Le nostre scelte odierne sono decisive per il futuro degli oceani e della criosfera

Il cambiamento climatico sta danneggiando seriamente gli oceani e la criosfera della Terra

I punti essenziali del nuovo Rapporto speciale Ipcc e le dichiarazioni degli scienziati

[25 Settembre 2019]

L’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) ha presentato oggi nel Principato di Monaco il suo Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate (Srocc) de sottolinea che «E’ importante definire, con estrema urgenza, felle opportune misure prioritarie, ambiziose e coordinate per far fronte ai cambiamenti durevoli e senza precedenti che subiscono l’oceano e la criosfera. Il rapporto mette in evidenza i benefici di un adattamento ambizioso ed efficace a vantaggio dello sviluppo sostenibile e, al contrario, i costi e i rischi sempre più elevati  legati all’inazione». L’Ipcc ricorda che «L’oceano e la criosfera – il nome dato alle regioni gelate del nostro pianeta – sono degli elementi indispensabili della vita sulla terra. In tutto, sono 670 milioni di persone vivono in delle regioni di alta montagna e 680 milioni vivono nelle zone costiere a basso livello sul mare che dipendono direttamente da questi sistemi. 4 milioni di persone vivono nell’Artico e 65 milioni in Piccoli Stati insulari in via di sviluppo. A causa delle emissioni di gas serra passate e attuali, il riscaldamento globale ha già raggiunto gli 1°C al di sopra dei livelli preindustriali. Esistono un numero considerevole di prove che indicano che questo riscaldamento ha delle gravi conseguenze sugli ecosistemi e sulle popolazioni. L’oceano si riscalda e diventa acido e meno fecondo. Lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali innesca un innalzamento del livello del mare e i fenomeni cistieri estremi sono sempre più intensi».

Lo Srocc è stato approvato ieri dai 195 governi che fanno parte dell’Ipcc re presenta anche delle nuove prove che «sottolineano i vantaggi che ci sono dal fare in modo che il riscaldamento globale sia il più basso possibile, conformemente all’obiettivo che i governo si sono dati con l’Accordo di Parigi nel 2015. Riducendo con la massima urgenza le emissioni di gas serra, è possibile limitare l’ampiezza dei cambiamenti climatici con i quali si confrontano l’oceano e la criosfera. Gli ecosistemi e i mezzi di sussistenza che ne sono dipendenti possono essere preservati.

Presentando il rapporto, il presidente dell’Ipcc, Hoesung Lee, ha detto che «L’alto mare, l’Artico e l’alta montagna a molta gente possono sembrare lontani. Ma noi dipendiamo da loro e siamo segnati, direttamente o indirettamente, dalla loro influenza in diversi modi – nei campi del p tempo meteorologico e del clima, dell’alimentazione de dell’acqua, dell’energia, del commercio, dei trasporti, del tempo libero e del turismo, della salute e del benessere, della cultura e dell’identità. Se riduciamo fortemente le emission,  le conseguenze per le popolazioni e per i mezzi di sussistenza ci saranno comunque, ma potranno essere più facilmente gestite dalle popolazioni più vulnerabili. Rafforziamo la nostra capacità di adattarci e sarà più facile garantire uno sviluppo sostenibile».

L’Ipcc focal point for Italy ha messo insieme i punti essenziali di questo sterminato e preoccupante rapporto speciale. Eccoli con i commenti degli scienziati:

Innalzamento del livello del mare: qual è la situazione attuale e quali gli scenari futuri?

Il livello del mare è cresciuto a un ritmo di 3,6 mm all’anno nel periodo 2005-2015. Questo aumento è senza precedenti nel corso dell’ultimo secolo e sta accelerando a causa dello scioglimento dei ghiacci della Groenlandia e della calotta polare dell’Antartide, e dell’espansione termica dell’oceano causata dal suo riscaldamento. Si prevede che l’innalzamento del livello del mare alla fine del secolo aumenterà di circa 0,43 m nello scenario di riduzione molto elevata delle emissioni (RCP2.6), e di circa 0,84 m nello scenario ad alte emissioni (RCP8.5), rispetto al periodo 1986-2005.

