Uno studio pubblicato su Science da un team che comprendeva scienziati delle università di Ca’ Foscari e Pisa lega la fine di due ere glaciali al cambio di obliquità e all’energia estiva sulle calotte glaciali

È l’inclinazione dell’asse terrestre a dettare i tempi delle ere glaciali

Una scoperta fatta confrontando i sedimenti marini e le stalagmiti e della Grotta del Corchia

[13 Marzo 2020]

Come finisce un’era glaciale? A spiegarlo è lo studio “Persistent influence of obliquity on ice age terminations since the Middle Pleistocene transition”, pubblicato su Science da un team internazionale di ricercatori – del quale facevano parte Patrizia Ferretti (Dipartimento di scienze ambientali, informatica e statistica, del’università Ca’ Foscari e dell’Istituto per la Dinamica dei processi ambientali del CNR, e Giovanni Zanchetta, del dipartimento di scienze della Terra dell’università di Pisa – che dimostra per la prima volta «il legame tra i tempi del passaggio tra ere glaciali e interglaciali e le variazioni dell’angolo d’inclinazione dell’asse terrestre».

Il team ha effettuato una ricostruzione paleoclimatica combinando due diversi archivi geologici, ed in particolare alcune stalagmiti provenienti dalla Grotta del Corchia, sulle Alpi Apuane in Toscana e sedimenti marini perforati al largo del margine Iberico in Nord Atlantico. Alla Ca’ Foscari spiegano che «Usando innovative tecniche di datazione radiometrica, gli scienziati sono riusciti quindi a determinare con precisione la fine (in gergo terminazione) di due ere glaciali, avvenuta circa 960.000 e 875.000 anni fa. L’inizio di entrambe le terminazioni è legato alle variazioni di insolazione associate all’angolo di inclinazione della Terra, o obliquità».

Secondo Russell Drysdale, il paleoclimatologo della School of geography, dell’università di Melbourne e del Laboratoire EDYTEM–UMR5204 dell’Université de Savoie Mont Blanc che ha guidato lo studio, «Per sapere perché le ere glaciali finiscono, dobbiamo sapere quando sono finite. I sedimenti oceanici registrano meglio la progressione dello scioglimento della calotta glaciale durante una terminazione, ma con essi è difficile generare un modello di età utilizzando datazioni radiometriche nell’intervallo temporale analizzato».

Gli scienziati ricordano che «Le stalagmiti contengono minuscole quantità di uranio e piombo, sfruttate dai ricercatori per fornire un controllo cronologico alle informazioni paleoclimatiche da esse estratte. Poiché le stalagmiti e i sedimenti oceanici registrano lo stesso segnale climatico, è stato possibile confrontare la cronologia uranio-piombo delle stalagmiti con il record oceanico. Questa associazione non era mai stata fatta prima in questo intervallo temporale».

La principale autrice dello studio, Petra Bajo, una ricercatrice dell’università di Melbourne, dell’Australian Nuclear Science and Technology Organisation, Lucas Heights, New South Wales 2234, Australia. e del Croatian Geological Survey, che ha eseguito la maggior parte delle datazioni nell’ambito della sua tesi di dottorato, sottolinea che «Fortunatamente, le stalagmiti di Corchia conservano alcune delle firme geochimiche presenti nei sedimenti oceanici. Ciò ha permesso di confrontare i record climatici ricostruiti nei due diversi archivi geologici, le grotte e gli oceani».

Alla Ca’ Foscari ricordano che «Il clima terrestre è stato molto più freddo dell’attuale per buona parte dell’ultimo milione di anni, con calotte di ghiaccio dello spessore di diversi chilometri che coprivano parte del Nord America e dell’Eurasia. Tuttavia, ogni 100.000 anni circa, il clima si riscaldò rapidamente, raggiungendo condizioni climatiche simili a quelle attuali. Queste transizioni da periodi glaciali a periodi interglaciali sono chiamate terminazioni e sono esempi affascinanti di comportamento non lineare del sistema climatico terrestre che devono tuttora essere compresi, nonostante il periodo interglaciale in cui viviamo sia il risultato proprio di questo tipo di cambiamenti. Nell’ultimo milione di anni, alcune terminazioni si sono concluse in poche migliaia di anni, mentre altre si sono protratte per oltre 10.000 anni. Il motivo di questa diversa durata temporale è stato sino ad oggi oscuro, Grazie ai nuovi dati cronologici, questo studio ora dimostra che il tempo necessario per portare a compimento una terminazione dipende dai livelli di energia estiva a disposizione delle calotte glaciali al momento dell’inizio della transizione».

Infatti, un confronto di questi nuovi risultati con i dati di 9 terminazioni più recenti ha dimostrato che «L’obliquità esercita un’influenza persistente non solo sull’inizio della terminazione ma anche sulla sua durata, e questo schema si è quindi ripetuto persistentemente nell’ultimo milione di anni».

Avendo a disposizione i nuovi dati cronologici, il team internazionale ha anche scoperto che «Il tempo necessario per portare a compimento una terminazione dipende dai livelli di energia estiva a disposizione delle calotte glaciali al momento dell’inizio della transizione«.

La paleoceanografa Ferretti, che in questo studio si è occupata  della precisa sincronizzazione tra i dati continentali e i marini, aggiunge che «“E’ soltanto in questo modo che possiamo iniziare ad affrontare i delicati meccanismi del sistema oceano-atmosfera, e che gli ingenti investimenti per le perforazioni degli oceani, delle calotte polari e per il recupero di diversi archivi climatici produrranno i benefici necessari ad aumentare la nostra comprensione dei processi climatici».

Da tempo gli scienziati ritenevano cruciale il ruolo della geometria dell’orbita terrestre perché «controlla la quantità di radiazione solare che raggiunge le latitudini critiche in cui si espandono le calotte glaciali. I parametri considerati erano appunto l’obliquità e la precessione, che regola il variare delle stagioni nel tempo». Lo studio appena pubblicato rende il ruolo dell’obliquità il principale indiziato come responsabile del fenomeno.

Il team di ricercatori ha ora in programma di esplorare se queste stesse osservazioni sulla variabilità climatica dell’ultimo milione di anni possano essere estese anche a intervalli temporali più antichi del tempo geologico e conclude: «Di particolare interesse è un intervallo climatico cruciale chiamato Transizione del Pleistocene Medio (da circa 1.5 a 0.6 milioni di anni fa), durante il quale si è manifestato un’intensificazione del regime glaciale e la periodicità dei cicli glaciali-interglaciali è evoluta da 40.000 a circa 100.000 anni. Questo periodo climatico è un obiettivo chiave per la comunità scientifica, inclusi gli scienziati polari che hanno intenzione di effettuare una nuova perforazione in Antartide nei prossimi anni».