Le impronte digitali del riscaldamento globale trovate sul tempo meteorologico

Uno studio che cambia il paradigma “il tempo meteorologico non è il clima”. Ora i climatologi possono rilevare i segnali del riscaldamento globale nelle osservazioni meteorologiche quotidiane

[3 Gennaio 2020]

Lo studio ”Climate change now detectable from any single day of weather at global scale”, pubblicato su Nature Climate Change da un team di ricercatori dell’ dell’ETH di Zurigo e dello Swiss Data Science Center lo Swiss Data Science Center (SDSC, una joint venture di EPFL ed ETH Zurich), potrebbe cambiare un paradigma di vecchia data: il tempo meteorologico non è il clima. Infatti, ora i climatologi possono rilevare l’impronta digitale del riscaldamento globale nelle osservazioni meteorologiche quotidiane su scala globale, cioè nel buono o nel cattivo tempo quotidiano

Nell’ottobre 2019 i meteorologi hanno misurato nell’Utah la temperatura più bassa mai registrata nel mese di ottobre negli Usa continentali (esclusa l’Alaska): -37,1° C. Il precedente record di ottobre era di -35° C e la gente si chiedeva cosa ne fosse successo dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale.

Fino ad ora, i climatologi rispondevano che il clima non è la stessa cosa del tempo meteorologico: il clima è ciò che ci aspettiamo a lungo termine, mentre il tempo è quel che abbiamo nel breve periodo e, visto che le condizioni meteorologiche locali sono molto variabili, nonostante il riscaldamento globale a lungo termine, in una determinata località può fare molto freddo per un breve periodo. Insomma, la variabilità delle condizioni meteorologiche locali maschera le tendenze a lungo termine del clima globale.

Ma il team guidato da Reto Knutti dell’ETH ha condotto una nuova analisi delle misure e dei modelli delle temperature e ha concluso che «Il paradigma weather-​is-not-climate (il tempo meteorologico non è il clima, ndr) non è più applicabile in quella forma». Secondo i ricercatori, «Il segnale climatico – ovvero la tendenza al riscaldamento a lungo termine – può effettivamente essere individuato nei dati meteorologici giornalieri, come la temperatura e l’umidità dell’aria superficiale, a condizione che vengano presi in considerazione i modelli spaziali globali».

Questo significa che, nonostante il riscaldamento globale, negli Usa potrebbe a ottobre esserci una bassa temperatura record e che se contemporaneamente in altre regioni è più caldo della meda, questa deviazione viene quasi completamente eliminata.

Il principale autore dello studio, Sebastian Sippel dell’Institute for Atmospheric and Climate Science dell’ETH, aggiunge: «Scoprire il segnale del cambiamento climatico nelle condizioni meteorologiche quotidiane richiede una prospettiva globale, non regionale». Per riuscirci, Sippel e i suoi colleghi hanno utilizzato tecniche di statistical learning per combinare le simulazioni con i modelli climatici e i dati provenienti dalle stazioni di misurazione ed evidenziano che «Le tecniche di apprendimento statistico possono estrarre un’impronta digitale dei cambiamenti climatici dalla combinazione delle temperature di varie regioni e dal rapporto tra riscaldamento e variabilità previsti. Valutando sistematicamente le simulazioni del modello, siamo stati in grado di identificare l’impronta digitale del clima nei dati di misurazione globali in un solo giorno dalla primavera 2012».

Un confronto tra la variabilità delle temperature medie giornaliere locali e globali dimostra perché la prospettiva globale è importante: «Mentre le temperature medie giornaliere misurate localmente possono variare ampiamente (anche dopo la rimozione del ciclo stagionale), i valori medi giornalieri globali mostrano un intervallo molto ristretto. Se poi si confronta la distribuzione dei valori medi giornalieri globali dal 1951 al 1980 con quelli dal 2009 al 2018, le due distribuzioni si sovrappongono a malapena. Il segnale climatico è quindi prominente nei valori globali ma oscurato nei valori locali, poiché la distribuzione dei valori medi giornalieri si sovrappone abbastanza considerevolmente nei due periodi».

Knutti è convinto che questi risultati potrebbero avere forti ricadute per la scienza climatica: «Il clima a livello globale porta importanti informazioni sul clima. Queste informazioni potrebbero, ad esempio, essere utilizzate per ulteriori studi che quantificano i cambiamenti nella probabilità di eventi meteorologici estremi, come le ondate di freddo regionali. Questi studi si basano su calcoli del modello e il nostro approccio potrebbe quindi fornire un contesto globale dell’impronta digitale del cambiamento climatico nelle osservazioni fatte durante periodi di freddo regionale di questo tipo. Questo dà origine a nuove opportunità per la comunicazione di eventi meteorologici regionali sullo sfondo del riscaldamento globale. L’attuale studio sottolinea quanto siano utili i metodi di data science nel chiarire le questioni ambientali e la SDSC è di grande utilità in questo».

I metodi di data science non solo consentono ai ricercatori di dimostrare la forza dell'”impronta digitale” umana, ma mostrano anche dove nel mondo il cambiamento climatico è particolarmente chiaro e riconoscibile in una fase iniziale. Questo è molto importante nel ciclo idrologico, dove ci sono fluttuazioni naturali molto grandi di giorno in giorno e di anno in anno.

Knutti conclude: «In futuro, dovremmo quindi essere in grado di individuare modelli e tendenze indotti dall’uomo in altri parametri di misurazione più complessi, come le precipitazioni, che sono difficili da rilevare utilizzando le statistiche tradizionali».