L’aumento del livello del mare, il riscaldamento e l’acidificazione dell’oceano, aumentano i rischi per le popolazioni che vivono nelle zone costiere (incluse le città), nelle piccole isole, presso le foci dei fiumi e nelle regioni artiche. Le popolazioni che abitano gli atolli e le regioni artiche subiranno un rischio maggiore in tutti gli scenari futuri, compresi quelli che considerano basse emissioni di gas serra. Tutte le azioni in risposta all’aumento del livello del mare – compresi, ad esempio, i sistemi di protezione delle coste e i processi di adattamento che utilizzano gli ecosistemi e soluzioni derivate dalla natura (ecosystem-based adaptation) – giocano un ruolo chiave in un processo integrato di adattamento. Alcune comunità molto vulnerabili, soprattutto nelle aree a ridosso della barriera corallina e nelle regioni polari, dovranno adottare misure di adattamento molto prima della fine di questo secolo, anche in scenari con contenute concentrazioni di gas serra e basse emissioni.

Gli scenari futuri indicano che, poiché il livello del mare continuerà ad aumentare e gli eventi estremi diventeranno più frequenti, senza l’adozione di strategie e misure di adattamento, assisteremo ad un aumento dei rischi di inondazione per le comunità costiere.

Valérie Masson-Delmotte, co-presidente del working group I dell’Ipcc, aggiunge: «Questa nuova valutazione ha anche rivisto al rialzo il contributo provato della calotta glaciale dell’Antartide all’innalzamento del mare entro il 2100 in caso di forti emissioni di gas serra. La grande varietà di proiezioni relativa al livello del mare per il 2100 e oltre e dovuta al modo in cui le calotte glaciali reagiranno al riscaldamento, in particolare nell’Antartide, il che è ancora oggetto di grandi incertezze. Diversi approcci per l’adattamento vengono già attuati, spesso in risposta a delle inondazioni. Il rapporto sottolinea la diversità delle opzioni disponibili per ogni contesto, al fine di elaborare delle risposte integrate che permettano di anticipare l’ampiezza del futuro innalzamento del livello del marez.

L’oceano e il mare si stanno scaldando. Quali scenari per il futuro?

L’oceano, che assorbe oltre il 90% del calore in eccesso nel sistema climatico, si sta riscaldando senza sosta dal 1970. Questo riscaldamento è dovuto alle attività umane ed avviene a tutte le profondità. Il tasso di riscaldamento degli oceani è più che raddoppiato dal 1993 (nello strato tra la superficie e 2000 m di profondità). Le osservazioni fornite dai satellite mostrano che le ondate di calore marine sono raddoppiate nel periodo 1982-2016, e sono diventate più lunghe, più intense e più estese.

Gli scenari mostrano un oceano sottoposto a riscaldamento per tutto il XXI secolo, con perdita di ghiaccio marino artico, perdita di ossigeno, maggiore acidificazione, ondate di calore marine sempre più frequenti e un indebolimento della circolazione meridionale dell’Atlantico. In assenza di misure per la riduzione delle emissioni questi cambiamenti procederanno nella seconda metà del secolo a ritmo e intensità più elevati.

In assenza di politiche e azioni per la riduzione delle emissioni di gas serra (RCP8.5), si prevede che, rispetto al periodo 1850-1900, la frequenza delle ondate di calore marine aumenti di circa 50 volte entro il 2081-2100, con aumenti maggiori per l’oceano artico e l’oceano tropicale. In scenari che contemplano una forte riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera (RCP2.6), si prevede che questo aumento sia meno della metà (circa 20 volte).

Criosfera: quali sono gli impatti finora osservati e gli scenari futuri per le regioni polari? 

Con il termine criosfera si indicano tutte le regioni e aree del pianeta in cui l’acqua ha forma solida, compresi i mari, i laghi, i fiumi, superfici innevate, ghiacciai, calotte polari e il suolo ghiacciato, che include il permafrost. I cambiamenti nella criosfera includono il ritiro dei ghiacciai, la perdita di massa dalle calotte glaciali in Groenlandia e in Antartide, la diminuzione del ghiaccio marino e della copertura nevosa.

Un cambiamento particolarmente rapido nella criosfera terrestre è stata la diminuzione dell’estensione del ghiaccio marino artico, visibile in tutte le stagioni, con trend più forte a settembre (circa 13% in meno per decennio rispetto alla media 1981-2010). Circa la metà della perdita estiva di ghiaccio è attribuita all’aumento di concentrazione di gas serra in atmosfera, mentre la parte restante è attribuibile alla variabilità interna climatica. Non sono mai stati registrati valori simili negli ultimi 1000 anni. La possibilità di un Oceano Artico libero da ghiaccio marino nel mese di settembre potrebbe verificarsi nella seconda metà del secolo e dipenderà fortemente da quanto si riuscirà a contenere il riscaldamento climatico in atto. Con un riscaldamento contenuto a 1,5°C, le probabilità annue di un settembre libero dai ghiacci saranno di circa l’1%, che aumentano a 10-35% con un riscaldamento stabilizzato a 2°C. Un Artico libero dai ghiacci potrà favorire l’apertura di nuove rotte commerciali, alcune delle quali già percorse, con implicazioni sulle economie e sui traffici globali, e con forti rischi per l’ecosistema Artico e le comunità costiere.

