Cogliati Dezza: «Tagliare i sussidi alle fossili, No alle trivelle e Sì al sostegno delle rinnovabili»

Galletti alla COP21: «Il successo dipende da noi. Subito un accordo efficace e solidale»

Il rapporto Germanwatch 2015: passare dalle parole ai fatti. Fairwatch: Galletti ha raccontato una realtà che non esiste

[8 Dicembre 2015]

Nel suo intervento alla Conferenza delle parti Unfccc a Parigi, il ministro dell’ambiente italiano, Gian Luca Galletti, ha detto ai delegati che «Dipende solo da noi il successo di questa COP e la definizione di un accordo che sia di tutti e che sia capace di assicurare a tutti i paesi un futuro migliore. Un futuro senza cambiamenti climatici fuori controllo con conseguenze incalcolabili e ingestibili. Un futuro solidale in cui tutti i paesi abbiamo le opportunità economiche e tecnologiche per una crescita sostenibile. Un futuro in cui la de-carbonizzazione dell’economia sia un obiettivo di medio termine non solo ambientale, ma sia soprattutto un nuovo modello di sviluppo sociale ed economico, portatore di benessere più diffuso e di equità fra i popoli. Dobbiamo lasciare Parigi con una intesa storica di responsabilità nei confronti delle future generazioni. Un’intesa di civiltà che ha tanto più valore in questi  tempi ed in questa città, segnata quest’anno dall’odio cieco e dalla barbarie terroristica».

Galletti ha sottolineato che «L’Italia, insieme ai paesi dell’Unione Europea, ha sempre sostenuto l’esigenza di una intesa ambiziosa. Oggi l’ambizione non è una opzione è una necessità perché non abbiamo più tempo per intese deboli. La Terra non ci da altro tempo; gli eventi estremi innescati dal surriscaldamento globale stanno causando con una crescita esponenziale di frequenza e intensità, vittime e danni crescenti in tutto il mondo. Si deve e si può essere ambizioni. L’Italia, il mio Paese, lo dico con orgoglio e fra i sottoscrittori del Protocollo di Kyoto e ha centrato gli obbiettivi che quel Protocollo si era dato. Abbiamo ridotto le emissioni del 20% e nello stesso periodo abbiamo cumulato una crescita economica del 43% L’ambizione paga».

Galletti ha poi spiegato che «L’ accordo che vogliamo deve essere efficace ossia deve prevedere meccanismi di revisione periodica dei target che tengano conto del mutare delle condizioni dei vari paesi e delle loro capacità, della loro crescita economica e degli shock interni ed esterni che li colpiscono. Deve essere un accordo in cui tutte le Parti siano in grado di rendicontare e riferire sugli sforzi fatti, per permetterci di misurare lo sforzo collettivo necessario per raggiungere l’obbiettivo di contenimento del riscaldamento globale. Ma l’efficacia non basta. L’accordo che vogliamo deve anche essere solidale. Non può quindi non raccogliere  la richiesta che viene dai Paesi più vulnerabili di considerare lo scenario di limitare la crescita della temperatura di 1,5 gradi. Per centrare questo obbiettivo sarà cruciale il ruolo della comunità internazionale per aiutare i Paesi meno ricchi e in particolare i territori più fragili: isole, deserti e montagne».

Il ministro italiano ha assicurato che «L’Italia farà; la sua parte. Come ha voluto sottolineare il nostro Presidente nel suo intervento all’apertura della COP: l’Italia aumenterà il proprio contributo per la finanza internazionale per il cambiamento climatico fino a 4 miliardi di dollari negli anni tra il 2015 e il 2020 e si impegnerà per lo sviluppo delle energie rinnovabili in Africa».

Galletti ha concluso il suo intervento con le parole di Papa Francesco «che con l’enciclica “Laudato Sì” ci ha dato un contributo morale altissimo sui temi ambientali. Il Pontefice ci ha detto che la sfida che abbiamo davanti è quella di una ecologia integrale ,“economica sociale e ambientale”, che ci consenta di “ridefinire il progresso”. Noi possiamo farlo qui a Parigi, ridefinire il progresso per l’umanità, per costruire tutti assieme un futuro migliore».

Il presidente nazionale di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, ha commentato positivamente quanto detto da Galletti alla COP21 di Parigi, ma ha evidenziato che «L’ambizione va praticata anche a livello nazionale  – ha commentato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza  -, adottando da subito un piano d’azione per il clima che porti il nostro Paese su una completa decarbonizzazione e verso un futuro rinnovabile e libero da fonti fossili. Ora ci aspettiamo che il governo applichi immediatamente quanto dichiarato a Parigi, tagliando i sussidi alle fossili e mettendo in campo una strategia lungimirante per le rinnovabili e l’efficienza. Ciò significa, in sostanza, No alle trivelle e Sì a una politica ambiziosa a sostegno delle rinnovabili. L’Italia deve passare dalle belle parole ai fatti concreti, così come evidenziato anche dal rapporto annuale  Germanwatch presentato oggi a Parigi, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia».

Il rapporto Germanwatch prende in considerazione la performance climatica di 58 Paesi che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. La performance di ogni Paese è misurata con il Climate Change Performance Index (CCPI) e si basa per il 60% sulle sue emissioni (30% livello delle emissioni annue e 30% il trend nel corso degli anni), per il 20% sullo sviluppo del-le rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%) e per il restante 20% sulla sua politica clima-tica nazionale (10%) e internazionale (10%).

