L’Oceano Australe assorbe molta meno CO2 quanto si credeva

I dati delle boe robotiche del Soccom rivelano che emette parte della CO2 che assorbe

[18 Dicembre 2018]

L’Oceano Australe è considerato uno degli alleati dell’umanità perché rallenta il riscaldamento globale assorbendo caldo e CO2. Ma ora i ricercatori del progetto US Southern Ocean Carbon and Climate Observations (Soccom) dicono che le acque agitate intorno all’Antartide stanno, zitte zitte, emettendo enormi quantità di CO 2 durante l’inverno buio e ventoso, riducendo i benefici climatici prodotti dall’oceano.

Gli scienziati del Soccom  hanno presentato i loro risultati al meeting annuale dell’American Geophysical Union che si è tenuto la settimana scorsa a Washington DC e affermano che «Le emissioni invernali riducono del 34% l’assorbimento netto di CO2 da parte dell’Oceano meridionale, ovvero oltre 1,4 miliardi di tonnellate all’anno», emissioni che equivalgono all’incirca a quelle annuali di una grande potenza industriale come il Giappone.

Seth Bushinsky, un oceanografo della Princeton University che è a  capo del team che sta conducendo lo studio, evidenzia che «L’Oceano Meridionale resta ancora importante nel ciclo globale del carbonio. Stiamo solo cercando di capire esattamente come e perché».

Le emissioni di CO2 invernali nell’Oceano Australe vengono tacciate da una flotta di boe robotiche e si verificano quando le acque di profondità risalgono in superficie e rilasciano il carbonio che hanno stoccato per secoli. Alla Princeton University spiegano che «Questo fa parte di un più ampio processo di circolazione oceanica che sposta il caldo e le sostanze nutritive in tutto il mondo, ma i ricercatori hanno faticato a definire con precisione come funziona l’intero sistema, in parte a causa della mancanza di dati. Per anni, gli scienziati hanno basato le loro stime sull’assorbimento di carbonio nell’Oceano Antartico sulle misurazioni effettuate dalle navi che navigano verso e attorno all’Antartide, ma i dati sono scarsi, in particolare per i mesi invernali».

Questo tipo di ricerca ha avuto una svolta negli ultimi 3 anni e mezzo grazie ai dati 65 del progetto Soccom, finanziato con 21 milioni di dollari dal governo Usa. Le boe robotiche fluttuano su e giù lungo i primi 2000 metri dell’oceano, misurando temperatura, salinità, ossigeno, carbonio e sostanze nutritive, informazioni che possono essere utilizzate per dedurre la quantità di carbonio che entra e esce dall’oceano.

La prima stima, pubblicata ad agosto, basata sulle boe Soccom ha subito ridotto l’assorbimento di carbonio nell’oceano Australe di oltre il 90%, rispetto ai precedenti calcoli basati sulle misurazioni effettuate dalle navi. Ma questo enorme gap ha lasciato perplessi molti scienziati e ha suscitato preoccupazioni riguardo alle  potenziali distorsioni nelle stime fatte con le boe.

Per produrre la sua ultima stima, che comprende i dati provenienti dalle boe e dalle navi, il team di Soccom  ha collaborato con ricercatori che hanno contribuito a realizzare stime basate sui dati raccolti dalle navi per conto del Global Carbon Project, un consorzio internazionale che monitora il ciclo del carbonio. Bushinsky aggiunge che «Per scoprire cosa sta causando la discrepanza con le misurazioni basate sulle navi, il team sta esaminando i dati in arrivo dalle boe».

Gli scienziati stanno anche cercando di determinare se le emissioni invernali di CO2 dell’Oceano Australe durante l’inverno «sono un evento normale o una trend a breve termine causato da variazioni naturali nella circolazione oceanica». Il team sta calando in mare altre boe robotiche per portarle a circa 200, «Il che dovrebbe aiutarci a fare questo lavoro», dice Peter Landschuetzer, un biogeochimico tedesco del MaxPlanck-Institut für Meteorologie. La britannica Corinne Le Quéré, direttrice del Centre for Climate Change Research, fa notare che «Le boe di Soccom hanno già dato agli scienziati una migliore visione dell’Oceano Meridionale».

Anche se l’Oceano Australe sta svolgendo un ruolo minore di quel che si credeva nel mitigare il riscaldamento globale, Joellen Russell, una modellista oceanica dell’Università dell’Arizona –  Tucson che dirige il team di modellisti del Soccom, afferma che «Stanno aumentando le prove che durante questo secolo la sua influenza sul clima crescerà»

Uno studio recente ha scoperto che l’acqua di fusione dell’Antartide che scorre nell’oceano crea uno strato di acqua fredda e fresca che spinge l’acqua più calda e salata sotto le banchise del continente, accelerando la perdita di ghiaccio. Per capir cosa succederà nel 2100, i ricercatori hanno utilizzato un modello climatico e  prevedono che, anche se accelera il contributo dell’Antartide all’innalzamento del livello del mare, questo flusso di acqua di fusione raffredda l’Antartide e rallenta l’aumento delle temperature medie globali.

E’ come se la “macchina” planetaria che abbiamo inceppato stesse comunque tentando di auto-ripararsi.

Ora il team del Soccom sta esaminando più da vicino i venti potenti che spazzano l’Antartide, che negli ultimi decenni si sono rafforzati e spostati verso i poli. Alla Princeton University fanno notare che «Pochi modelli climatici simulano questo processo. Ma, in ricerche non pubblicate, gli scienziati del Soccom hanno scoperto che il loro modello riproduce meglio i dati raccolti dalle boe quando incorpora simulazioni più realistiche dei modelli di vento dell’Antartide e dei flussi dell’acqua di fusione». Russell  sottolinea: «Ora abbiamo un approccio cookie-cutter per poter dire se i nostri modelli per l’Oceano meridionale sono giusti».

Attualmente, nessuno dei modelli climatici del Soccom comprende nelle sue proiezioni l’effetto dell’acqua dolce proveniente dallo scioglimento dei ghiacci marini, ma questo potrebbe presto cambiare. Gli scienziati del progetto stanno lavorando per organizzare una serie di esperimenti per affrontare questo problema con altri modellatori climatici in tutto il mondo.