La rapida riduzione della calotta glaciale in Groenlandia e in Antartide si è amplificata dall’inizio del XXI secolo ad oggi, contribuendo all’aumento del livello del mare su scala globale. In Groenlandia, la perdita di ghiaccio riscontrata tra il 2006 e il 2015 è stata di circa 278 Gt l’anno (equivalgono a circa 0,77 mm l’anno di innalzamento del livello del mare). Per l’Antartide, la perdita di massa nel periodo 2006-2015 è stata di circa 155 Gt l’anno.

Negli ultimi decenni, i ghiacciai, il permafrost e la copertura nevosa hanno subito un declino generale in risposta ai cambiamenti climatici, alterando l’intensità, la posizione e la frequenza di calamità naturali. La ritirata dei ghiacciai e il disgelo del permafrost hanno ridotto la stabilità dei pendii di alta montagna e moltiplicato il numero e l’estensione dei laghi glaciali. I cambiamenti nei ghiacciai e lo scioglimento della neve hanno modificato il deflusso dei fiumi.

Tutti gli scenari climatici riportano una situazione in cui la copertura nevosa, i ghiacciai e il permafrost continuano a diminuire nel corso del XXI secolo, in quasi tutte le regioni. Per i ghiacciai, le riduzioni di massa riportate in assenza di politiche e azioni per la riduzione delle emissioni di gas serra (RCP8.5) possono raggiungere circa il 36% tra il 2015 e il 2100, corrispondenti ad un contributo dell’innalzamento del livello del mare di circa 200mm. Nelle regioni a bassa quota, dominate da ghiacciai più piccoli, come le Alpi europee, gli scenari indicano una sostanziale scomparsa di gran parte dei ghiacciai entro il 2100 (RCP8.5). In tutti gli scenari lo spessore della neve diminuisce ed è atteso un incremento dello scongelamento e del degrado del permafrost.

Ko Barrett, la vice-presidente dell’Ipcc, ha commentato: «In tutto il mondo, da decenni, la criosfera e gli oceani subiscono “gli ardori” del cambiamento climatico, il che ha delle conseguenze radicali sulla natura e l’umanità. Dalle città costiere fino alle comunità isolate dell’Artico, i cambiamenti rapidi che conoscono le l’oceano e le fregioni gelate del nostro pianeta costringono delle popolazioni a cambiare il loro modo di vita. Comprendendo le cause di questi cambiamenti e gli impatti che ne risultano, e valutando le opzioni che ci si offrono, possiamo rafforzare la nostra capacità di adattarci. «LO Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate ci fornisce le conoscenze sulle quali possono basarsi questo tio di decisioni».

Quali i rischi e le conseguenze per le società e le vite umane?

Dalla metà del XX secolo, i cambiamenti nella criosfera terrestre in Artico e nelle regioni di alta montagna hanno avuto impatti, per lo più negativi, sull’approvvigionamento di acqua dolce, energia idroelettrica, infrastrutture, trasporti, sicurezza alimentare, turismo, salute e benessere. Questi impatti sono distribuiti in modo diseguale tra le popolazioni.

In futuro, ulteriori cambiamenti nella criosfera terrestre potranno influenzare la disponibilità di risorse idriche e il loro uso, la qualità delle acque nelle aree di alta montagna e nelle regioni a valle, la sicurezza alimentare e i mezzi di sostentamento nella regione artica. Le conseguenti calamità naturali, come inondazioni, valanghe, frane e destabilizzazione del suolo, contribuiranno a incidere negativamente su infrastrutture, beni culturali, turistici e ricreativi. In particolare, la qualità dell’acqua potrà essere minacciata dalla mobilizzazione di contaminanti (soprattutto mercurio) rilasciati dallo scioglimento dei ghiacciai e del permafrost.

Panmao Zhai, co-presidente del working group I dell’Ipcc, sottolinea che «La variazione delle quantità d’acqua disponibili non danneggerà solo le popolazioni di queste regioni, ma anche le popolazioni situate molto più a valle. Sopire il riscaldamento le aiuterà ad adattarsi a questi cambiamenti nell’approvvigionamento idrico nelle regioni di montagna e oltre e limiterà i rischi ai quali sosno esposte queste regioni. La gestione integrate dell’acqua e la cooperazione  transfrontaliera sono altrettanti strumenti che permetteranno di far fronte agli impatti delle variazioni di queste risorse idriche».

