Le differenze tra climatologia e meteo, guardando oltre le chiacchiere da bar

E un vento freddo arriverà dall’alto: il cambiamento climatico e il vortice polare

Con questo articolo siamo felici di annunciare la partecipazione del geofisico Gianluca Lentini a Eco²-Ecoquadro, il think tank di greenreport.it

[13 Gennaio 2014]

Ma quest’anno fa freddo! Si sono registrati estremi record, per quanto concerne le basse temperature, su tutto il Nord America, l’Europa Atlantica è flagellata da tempeste e venti quasi senza precedenti… e poi ci parlano di riscaldamento globale? E’ questo il cambiamento climatico?

Il destino avverso della climatologia, così come quello di qualsiasi disciplina scientifica di forte impatto pubblico e mediatico, risiede proprio nel suo essere di apparente immediata percezione: ognuno ha esperienza diretta dei fenomeni meteorologici e ognuno ritiene di avere un’idea più o meno accurata di cosa significhi “clima”, “meteo” e “cambiamento climatico”. La diffusione dell’informazione in tempo reale è, naturalmente, anche diffusione di informazioni meteorologiche in tempo reale: una simile mole di dati arricchisce giocoforza la percezione diretta dei fenomeni, induce il commento, modifica la memoria, altera e dirige il pensiero meteorologico; elencare tutti i fraintendimenti, gli errori e le mistificazioni che è possibile leggere quando si parla di climatologia va ben oltre gli scopi di questo articolo, ma è per questo che, in primo luogo, occorre fare chiarezza terminologica.

Il cambiamento climatico si misura attraverso variazioni sistematiche nelle grandezze statistiche delle variabili meteorologiche, che siano calcolate in un intervallo di tempo di diversi decenni e di norma almeno trentennale. La climatologia è infatti la sorella maggiore della meteorologia, a grande scala spaziale e temporale, e nasce dai dati meteorologici raccolti e valutati su un periodo di almeno trent’anni: di questa mole di dati incarna e rappresenta la variabilità statistica, determinandone ad esempio il valor medio e la distribuzione. Il clima di oggi è dunque per definizione uguale al clima di domani in senso stretto, domani tra 24 ore, per una data località: il tempo meteorologico di oggi, invece, con ogni probabilità domani sarà diverso.

Su scale di tempi climatologici, le temperature terrestri sono cambiate sui continenti, sugli oceani, in troposfera e nella bassa stratosfera, invariabilmente nella direzione di un riscaldamento globale che è senza precedenti per la sua entità e velocità. Questo riscaldamento è direttamente connesso all’immissione in atmosfera di gas clima alteranti quali, in ordine d’importanza, l’anidride carbonica, il metano e gli ossidi di azoto, ossia gas serra in grado di rafforzare la capacità dell’atmosfera terrestre di catturare radiazione ad onda lunga proveniente dal suolo.  Nella regione alpina le temperature medie, nei due secoli e mezzo delle serie storiche di variabili meteorologiche, sono aumentate di 1.0 ± 0.1 °C al secolo, secondo una tendenza paragonabile a quella dell’intero emisfero settentrionale e leggermente maggiore della tendenza globale, con un ulteriore incremento e velocizzazione nell’ultimo trentennio; coerentemente, sono aumentate le temperature minime e massime e l’umidità relativa. Le precipitazioni si sono ridistribuite su tutto il pianeta portando, ad esempio nella regione alpina, una diminuzione del numero di giorni di precipitazione ed un aumento dell’intensità delle piogge, specialmente in autunno e in inverno [cit. 1]. Questo è il cambiamento climatico, questo è il riscaldamento globale: una tendenza climatologica, a grande scala spaziale e temporale, che è incontrovertibilmente confermata da una mole di dati di qualità e statisticamente solidissimi.

E poi… poi c’è la variabilità meteorologica, più locale e a minore scala temporale. E poi c’è il fatto che la Terra (e il clima) non è solo atmosfera, ma l’atmosfera interagisce e comunica con le altre unità geofisiche terrestri, ed in primo luogo con l’idrosfera e l’interfaccia oceanica in particolare, con la criosfera, ossia l’insieme dei ghiacci terrestri (siano essi calotte glaciali, ghiacci marini, piccoli ghiacciai continentali), con la terra solida o geosfera, con la biosfera, nonché naturalmente con l’antroposfera, l’unità rappresentativa della specie umana.

Il riscaldamento degli ultimi decenni ha portato a una diminuzione della copertura glaciale artica e boreale in particolare, con una netta diminuzione dei ghiacci marini in massima parte concentrati tra l’arcipelago canadese, la Groenlandia e il Polo Nord. L’Oceano Artico è diventato più caldo, più sgombro dai ghiacci, e questo ha indebolito il vortice polare, ossia quell’area di norma ben imbottigliata alle latitudini più alte: l’indebolimento del vortice polare porta a una maggiore comunicazione dinamica tra l’atmosfera alle alte latitudini e quella alle medie, con ingressi di aria polare ad esempio sul Nord America, come si sta osservando quest’anno. In contemporanea, la struttura barica dell’Atlantico settentrionale ha permesso la formazione di un’area ciclonica particolarmente importante, che ha indotto tempeste di notevole intensità sulle coste occidentali dell’Europa.

Le temperature così rigide registrate in Nord America e le tempeste sull’Europa occidentale sono quindi dovute a un clima più caldo. Si afferma ormai che il global warming, ossia il riscaldamento globale, si stia manifestando anche come global weirding, ossia come “imbizzarrimento (climatico) globale”: “weird” significa “strano, bizzarro”, ed è opportuno tradurre “weirding” come “imbizzarrimento”, un termine che rimanda sia all’aspetto di stranezza, sia all’imponenza e alla complessità di gestione, ai limiti dell’incontrollabilità, del cambiamento climatico.

Cit. 1: Brunetti M., Lentini G., Maugeri M., Nanni T., Auer I., Böhm R., Schöner W., 2009. Climate variability and change in the Greater Alpine Region over the last two centuries based on multi-variable analysis, International Journal of Climatology, DOI: 10.1002/joc.1857, 2197-2225.

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