Il cambiamento climatico sta già presentando il conto e potrebbe diventare la più concreta minaccia per lo sviluppo economico globale

Stati generali della Green economy, Sachs: «La felicità e la sostenibilità sono in sostanza la stessa cosa». Ronchi: «Il tempo stringe»

[6 Novembre 2019]

Gli Stati generali della Green economy si concludono (ri)lanciando un pressante allarme sul nostro destino. Infatti, dalla “Relazione sullo stato della green economy 2019”, documento centrale illustrato in occasione della sessione plenaria internazionale degli Stati Generali della Green Economy “Clima e Green New Deal: un patto tra imprese e governi”, emerge che «Il cambiamento climatico sta già presentando il suo conto. Sono circa 143 milioni le persone delle aree più povere del mondo che potrebbero diventare nuovi migranti climatici, cui si devono aggiungere le migrazioni interne dovute a eventi estremi come inondazioni o cicloni (oltre 24 milioni di persone già nel 2016); la desertificazione colpisce in 100 paesi circa 1 miliardo di persone; il 25% della popolazione mondiale rischia di non avere acqua a sufficienza e si conteranno entro il 2030 ulteriori 250 mila morti l’anno per malnutrizione, malaria e ondate di calore».

Il disastro prossimo venturo è già in marcia e sotto gli occhi di una classe dirigente che ne è consapevole ma che volta la testa dall’altra parte o si aggrega alle fila dei negazionisti, ma dagli Stati generali della Green economy arriva la conferma che «La crisi climatica si sta aggravando e il pianeta, nonostante l’accordo di Parigi, sta marciando verso i 3° C di aumento della temperatura entro fine secolo: un livello di riscaldamento pericoloso e dalle conseguenze sconvolgenti i cui costi per il 75-80% saranno sopportati dai Paesi in via di sviluppo. A livello mondiale, tutti i rischi del cambiamento climatico, che nel 2017 hanno causato 712 eventi meteorologici estremi con perdite economiche per 326 miliardi di dollari, quasi il triplo del 2016».

La Relazione 2019 illustra anche alcuni trend internazionali della green economy ed evidenzia che «Il sistema energetico mondiale, basato sui combustibili fossili, sta cambiando troppo lentamente: il consumo di energia, infatti, è cresciuto del 2,9%, il massimo dal 2010 ed è stato soddisfatto per lo più dall’utilizzo di combustibili fossili, in particolare il consumo di petrolio è cresciuto dell’1,5% e quello di carbone dell’1,4%. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili è troppo lento: nel 2018 hanno fornito solo il 26% dell’elettricità globale e soddisfatto solo il 10% della domanda di raffreddamento e riscaldamento. La penetrazione delle rinnovabili nei trasporti è ancora marginale: il 3,3% nel 2018. Gli investimenti in rinnovabili nel 2018 sono stati dell’11,5% in meno rispetto al 2017».

Intanto continua a crescere il consumo di materia rinnovabile e non rinnovabile: «Tra il 1970 e 2017, tassi di crescita eccezionali si sono verificati tra i materiali non rinnovabili, in particolare i minerali industriali e da costruzione (+376%). Il consumo di metalli è più che triplicato tra il 1970 e il 2017. L’impatto dell’Asia sulle risorse materiali è aumentato dall’inizio degli anni 2000 a causa della rapida industrializzazione di Paesi come la Cina e l’India. L’estrazione complessiva di materia in Cina è cresciuta di oltre il 1.400% tra il 1970 e il 2017 (e corrisponde a un terzo dell’estrazione globale di materie prime). La tendenza è principalmente sostenuta dall’estrazione di metalli (+4.300%) e minerali (+3.800%)».

Edo Ronchi, del Consiglio nazionale della Green Economy, ha commentato: «Il tempo stringe, dobbiamo aumentare il passo, insieme al gruppo dei Paesi più responsabili, accelerando lo sviluppo di una green economy con emissioni nette azzerate al 2050. Il successo e la competitività della green economy carbon neutral spingerà anche i Paesi riottosi e arretrati a inseguire e adeguarsi».

In un’intervista video realizzata per gli Stati Generali della Green Economy, Jeffrey Sachs, direttore del Centro per lo Sviluppo Sostenibile della Columbia University, sottolinea che «La felicità e la sostenibilità sono in sostanza la stessa cosa. Per tenere fede all’accordo di Parigi sappiamo cosa fare, sappiamo dove andare. Dobbiamo decarbonizzare l’economia, dobbiamo produrre elettricità a basse emissioni e abbiamo le tecnologie. Ora abbiamo bisogno di una road map, di un percorso comune. Negli Stati Uniti il 70% delle persone è favorevole alle rinnovabili e al taglio delle emissioni, ma il Presidente Trump non ascolta la voce dell’America, ma la voce della piccola ma potente lobby del petrolio».