Il turismo in alta montagna potrebbe essere seriamente compromesso in caso di riscaldamento superiore ai 2°C rendendo vane anche l’adozione di tecnologie per l’innevamento artificiale e con ripercussioni economiche per le comunità montane.

Una riduzione urgente e ambiziosa delle emissioni di gas ad effetto serra, abbinate ad azioni coordinate di adattamento, sono necessarie per rendere possibile una maggiore resilienza climatica e il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Quali sono gli impatti più rilevanti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini e costieri?

L’oceano supporta una vasta varietà di habitat che sono interconnessi con il sistema climatico del nostro pianeta attraverso lo scambio di acqua, energia ed elementi chimici come il carbonio. Gli impatti dei cambiamenti climatici, diretti (come il riscaldamento e l’acidificazione dell’oceano) e indiretti, causano alterazioni importanti che incidono sui benefici che questi ecosistemi forniscono alla vita umana, come beni alimentari (pesca, acquacoltura, ecc), benefici per la salute, ma anche mitigazione dei cambiamenti climatici stessi, assorbendo CO2 dell’oceano, ecc.

Il riscaldamento del mare e la riduzione dei ghiacci contribuiscono alla migrazione di specie animali verso latitudini e altitudini più elevate, in condizioni che, a causa di limiti e barriere ambientali, possono aumentare la probabilità di estinzione.

L’aumento della stratificazione dell’oceano causato dai cambiamenti climatici ne riduce il contenuto di ossigeno aumentando il rischio di episodi di ipossia e anossia (deficienze di ossigeno nell’organismo) e diminuendo la disponibilità di nutrienti. La conseguenza è un calo di produzione primaria che a fine secolo raggiunge il 4-11% nello scenario senza politiche di mitigazione (RCP8.5) rispetto al periodo 2006-2015. Valori più limitati si hanno nello scenario con forte riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera fish (RCP2.6).

L’assorbimento di CO2 in eccesso da parte dell’oceano ne aggrava la sua acidificazione portando, secondo lo scenario RCP8.5, a condizioni corrosive continue per organismi che formano gusci (es. conchiglie, alcune microalghe) o scheletri di aragonite (come coralli) in regioni quali l’Artico, l’Atlantico del Nord, Oceano pacifico (Sud e parte del Nord). Queste condizioni si eviterebbero con una forte riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera (RCP2.6), ad eccezione di alcune zone di upwelling, fenomeni di risalita di acque profonde.

Gli effetti diretti e indiretti dei cambiamenti climatici causano una riduzione del potenziale di pesca a livello globale (circa 15% nello scenario RCP8.5, percentuale che si riduce di 3-4 volte nello scenario RCP2.6) con un effetto maggiore nelle zone tropicali ed effetti più incerti verso i poli.

Riscaldamento, perdita di ossigeno, acidificazione e riduzione del flusso di materiale organico dalla superficie ai sedimenti aggraveranno la bio-erosione e la dissoluzione dei componenti non-vivi delle comunità coralline in acque fredde.

La combinazione del riscaldamento globale con l’aumento dei carichi dei fiumi con materie organiche e nutrienti prodotte dalle attività umane (es. uso eccessivo di fertilizzanti in agricoltura, acque reflue da abitazioni e da attività industriali, ecc.) causano l’espansione di zone di anossia e ipossia (deficienze di ossigeno nell’organismo).

Tutti gli ecosistemi costieri, nello scenario con più alte concentrazioni di gas serra (RCP8.5), sono sottoposti ad elevato rischio di severi impatti per quanto riguarda la biodiversità, la loro struttura e la loro funzione. Praterie marine, barriere coralline e foreste di Kelp sono esposti ad alti livelli di rischio anche con un riscaldamento globale moderato (RCP2.6).

La vegetazione costiera protegge la costa dall’erosione, contribuisce all’assorbimento del carbonio e costituisce l’habitat naturale per la fauna locale. Nel corso del XX secolo, il 50% delle zone umide costiere è andato perso a causa degli effetti combinati prodotti dalla pressione antropica, cambiamenti climatici, innalzamento del livello del mare, aumento degli eventi estremi. Nello scenario ad elevate emissioni (RCP8.5) si prefigura al 2100 un’ulteriore perdita di queste aree compresa tra il 20 e il 90% rispetto allo stato attuale. Pressoché tutte le barriere coralline in acque calde sono destinate a diminuire, anche in uno scenario di riscaldamento globale contenuto (RCP2.6).

Riscaldamento globale e periodi prolungati di siccità contribuiscono ad un aumento (sia in termini di frequenza che di intensità) degli incendi nell’Artico e ad elevate altitudini, senza precedenti.

