Il segretario di Stato Usa Kerry: «Alla Cop 21 di Parigi nessun trattato vincolante»

Gli Stati Uniti pensano alle elezioni. Una prudenza politica che rasenta la miopia

[12 Novembre 2015]

Solo il 10 novembre il segretario di Stato Usa John Kerry aveva ribadito in un lungo intervento alla Old Dominion University, davanti ai pezzi grossi delle Forze armate statunitensi,  che «il cambiamento climatico e la sicurezza sono strettamente legati» e che quando partecipò al  Earth Summit  dell’Onu  a Rio de Janeiro,  nel lontano 1992. « Anche allora, la richiesta di interventi in materia di inquinamento ed ‘energia pulita venivano non solo dagli attivisti ambientali, ma anche da scienziati e imprenditori del settore privato. E oggi, gli americani  che sostengono l’azione sul cambiamento climatico provengono da tutti i ceti sociali»  e che anche repubblicani  come l’ex presidente  George W. Bush, hanno definito il cambiamento climatico  «Una crisi che non possiamo permetterci di ignorare», mentre George Shultz, l’ex segretario di Stato di Ronald Reagan, dice che sul cambiamento climatico, «Dobbiamo essere un leader». Poi  deve essere successo qualcosa, perché lo stesso Kerry che assicurava un forte impegno degli USA per un futuro prospero, pulito e al sicuro dalle distruzioni climatiche,  ha concesso un’intervista al  Financial Times nella quale afferma che la Conferenza delle parti Unfccc, la COP21 di Parigi che inizierà tra 18 giorni, non approverà un trattato vincolante, come tutti ormai credevano e in moltissimi speravano.

Secondo Kerry il tanto annunciato Accordo di Parigi  «Di certo non sarà un trattato», anche se conterrà à sì misure che porteranno a «significativi investimenti» per un’economia più pulita ma comunque non ci saranno obiettivi «di riduzione legalmente vincolanti come quelli di Kyoto», il protocollo del 1997 che la COP 21 Unfccc dovrebbe superare e che gli USA non hanno mai firmato, pur distinguendosi in continui tentativi di demolirlo, soprattutto quando erano in carico le amministrazioni repubblicane del “pentito” George W. Bush.

A quanto pare, come molti temevano,  l’Accordo di Parigi sarà ostaggio – e a quanto pare vittima –  delle elezioni presidenziali statunitensi del novembre 2016: i democratici non vogliono rischiare lo scontro (e la presumibile bocciatura) in Senato con i repubblicani che scatenerebbero la guerriglia parlamentare contro un accordo vincolante che farebbero passare come il tentativo dell’ONU e degli altri Paesi di ingbbiare e indirizzare l’economia statunitense, cercando di limitarne la concorrenzialità. Tesi facili da smontare – anche con i dati sull’economia verde  negli USA presentati dallo stesso Kerry pochi giorni fa – ma evidentemente sta prevalendo una prudenza politica che rasenta la miopia, visto che i repubblicani, a cominciare dai candidati alle primarie, sono in grande difficoltà sui temi climatici e ambientali, mentre la grande maggioranza dell’opionione pubblica USA è convinta che il cambiamento climatico sia reale e in atto e che bisogna fare subito qualcosa per fermare il riscaldamento globale.

Eppure, chiudendo a Parigi il summit pre-Cop21 di tre giorni al qual hanno partecipato rappresentanti di 70 Paesi (USA compresi),   il ministro degli esteri francese Laurent Fabius, pur riconoscendo che «Il compito resta considrevole» aveva detto che alla COP21 di Parigi «Un compromesso ambizioso è la nostra portata», come dimostravano anche i piccoli progressi fatti, compresa l’idea che «Debba essere fatto un bilancio ogni 5 anni riguardo alla riduzione delle emissioni di gas serra (…) un p bilancio che permetta di formulare ambizioni nazionali al rialzo». E’ chiaro che un bilancio di questo tipo ha un senso solo con impegni certi e vincolanti e non con un accordo nuovamente b volontaristico come sembra prospettare Kerry.

Inoltre, l’uscita di Kerry, che arriva subito dopo che il Met Office britannico ha annunciato che ormai siamo a 1,02° Centigradi in più rispetto ai livelli pre-industriali e ad oltre metà strada per raggiungere la soglia pericolosa dei 2° C, mette in grosse difficoltà l’Unione europea, che chiede che a Parigi venga firmato un accordo vincolante per tutti,  e rafforza i sospetti dei Paesi del G77 + Cina e quelli di Piccoli Stati insulari  (che chiedono di fermarsi a + 1,5° C), che in realtà le grandi potenze industriali occidentali diano già per scontato il superamento della soglia dei 2° C e ce si preparino a scaricare sui Paesi in via di sviluppo il peso della catastrofe ambientale planetaria prossima ventura, magari mitigandola con sostanziosi – ma non certi – aiuti economici e qualche palliativo tecnologico.

Una scommessa pericolosa, anche per la stessa sicurezza degli Usa, come sa bene lo stesso Kerry.