Donald Trump, incubo o sogno per i petrolieri statunitensi?

Qualcuno pensa addirittura di votare per Hillary Clinton, che vuole vietare le nuove trivellazioni nel Golfo del Messico

[18 Marzo 2016]

L’industria petrolifera statunitense è da anni alleata dei repubblicani: prima ha sostenuto George W. Bush e dopo Mitt Romney contro Barack Obama, ma l’ascesa di Donald Trump, che pure è un loro sfegatato sostenitore, potrebbe portare una parte di questa potentissima lobby ad ingoiare il “rospo” democratico di Hillary Clinton alla Casa Bianca.  Come spiega Politico,  è un altro segno di come la campagna elettorale fascistoide di Trump e la sua retorica roboante abbiano sconvolto i presupposti  tradizionali della politica presidenziale, compresa la fedeltà di ferro dell’industria dell’Oil&Gas al partito repubblicano. Nel suo furore populista Trump cerca di intercettare i voti dei farmers americani dell’America più conservatrice che “coltivano” etanolo  e ha addirittura rivendicato “un pezzo” dell’oleodotto Keystone XL. Nel suo furore populista, il miliardario statunitense, che resta un grande ammiratore delle Big Oil e un fervente ecoscettico, tratta a volte, a seconda del suo tornaconto politico in quello Stato Usa, gli “special interest” delle compagnie petrolifere come degli ingombri che lo separano dai voti del suo elettorato di estrema destra. Insomma, sembra proprio che la destra antiambientalista che le lobby petrolifere hanno allevato sborsando milioni di dollari per mandare in Parlamento legioni di esponente del Thea Party si stia rivoltando contro chi ha contribuito a crearla.

Jack Gerard, l’amministratore delegato dell’American Petroleum Institute, la “Confindustria” dei petrolieri Usa che finanzia i think tank della destra anti-ambientalista Usa, ha addirittura detto a Politico che non sa se a novembre andrà a votare. Nel 2012, se avessero vinto  i repubblicani, Gerard sarebbe probabilmente diventato il ministro dell’energia di Romney e ai tempi di George W. Bush era uno dei suoi più ascoltati consiglieri energetici.

Certo la Clinton e il Partito democratico, soprattutto dopo la svolta a sinistra impressa da Bernie Sanders, sono un boccone duro da digerire per i petrolieri, arrabbiati anche per il recentissimo stop alle trivellazioni nell’Oceano Atlantico imposto da Obama con l’appoggio della Clinton. Ma alcuni rappresentanti dell’Oil&Gas  sembrano ormai rassegnati a una vittoria della Clinton a novembre e a 4 anni di vacche magre, in attesa che nel 2020 il Partito Repubblicano si prenda una rivincita con un candidato più presentabile.

Certo, uno come Trump alla Casa Bianca sarebbe un sogno per molti petrolieri statunitensi, ma per molti sembra una  scommessa troppo rischiosa.

Altri sperano che la Clinton, archiviato Sanders e zittiti i giovani ambientalisti e “socialisti” che o sostengono, ritorni alla sua vera politica centrista sulle questioni energetiche tradizionali da concordare con i governatori repubblicani che comunque presidiano sul territorio gli interessi delle compagnie fossili

L’industria petrolifera è stata ed è ancora la più grande alleata del Partito repubblicano, nelle due ultime tornate elettorali l’American Petroleum Institute ha dato circa il 80 per cento dei suoi contributi elettorali ai candidati repubblicani. Negli ultimi 10 anni Gerard ha personalmente donato più di 75.000 dollari ai candidati quasi tutti ai repubblicani.

Eppure Trump avita sempre di dare risposte dettagliate sulla politica energetica, ma la sua retorica dai palchi dei suoi comizi incendiari non piace molto ai superconservatori padroni della Big Oil: nell’Iowa, Trump ha detto ai coltivatori di mais che promuoverà l’etanolo, irritando i raffinatori di petrolio che dicono che il biocarburante farà salire i costi.  Trump – come la Clinton – assicura i cacciatori e i pescatori sportivi che proteggerà le terre federali dove l’industria energetica vorrebbe estrarre petrolio, gas e carbone. Resta un fervido sostenitore dell’oleodotto Keystone XL, bocciato da Obama, che dovrebbe trasportare il petrolio delle sabbia bituminose dal Canada Alle coste del Texas, ma vuole rivedere il progetto e prendersene un pezzo per «dare soldi alla gente di questo Paese» a svantaggio delle imprese petrolifere, ma sapendo bene che i tribunali Usa probabilmente respingeranno qualsiasi tentativo di imporre un accordo di partecipazione agli utili sull’oleodotto. Molti lobbisti del petrolio continuano a puntare su Trump perché sono convinti che, se vincerà, si rimangerà immediatamente queste sortite populiste. Ma il problema è che nessuno sa davvero quale sia l’idea di politica energetica (e non solo) che ha in testa Trump. E questa imprevedibilità è un incubo per un’industria per la quale la certezza normativa è una priorità assoluta.

