali sono scesi fino al 70% rispetto al mese scorso».

Le misure drastiche prese dal governo centrale cinese per contenere il Coronavirus hanno portato a riduzioni della produzione tra il 15 e il ​​40% nei settori industriali chiave e l’analisi pubblicata da Carbon Brief evidenzia che «E’ probabile che nelle ultime due settimane questo abbia spazzato via un quarto o più delle emissioni di CO2 del Paese, il periodo in cui l’attività sarebbe ripresa normalmente dopo le vacanze del Capodanno cinese. Nello stesso periodo nel 2019, la Cina aveva rilasciato circa 400 milioni di tonnellate di CO2 (Mt CO2), il che significa che, fino ad oggi, il virus potrebbe aver ridotto le emissioni globali di 100 Mt CO2. La domanda chiave è se gli impatti sono sostenuti o se saranno compensati – o addirittura invertiti – dalla risposta del governo alla crisi».

Le prime analisi dell’International energy agency (Iea) e dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) suggeriscono che le ripercussioni dell’epidemia potrebbero tra gennaio e settembre di quest’anno. Ma Myllyvirta è convinto che «Le prossime misure di stimolo del governo cinese in risposta all’interruzione potrebbero superare questi impatti a breve termine sull’energia e sulle emissioni, come è successo dopo la crisi finanziaria globale e la recessione economica interna del 2015».

Il problema è che il Coronavirus è esploso durante il capodanno cinese, quando in Cina chiudono per una settimana negozi, cantieri e la maggior parte delle industrie. Le vacanze invernali hanno un impatto significativo a breve termine sulla domanda di energia, sulla produzione industriale e sulle emissioni: generalmente, nei 10 giorni successivi alla vigilia del capodanno cinese, la produzione di energia delle centrali a carbone diminuisce del 50%, quest’anno questo calo si è prolungato per altri 10 giorni e la domanda interna di energia è rimasta contenuta, anche dopo la ripresa ufficiale dei lavori il 10 febbraio.

Nelle due settimane dal 3 al 16 febbraio di quest’anno, il consumo medio di carbone nelle centrali è sceso al minimo da 4 anni, senza alcun segno di recupero nei dati più recenti, riguardanti domenica 16 febbraio.

L’effetto a breve termine è stato altrettanto forte: nello stesso periodo il carbone sbarcato e inviato nel più grande porto carbonifero della Cina, Qinhuangdao, che è sceso al livello più basso in 4 anni. E i dati della raffineria di Shandong, la principale della Cina, indicano una forte contrazione della domanda di petrolio.

Ma l’analisi fa notare che «Sorprendentemente, tutti gli indicatori di utilizzo della capacità industriale – centrali a carbone, altiforni, coke, prodotti siderurgici, raffinerie – si sono ulteriormente deteriorati nella settimana che è iniziata il 10 febbraio, quando si prevedeva che le attività riprendessero ufficialmente.

Nel loro insieme, le riduzioni nell’uso del carbone e del petrolio greggio indicano una riduzione delle emissioni di CO2 del 25% o più, rispetto allo stesso periodo di due settimane dopo le vacanze di Capodanno cinesi nel 2019. Ciò equivale a circa 100 Mt CO2 o il 6% delle emissioni globali nello stesso periodo».

Ha fatto eccezione la produzione di acciaio “primario”, mentre la produzione dei principali prodotti siderurgici è in calo del 25%, raggiungendo il livello più basso negli ultimi 5 anni. Myllyvirta avverte che, in queste condizioni, «A meno che la domanda non si riavvii rapidamente, gli altiforni dovranno chiudere», vista anche la ridotta capacità di detenere scorte e il calo della domanda.

Dalle misurazioni satellitari di diossido di azoto (NO2) arriva un’ulteriore conferma della riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili.