Quali i rischi e le conseguenze degli impatti su ecosistemi marini e costieri per le società e le vite umane?

I cambiamenti nella distribuzione delle specie marine, la riduzione della biomassa oceanica e la riduzione del potenziale di pesca influenzano i redditi, il sostentamento e la sicurezza alimentare, in modo particolare nei paesi che dipendono fortemente dalla pesca e dalle risorse marine per il proprio sostentamento. Questa situazione aumenta il potenziale di conflitti ponendo sfide rilevanti per la gestione della pesca a livello nazionale ed internazionale.

Gli impatti combinati che interessano il mare – come riscaldamento, acidificazione, perdita di ossigeno, abbondanza di nitrati e fosfati (eutrofizzazione), inquinamento, degrado degli ecosistemi marini – causano un aumento dei rischi relativi ad eventi dannosi connessi ai cambiamenti climatici con conseguenze negative per la sicurezza alimentare, il turismo, l’economia e la salute.

La distruzione degli habitat costieri, quali praterie marine e le barriere coralline, aumenta il rischio legato all’innalzamento del livello del mare.

Quali sono le possibili soluzioni per contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini e costieri?

Gli impatti dei cambiamenti climatici sull’oceano e sulla criosfera producono cambiamenti che, in alcuni casi, sono ormai irreversibili e inevitabili, e la cui intensità aumenterà nello scenario ad elevate emissioni (RCP8.5). Per questo è indispensabile prendere in considerazione soluzioni di mitigazione e adattamento per affrontare questi cambiamenti, il loro intensificarsi e la gestione del rischio ad essi connessa.

Le strategie di adattamento, per essere efficaci, dovrebbero essere integrate in un approccio multidisciplinare capace di superare le frammentazioni settoriali, geografiche e amministrative.

Le opzioni a disposizione per sostenere e promuovere funzionalità integrate degli ecosistemi marini e costieri e gli ampi servizi da essi forniti riguardano la protezione di questi ecosistemi, il ripristino, la gestione delle risorse naturali rinnovabili, la riduzione dell’inquinamento e di altri fattori di pressione antropica. Esempi concreti possono includere la realizzazione di aree protette (marine e costiere), il ripristino delle zone umide costiere e delle barriere coralline, contribuendo così alla protezione delle aree costiere, all’assorbimento di carbonio e al sostegno alla pesca.

Gli impatti negativi dei cambiamenti climatici sulla pesca si possono limitare attraverso approcci di prevenzione e pratiche di gestione sostenibile mirate, tra l’altro, al ripristino di specie eccessivamente sfruttate.

L’efficacia delle risposte alle sfide poste dai cambiamenti climatici dipende anche dalla disponibilità e dall’utilizzo di sistemi di monitoraggio e previsione (come ad esempio sistemi di allarme precoce – early warning systems) che facilitano la gestione di rischi connessi ad eventi quali alluvioni, inondazioni, siccità, incendi, impatti negativi sulla pesca, salute, e agri-/acquacoltura, turismo.

Hans-Otto Pörtner, co-presidente del working group II dell’Ipccc, evidenzia che «La riduzione delle emissioni di gas serra limiterà gli impatti sugli ecosistemi oceanici che ci forniscono il cibo, ci permettono di restare in buona salute. Anche la diminuzione di altri stressa quali l’inquinamento aiuterà  la fauna e la flora marine a far fronte ai cambiamenti del loro ambiente, permettendo allo stesso tempo all’oceano di essere più resiliente.  Le politice generali, per esempio nel campo della gestione della pesca e delle Aree marine protette, offrono alle comunità la possibilità di adattarsi ai cambiamenti e di minimizzare i rischi che minacciano i mezzi di sussistenza».

Debra Roberts, co-presidente ddel working group II dell’Ipcc, conclude: «Non potremo mantenere il riscaldamento globale nettamente al di sotto dei 2° C in rapporto ai livelli preindustriali se non mettiamo in opera delle transizioni senza precedenti in tutti i settori della società, compreso l’energia,  i suoli, gli ecosistemi, le zone urbane, le infrastrutture e le industrie. Anche le politiche climatiche e le riduzioni di emissioni ambiziose indispensabili alla concretizzazione dell’Accordo di Parigi  proteggeranno gli oceani e la criosfera e, in definitiva tutte le forme di vita sulla terra. Più agiremo rapidamente e in maniera decisiva, più saremo in grado di far fronte ai cambiamenti inevitabili, di gestire i rischi, di migliorare le nostre vite e di assicurare la durabilità degli ecosistemi e delle popolazioni di tutto il mondo, oggi come domani».