Quel che è certo è che se Trump diventerà presidente degli Stati Uniti butterà immediatamente nella spazzatura gli impegni climatici assunti degli Usa, cosa che farebbe molto piacere alla lobby petrolifera, ma questo non basta a tranquillizzarla.

Trump utilizza l’industria petrolifera come una clava per attaccare i democratici, ma poi accusa i suoi rivali repubblicani di aver fatto fortuna con il petrolio e ha definito Cruz come un nemico dei coltivatori di mais dell’Iowa perché al Congresso si è opposto alla richiesta che le raffinerie  miscelassero i biocarburanti alla di benzina.

Ma il casus belli che ha fatto allontanare da  Trump i petrolieri è probabilmente la sua intervista rilasciata a gennaio  a Field & Stream, nella quale ha detto che non gli piace l’idea di restituire le terre federali agli Stati, violando così uno dei comandamenti conservatori che esigono che le federal land vengano aperte all’industria energetica, cosa che è costata a Trump un pesante attacco dell’influente American Legislative Exchange Council, finanziato dalle compagnie dell’Oil&Gas e da altre potenti lobbies del business Usa

Ma anche la Clinton non fa molto per ingraziarsi i petrolieri, irritati per le sue recenti proposte di vietare altre trivellazioni offshore nel Golfo del Messico e per il suo impegno ad approvare regolamenti così stringenti che «Non ci saranno molti luoghi in America dove il fracking continuerà». Anche se Hillary non pronmette di vietare il fracking, come fa Sanders, si tratta di posizioni molto più ambientaliste di quando la Clinton era Segretario di Stato e promuoveva il fracking nei Paesi stranieri e spingeva perché Obama approvasse il Keystone XL.

Gerard è abbastanza disperato per Trump, ma dubita anche che la Clinton modererà le sue opinioni se otterrà la nomination democratica e teme che continuerà a ripetere il “Bernie mantra” di mantenere combustibili fossili sotto terra. Spera comunque che la Clinton, sbarazzatasi di Sanders, si sposti verso il centro – dove evidentemente c’è il petrolio –  perché è lì che si vincono le elezioni. Il problema è che Trump ha spostato così a destra il Partito Repubblicano che il centro “tollerabile” dall’elettore americano medio rischia di spostarsi molto più a sinistra di prima e molto più lontano dal  petrolio e dal fracking.

I petrolieri che finanziano i repubblicani mostrano una netta preferenza per Cruz, che ha ricevuto più di 800.000 dollari dall’OIl &Gas, ma anche alla Clinton sono arrivati 250.000 dollari, mentre a Trump, che i miliardi ce li ha di suo, i petrolieri hanno dato solo 9000 dollari, meno addirittura di 15.000 Sanders.

Ma Politico è convinto che, alla fine, i giganti dell’industria petrolifera sosterranno politicamente Trump contro la Clinton, anche se probabilmente non gli daranno grossi finanziamenti.

Fino ad ora hanno votato 10 Stati produttori di petrolio e Cruz ha vinto in 5: Texas, Alaska, Oklahoma, Kansas e Wyoming. In Louisiana Trump e Cruz hanno lo stesso numero di delegati. Ma è difficilissimo che  Cruz riesca a battere Trump in tutti gli Stati che devono ancora votare e l’unica opportunità che gli rimane  è quella di ribaltare il voto popolare alla Convention Repubblicana. Ma a quel punto Trump si candiderebbe comunque e il Partito repubblicano andrebbe verso una sicura disfatta. Cosa che la lobby dell’Oil&Gas vuole assolutamente evitare. Infatti, altri petrolieri dicono che comunque, per i loro interessi,  un repubblicano alla Casa Bianca sarà sempre meglio di un democratico e il senatore repubblicano John Barrasso, uno degli uomini di fiducia della lobby dei combustibili, conferma: «Qualsiasi repubblicano, quando si tratta di risorse americane, sarà meglio per la nostra economia», poi ci aggiunge un po’ di quel terrorismo sociale che circola anche in questi giorni in Italia riguardo al Referendum del 17 Aprile: «Clinton o Sanders, in entrambi i casi significherebbero significative perdite di posti di lavoro nelle trivellazioni e nelle miniere. Non possiamo permettere che ciò accada». Una carta populista che certamente Trump non si lascerà sfuggire, anche perché molti petrolieri continuano a pensare che alla fine Trump accoglierà le loro priorità.

Bill Cassidy un senatore repubblicano della Louisiana, è convinto che la base di Trump, dominata da «scontenti, sottoccupati, colletti blu, elettori disillusi dal presidente Barack Obama, lo spingeranno nella direzione giusta delle politiche a beneficio del petrolio e del gas. La realtà lo educherà. Ha educato Barack Obama, che in passato si opponeva al fracking  e ora è per il fracking».