L’analisi di Carbon Brief evidenzia però che «Sebbene l’impatto a breve termine dell’attuale crisi sia grande, in termini di riduzione della domanda di energia e delle emissioni industriali, l’effetto diretto a più lungo termine delle chiusure di fabbriche potrebbe essere molto più limitato. A parte le festività annuali del capodanno cinese, le chiusure di una settimana o più non sono rari in Cina. Inoltre, ridurre del 25% il consumo di energia e le emissioni per due settimane ridurrebbe solo i dati annuali di circa l’1%. La Cina ha anche una sostanziale sovraccapacità in tutte le principali industrie che emettono CO2, il che significa che, se c’è la domanda, i volumi di produzione – e le emissioni – possono recuperare rapidamente dopo un fermo. Qualsiasi impatto prolungato sull’uso di combustibili fossili verrebbe dalla riduzione della domanda, che gli indicatori iniziali suggeriscono che potrebbe avere un impatto notevole». Ad esempio, per le vendite di auto febbraio è previsto un calo del 30% rispetto ai livelli del 2019.

Se si riduce la domanda dei consumatori, ad esempio a causa di salari non pagati durante la crisi, con effetti a cascata sul resto dell’economia, «la produzione industriale e l’utilizzo di combustibili fossili potrebbero non recuperare, anche se è disponibile la capacità per farlo».

Alcuni analisti dicono che le immagini che vengono dalla Cina di metropoli deserte e di fabbriche di smartphone chiuse dimostrano che sta succedendo proprio questo, ma Myllyvirta dice che si tratta di un’idea esagerata dell’impatto reale del Coronavirus: «Il consumo di energia della Cina è fortemente dominato dalle industrie ad alta intensità energetica e dal trasporto merci, con il consumo di elettricità residenziale e commerciale, le auto private e così via che svolgono un ruolo relativamente minore. Questo è dimostrato dal fatto che Pechino ha vissuto il suo secondo grave episodio di smog dell’anno la scorsa settimana, lasciando molti a chiedersi da dove venisse l’inquinamento quando la maggior parte delle auto erano ferme e la maggior parte delle attività commerciali erano chiuse. Come già accennato in precedenza, gli altiforni per l’acciaio hanno continuato a funzionare per tutta la durata della vacanza prolungata, mentre la maggior parte delle centrali elettriche ha chiuso al massimo solo una parte delle caldaie».

L’effetto più importante il Coronsavirus lo avrà probabilmente sull’attività edilizia, un settore che fa affidamento sui lavoratori migranti interni che potrebbero ancora essere colpiti ancora per giorni o settimane da restrizioni sui movimenti, dalla quarantena casalinga forzata e da altre misure..

«Il fattore chiave che determina la dimensione di questo impatto è la velocità con cui le cose tornano alla normalità», dice Myllyvirta. Attualmente, dopo aver decapitato interi governi locali e la dirigenza del Partito comunista nelle aree epicentro dell’epidemia, Pechino sta sollecitando la amministrazioni locali a concentrarsi sul rimettere in piedi l’economia. Lo stesso presidente Xi ha criticato la risposta tardiva al coronavirus al di fuori dell’epicentro dell’epidemia nella provincia di Hubei, lanciando un avvertimento sui possibili danni all’economia e mettendo in guardia contro misure più restrittive.

Ma i governi locali, dopo aver sottovalutato l’epidemia, ora continuano a mantenere e persino a rafforzare i controlli sulla circolazione e incoraggiano le imprese a restare chiuse, sono evidentemente più preoccupate di essere accusate dell’insorgere di un nuovo focolaio che di congelare l’economia per qualche giorno o settimana in più.

A subirne le conseguenze è anche il mercato immobiliare, sia a causa delle restrizioni ai movimenti dalle zone rurali verso quelle urbane che dureranno probabilmente molto, sia per la riduzione del reddito probabilmente spingerà i costruttori a rallentare e astenersi dall’avviare nuovi progetti. In un Paese dove da anni si teme lo scoppio di una bolla edilizia, gli impatti economici di tutto questo sono imprevedibili.

E anche la finanza cinese trema, visto che le imprese, i governi locali e sempre più le famiglie hanno livelli di debito elevati e che questa crisi renderà per molti impossibile pagare alcuni debiti. Il principale giornale economico cinese, Caixin ha definito il Coronavirus «Una minaccia esistenziale per le piccole imprese», una situazione che è aggravata dalla pratica diffusa delle imprese cinesi di fare debiti a brevissimo termine per finanziare spese a lungo termine.