Anche quest’anno, Germanwatch 2015,  non assegna le prime tre posizioni: nessun Paese ha raggiunto la necessaria performance per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici in corso e contribuire a mantenere le emissioni globali al di sotto della soglia critica dei 2°C.

Legambiente spiega che «La “top 10” della classifica – con l’eccezione del Marocco che conferma la positiva performance dello scorso anno posizionandosi al decimo posto – è occupata da Paesi europei. In testa vi è ancora una volta la Danimarca, seguita da Regno Unito, Svezia, Belgio, Francia e Cipro.
L’Italia fa un balzo in avanti passando dal 16° all’11° posto grazie alla considerevole riduzione delle emissioni (-16.1% nel 2013 rispetto al 1990) dovuta all’importante contributo delle rinnovabili (il nostro Paese si classifica al 6° posto per il trend di sviluppo delle rinnovabili) e dell’efficienza energetica combinato con la perdurante stagnazione economica. Trend positivo nonostante l’assenza di una politica climatica nazionale a livello degli altri partner europei, che relega il nostro paese in fondo alla classifica specifica (51° posto) stilata dal rapporto per quanto riguarda le politiche nazionali per il clima. La Germania continua a rimanere nelle retrovie, confermando il 22° posto dello scorso anno, dopo molti anni di leadership. Caduta dovuta alla considerevole quota di lignite nel mix energetico nazionale che non consente la necessaria riduzione delle emissioni indispensabile al raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di riduzione entro il 2020 del 40% delle emissioni rispetto al 1990».

Fanno invece passi avanti India, Stati Uniti e Cina, che «razie ai significativi investimenti nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica degli ultimi anni, risalgono il fondo della classifica e si posizionano rispettivamente al 25°, 34° e 47° posto».

Il rapporto evidenzia «Un forte rallentamento della crescita delle emissioni globali di CO2, che ormai tendono a stabilizzarsi. Trend positivo dovuto al considerevole sviluppo delle rinnovabili, che nel 2014 hanno registrato il 59% della nuova potenza elettrica installata a livello glo-bale superando, per la prima volta, la potenza combinata delle nuove installazioni di centrali fossili e nucleari. In ben 44 dei 58 paesi presi in considerazione dal rapporto si è registrata una crescita percentuale annua in doppia cifra».

Secondo Mauro Albrizio, responsabile politiche europee e clima di Legambiente,  che è a Parigi per seguire i lavori della Cop 21, «Questi cambiamenti positivi vanno accelerati L’accordo di Parigi deve avere al centro l’obiettivo globale di eliminare le emissioni da fonti fossili e raggiungere il 100% di rinnova-bili entro il 2050. Solo così sarà possibile contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto della soglia critica dei 2°C. Non vi sono barriere tecnologiche o economiche che possano ostacolare il raggiungimento del 100% di rinnovabili per tutti entro il 2050. Ritardare alla fine del secolo sarebbe troppo tardi per le molte comunità vulnerabili del pianeta che già devono difendersi dai mutamenti climatici in corso e dove il numero di poveri rischia di crescere ancora».

Alberto Zoratti, presidente di Fairwatch, presente come osservatore alla COP21, dice che Galletti a Parigi ha raccontato una realtà che non esiste: «L’impegno che viene richiesto ai Paesi industrializzati parla di obiettivi vincolanti e dovrebbe comprendere anche meccanismi sanzionatori in caso di non ottemperanza, come avviene nei trattati commerciali. Appellarsi alla solidarietà e alla semplice volontà è un ottimismo della ragione oggi non più accettabile, vista la situazione climatica sempre più precaria e visto che nella governance globale ad un approccio volontario sulle questioni dello sviluppo sostenibile, si contrappongono meccanismi impositivi nei trattati di libero scambio, con una chiara priorità nella risoluzione delle controversie L’impegno italiano nell’aumentare il contributo finanziario per l’adattamento a 4 miliardi di dollari per il 2015 – 2020 non chiarisce la fonte di quei fondi, non sottolinea il fatto che debbano essere nuovi ed aggiuntivi e, soprattutto, non tranquillizza rispetto al fatto che non debbano essere stornati dai fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo».

Per Zoratti, «Le percentuali fornite dal Ministro rischiano di essere fuorvianti, a cominciare da quel 40% di elettricità da fonti rinnovabili che non descrive la politica ambivalente di un Governo che a parole supporta la sostenibilità e poi supporta le richieste delle imprese petrolifere nel consolidare la propria attività estrattiva. Senza peraltro ricordare che la percentuale di energia rinnovabile è stata possibile grazie a politiche passate di incentivazione, cambiate in modo irrazionale ed improvviso con la conseguenza di un intero settore economico raso al suolo. Lascia perplessi la determinazione del Ministro a sostenere la richiesta di un aumento massimo di temperatura a 1.5°C, cosa che richiederebbe, come sottolineato dai movimenti della società civile, un immediato cambiamento strutturale del modello economico. Il Ministro sembra non ricordare che abbiamo ormai superato la soglia di 400 parti per milione di CO2 in atmosfera e che il limite paventato dalla comunità scientifica internazionale di 450 ppm è ormai alle porte».