Le praterie sottomarine potrebbero fermare il cambiamento climatico, se il cambiamento climatico non le uccide prima

Probabilmente le praterie sottomarine stoccano miliardi di tonnellate di carbonio

[21 Dicembre 2018]

Secondo  Lo studio “Blue Carbon stocks of Great Barrier Reef deep-water seagrasses”, pubblicato su Biology Letters dagli australiani Paul York e Michael Rasheed, del Centre for tropical water and aquatic ecosystem research della James Cook University, e Peter Macreadie del Centre for integrative ecology della  Deakin University,  in un mare di notizie tremende sul cambiamento climatico ci potrebbe essere un raggio di luce inatteso.

Le prateria marine della Grande Barriera Corallina australiana – che si stima siano poco meno della superficie di Piemonte e Lombardia messe insieme –  starebbero assorbendo e immagazzinando una grande quantità di carbonio che altrimenti contribuirebbe al riscaldamento globale.

Gli scienziati hanno definito queste praterie mangia-CO2 “blue carbon sink”  e spiegano che «Il termine si riferisce a un ecosistema oceanico o costiero – tra cui fanerogame marine, le paludi salate e le foreste di mangrovie – che cattura i composti del carbonio dall’atmosfera, rimuovendo efficacemente il biossido di carbonio, un noto gas serra che contribuisce al cambiamento climatico».

Commentando i risultati dello studio, Jennifer Howard, responsabile cambiamento climatico marino di Conservation International, ha detto in un’intervista a NPR: «Questi ecosistemi costieri Blue Carbon possono sequestrare o rimuovere carbonio dall’atmosfera circa quattro volte più delle foreste terrestri e  immagazzinano circa 10 volte più carbonio nel sistema stesso rispetto alle foreste terrestri».

Secondo lo studio pubblicato su Biology Letters  queste praterie marine di profondità svolgono un ruolo molto maggiore e centrale nel ciclo del carbonio di quanto si pensasse in precedenza. Macreadie, York e Rasheed hanno confrontato gli stock di carbonio accumulati nelle praterie di profondità, a media profondità e superficiali intorno a Lizard Island, un’area protetta e un paradiso turistico di lusso nella Grande Barriera Corallina, hanno scoperto che le praterie delle regioni più profonde contenevano livelli di carbonio simili a quelli a quelle delle acque più basse.

Prima di questo studio si sapeva molto poco del Blue Carbon in profondità, dove le praterie sottomarine sono  difficili da raggiungere e sono invisibili anche dai satelliti.

La Howard spiega che «Di solito devi buttare qualcuno in acqua con una maschera subacquea per andarle effettivamente a trovare. E per questo non sappiamo quante di queste grosse chiazze di erba marina siano ci effettivamente là in giro. Conservation International ne ha mappato circa 109.000 miglia quadrate, ma probabilmente è meno della metà di ciò che c’è effettivamente lì fuori».

Inoltre, questa estensione rappresenta solo le praterie marine più definite e  meno profonde. Per quanto riguarda le praterie marine più profonde analizzate nello studio, i ricercatori australiani hanno calcolato che «se le alghe delle acque profonde immagazzinano una quantità paragonabile di carbonio rispetto alle altre praterie nelle acque profonde nella regione, l’area intorno alla Grande Barriera Corallina potrebbe stoccare milioni di tonnellate di carbonio».

E siccome le praterie sottomarine sono presenti in tutto il mondo meno che in Antartide,  probabilmente imprigionate in queste praterie ci sono miliardi di tonnellate di carbonio, comprese nelle praterie di posidonia oceanica del Mediterraneo.

La Howard sottolinea che «Queste nuove scoperte sono preziose per i politici che lavorano per frenare i cambiamenti climatici ma, se non verranno protetti, il valore di questi ecosistemi scomparirà Quando quegli ecosistemi vengono distrutti, tutto quel carbonio può essere rilasciato nell’atmosfera, quindi, attraverso una cattiva gestione del territorio o attraverso il loro degrado, questo significativo pozzo di carbonio può in realtà diventare una fonte globale di carbonio».

Come sappiamo bene in Italia per quanto riguarda la Posidonia oceanica, le praterie sottomarine stanno scomparendo al folle ritmo dell’1,5% all’anno, un declino che è paragonabile a quello delle barriere coralline e delle foreste pluviali tropicali. Gli scienziati dicono che il maggior responsabile della diminuzione delle praterie sottomarine è l’urbanizzazione costiera, responsabile  dell’inquinamento marino e che innesca una rapida erosione. E, mentre le praterie marine possono mitigare i cambiamenti climatici, i cambiamenti climatici possono distruggere le praterie marine.

La Howard conclude: «Quando ci sono troppi inquinanti e troppi sedimenti che sfociano da un fiume, bloccano la luce, ricoprono le praterie che iniziano a morire. La soluzione per alleviare la perdita di piante marine si trova a terra. Dobbiamo prima affrontare la componente dell’inquinamento, rimuovere la minaccia e quindi piantare [piante marine] potrebbe essere un’opzione molto valida per aumentare lo stoccaggio di carbonio».