Le misure adottate dalla Cina e da altri Paesi per contenere il virus stanno avendo un forte impatto negativo anche sul aereo, con riduzioni del 50 – 90% sulle rotte in partenza dalla Cina del 60 – 70% sui voli interni in sole due settimane rispetto alla settimana che dal 20 al 26 gennaio. Nel 2018 questi voli erano responsabili del 17% delle emissioni totali di CO2 del trasporto aereo passeggeri, il che vuol dire che le cancellazioni dei voli in corso hanno ridotto le emissioni globali di CO2 dei voli passeggeri di circa l’11%, cioè 3 Mt.

I governo centrale e il Partito comunista cinese sembrano consapevoli dei rischi finanziari e hanno chiesto alle banche di rinnovare i prestiti e alle amministrazioni locali per ridurre gli affitti e gli altri costi per le imprese.

Myllyvirta sottolinea che «Oltre agli interventi immediati per evitare interruzioni finanziarie, si sta formando una forte risposta di politica economica». Ma il Coronavirus ha rotto le uova nel paniere che aveva preparato Xi: il 2020 doveva essere l’anno in cui la Cina metteva in mostra i suoi risultati economici e il raggiungimento dell’obiettivo di «costruire una società moderatamente prospera» che il governo comunista si era dato nel 2010, ma un innalzamento del PIL significativamente più basso non permetterà probabilmente di celebrare l’evento politico. Il governo cinese potrebbe essere tentato di recuperare rapidamente puntando tutto d se sulle industrie energivore – acciaio, cemento, metalli non ferrosi, vetro e altri materiali da costruzione di base – ma questo comporterebbe un aumento delle emissioni di CO2 che Pechino non si può permettere senza violare i suoi impegni climatici presi con l’Accordo di Parigi.

Myllyvirta è però convinto che «Ci sono già segnali che ciò potrebbe accadere, con il Politburo che ha recentemente chiesto uno stimolo “attivo”, tra cui l’accelerazione di grandi progetti di costruzione e l’aumento sia dei prestiti bancari che della spesa pubblica. Un ritorno alla spesa per gli stimoli alimentata dal debito è contrario all’obiettivo del governo di riequilibrare l’economia verso il consumo. Rilassare l’obiettivo di crescita del PIL per l’anno darebbe più spazio per conciliare i diversi obiettivi, ma Xi ha segnalato che il paese dovrebbe attenersi ai suoi obiettivi “fin d’ora”».

L’obiettivo di crescita del PIL per il 2020 doveva essere ufficialmente fissato nella sessione annuale del Congresso Nazionale del Popolo, che doveva tenersi all’inizio di marzo ma che è stata rinviata a causa del Coronavirus.

Inoltre, le dichiarazioni del governo cinese sugli incentivi non danno indicazioni su quali siano i settori sui quali si voglia puntare e Myllyvirta fa notare che «Mirare agli investimenti nell’energia pulita e nell’efficienza energetica sarebbe un modo naturale per conciliare l’esigenza percepita di sostenere la crescita economica con la spesa progettata dallo Stato e l’ambizione dichiarata della Cina di contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici. Il settore dell’energia pulita attualmente sta funzionando ben al di sotto della sua capacità a causa del rallentamento degli investimenti in fonti energetiche non fossili e nei veicoli elettrici nel 2019 . L’analisi dei dati del China Electricity Council dimostra che, nei primi 11 mesi dell’anno, la capacità dell’energia eolica recentemente installata è diminuita del 4%, la capacità dell’energia solare del 53%, l’energia idroelettrica del 53% e il nucleare del 31%, mentre la capacità di energia termica aggiunta di recente è aumentata del 13%. Dopo il boom nella prima metà del 2019, le vendite di veicoli elettrici sono diminuite del 32% su base annua nel periodo da luglio a novembre».

Insomma il periodo post-Coronavirus sarà la cartina di tornasole per vedere se il gigante cinese farà qualche altro passo falso o riprenderà la strada virtuosa dal ripristino ambientale e delle energie pulite, l’unica che po’ davvero portare alla « società moderatamente prospera», sbandierata dal Partito comunista.