La colonizzazione delle Americhe (e il genocidio) ha raffreddato il clima della Terra

L’Antropocene comincia con Cristoforo Colombo e lo sterminio degli amerindi?

[1 Febbraio 2019]

La colonizzazione europea delle Americhe alla fine del XV secolo uccise così tante persone che provocò cambiamenti nel  clima della Terra. E’ la conclusione a cui giunge lo studio “Earth system impacts of the European arrival and Great Dying in the Americas after 1492”, pubblicato su Quaternary Science Reviews da un team di ricercatori dell’ University College London (UCL) e dell’università di Leeds che dicono che la devastazione e il genocidio che accompagnarono l’insediamento degli europei nelle Americhe portò all’abbandono di un’enorme estensione di terreni agricoli abbandonati dove prima venivano abbattuti alberi a crescita rapida e altra vegetazione. La crescita della vegetazione nelle aree agricole abbandonate dai popoli autoctoni avrebbe assorbito  abbastanza anidride carbonica dall’atmosfera da far raffreddare il pianeta. Si tratta di quella che viene definita la “Piccola era glaciale”, un periodo durante il quale a Londra si ghiacciava regolarmente il Tamigi.

Il team di ricercatori guidato da Alexander Koch, un geografo dell’UCL, scrive che «Il Great Dying (la grande morte, ndr) dei popoli indigeni delle Americhe ha portato all’abbandono di abbastanza terre libere che il conseguente assorbimento di carbonio terrestre ha avuto un impatto rilevabile sia sulla CO2 atmosferica che sulla temperatura globale dell’aria alla superficie».

Come spiega Jonathan Amos su BBC Science, i ricercatori britannici hanno esaminato tutti i dati sulla popolazione che hanno potuto trovare su quante persone vivevano nelle Americhe prima del primo contatto con gli europei nel 1492. Poi hanno valutato la diminuzione della popolazione nei decenni successivi, quando le Americhe d sono state devastate da malattie come il vaiolo e il morbillo portate dagli europei e dalle guerre genocide, dalla schiavitù e dal collasso di imperi e di fiorenti società autoctone.

Secondo i geografi dell’UCL e dell’università di Leeds, alla fine del XV secolo nelle Americhe vivevano circa 60 milioni di persone (più o meno il 10% della popolazione mondiale di allora), in soli 100 anni le popolazioni autoctone amerindie e inuit si ridussero a soli 5 o 6 milioni.

Gli scienziati hanno calcolato quanto terreno prima coltivato dalle civiltà indigene sia stato abbandonato e quale sarebbe l’impatto se questo terreno fosse stato rioccupato dalla foresta e dalle praterie e ne è venuto fuori che il genocidio degli indigeni avrebbe provocato l’abbandono di  circa 56 milioni di ettari, all’incirca le dimensioni dell’attuale Francia. La ricrescita degli alberi in questi territori abbandonati avrebbe assorbito una quantità sufficiente di CO2 sufficiente a far calare la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera di  7 – 10 parti per milione (ppm).

Un altro autore dello studio, Mark Maslin, anche lui dell’UCL, spiega: «Per dirla nel contesto moderno, bruciamo fondamentalmente (combustibili fossili) e produciamo circa 3 ppm all’anno, quindi stiamo parlando di una grande quantità di carbonio che viene risucchiata dall’atmosfera. Intorno a quel periodo (1500/1600)  c’è stato un notevole raffreddamento che è stato chiamato la Piccola Era Glaciale, e quel che è interessante è che possiamo vedere i processi naturali dare un po’ di raffreddamento, ma in realtà per ottenere il pieno raffreddamento – il doppio dei processi naturali – devi avere questo calo di CO2 prodotto dal genocidio».

Il calo della CO2 mentre nelle Americhe i colonizzatori ai quali Cristoforo Colombo ha aperto la strada perpetrano il Great Dying è evidente nei dati provenienti dal ghiaccio dall’Antartide: le bolle d’aria intrappolate nelle carote di ghiaccio estratte da diverse spedizioni scientifiche mostrano una diminuzione della concentrazione di anidride carbonica e la composizione atomica del gas suggerisce che il declino della CO2 sia stato causato da processi avvenuti da qualche parte sulla Terra.

Inoltre, il team britannico fa notare su Quaternary Science Reviews che tutto questo si adatta ai dati sui depositi di carbone e polline nelle Americhe e dimostrano il tipo di cambiamento atteso con un declino dell’uso del fuoco per gestire i terreni e da un grande recupero della vegetazione naturale.

Ed Hawkins, che insegna scienze del clima alla Reading University e che non ha partecipato allo studio, ha detto a BBC News: «Gli scienziati sanno che la cosiddetta “ Piccola Era Glaciale” è stata causata da diversi fattori: un calo dei livelli di biossido di carbonio nell’atmosfera, una serie di grandi eruzioni vulcaniche, cambiamenti nell’utilizzo del suolo e un temporaneo declino dell’attività solare. Questo nuovo studio dimostra che il calo della CO2 è in parte dovuto all’insediamento nelle Americhe e al conseguente collasso della popolazione indigena, consentendo la ricrescita della vegetazione naturale, dimostrando che le attività umane hanno influenzato il clima molto prima dell’inizio della rivoluzione industriale».

Un coautore dello studio, Chris Brierley dell’UCL e convinto che quel che è successo con la colonizzazione delle Americhe potrebbe insegnarci molto sul cambiamento climatico in corso: «La ricaduta del terribile crollo della popolazione e la rinaturalizzazione delle Americhe ci mostrano la sfida che abbiamo di fronte per alcune soluzioni al riscaldamento globale. Si parla molto di approcci “a emissioni negative “e si utilizzano le piantagioni di alberi per assorbire CO2 dall’atmosfera per mitigare i cambiamenti climatici. Ciò che vediamo da questo studio è la scala di quel che è richiesto, dato che il Great Dying ha dato come risultato la riforestazione di un’area delle dimensioni della Francia e che questo ha tolto solo poche ppm. Questo è utile, ci mostra cosa può fare il rimboschimento. Ma allo stesso tempo, al tasso attuale, quel tipo di riduzione vale forse solo due anni di emissioni dei combustibili fossili».

Lo studio irrompe anche nel dibattito sull’Antropocene, cioè la nuova era geologica che partirebbe da quando è visibile e documentabile l’impatto dell’uomo sui sistemi planetari terrestri  e nella documentazione geologica. Alcuni ricercatori dicono che sarebbe più evidente nei depositi che registrano la grande accelerazione dell’attività industriale dagli anni ’50 in poi. Altri lo fanno risalire all’epoca dei test nucleari.

Ma il team dell’UCL e dell’università di Leeds «Il Great Dying nelle Americhe dimostra che ci sono significative interazioni umane che hanno lasciato un segno profondo e indelebile sul pianeta molto prima della metà del XX secolo».

Insomma, l’Antropocene forse comincia con l’arrivo di Cristoforo colombo in quelle che credeva fossero le Indie e che poi sarebbero state chiamate America, un evento che, provocando il più grande genocidio della storia umana, ha cambiato la storia e il clima, cancellando intere società e facendo sorgere nuove potenze che avrebbero contribuito un giorno in maniera determinante a un nuovo e accelerato riscaldamento globale.