Nature: il Mose potrebbe distruggere l’ecosistema lagunare di Venezia

Iniettare cemento liquido o acqua sotto Venezia per sollevare l'intera città?

[3 Dicembre 2018]

Secondo la prestigiosa rivista scientifica Nature, «Un ambizioso piano per impedire alla città italiana di Venezia di essere inghiottita dal mare potrebbe significare un disastro per la laguna che la circonda».

Lou Del Bello ricorda su Nature che il Modulo Sperimentale Elettromeccanico (Mose) che è nella fase finale di realizzazione e dovrebbe essere completato nel 2022, sarebbe costituito da una complessa rete di 78 barriere progettate per separare dall’Adriatico la laguna di Venezia, ma avverte che «Sulla base di recenti studi di modellizzazione, man mano che i livelli del mare continuano a salire, il Mose diventerà meno efficace nel prevenire le inondazioni in città senza compromettere il delicato ecosistema della laguna».

Nature evidenzia che, fin dalla sua progettazione nel 1992, l’impatto ambientale del Mose, un progetto da 6 miliardi di euro, è stato un grosso problema e che dopo «le inondazioni eccezionalmente estese di ottobre che hanno sommerso ampie parti della città con  156 centimetri di acqua», il  Mose nelle scorse settimane è stato sottoposto a un nuovo esame nelle scorse settimane, e la pubblicazione di nuovi dati e simulazioni evidenziano la vulnerabilità di Venezia rispetto all’innalzamento del mare.

Del Bello si riferisce anche allo studio“Mediterranean UNESCO World Heritage at risk from coastal flooding and erosion due to sea-level rise”, pubblicato su Nature Communications da un team di ricercatori tedeschi e britannici guidato da Lena Reimann del Geographisches Institut  della Christian-Albrechts-Universität di Kiel, che prende in esame i siti del patrimonio mondiale nelle aree costiere poco elevate del Mediterraneo, come la laguna di Venezia, la città vecchia di Dubrovnik o le rovine di Cartagine e che afferma che «Durante il XXI secolo, questi siti saranno più vulnerabili all’innalzamento del livello del mare e all’aumento dell’erosione costiera.

Dei  49 siti del patrimonio mondiale dell’Unesco studiati che sono minacciati dall’innalzamento del livello del mare, 37 sono a rischio delle “ tempeste del secolo”, che  hanno l’1% di probabilità di verificarsi ogni anno, e 42 sono a rischio erosione costiera. La Reimann  ha detto che «Se il livello del mare aumenterà  ulteriormente, entro la fine del XXI secolo il rischio di mareggiate di “tempeste del secolo” nel Mediterraneo aumenterà fino al 50% rispetto alle condizioni attuali e quello da erosione costiera  fino al 13%. I singoli siti del patrimonio mondiale potrebbero e essere influenzati anche molto più a causa della loro situazione esposta».

La Reimann ha spiegato che per la pianificare l’adattamento per la protezione di siti Unesco bisogna muoversi urgentemente senza però compromettere il loro status di patrimonio mondiale e uno degli esempi che fa è proprio quello del Mose,

Ma i ricercatori ora dicono che la gigantesca struttura Mose, le cui barriere mobili dovrebbero arginare le maree insolitamente alte «danneggerebbe l’ecosistema della laguna e l’economia marittima nel giro di pochi decenni».

Nature ha intervistato Luigi D’Alpaos, uno studioso di morfodinamica lagunare del Dipartimento ingegneria civile, edile e ambientale dell’università di Padova che afferma che «il problema non è la struttura stessa, ma il numero di volte in cui le porte dovrebbero essere chiuse quando il livello del mare aumenta e le maree eccezionalmente alte diventano più frequenti».

D’Alpaos e altri due ricercatori Icea, Luca Carniello e Andrea Rinaldo, hanno pubblicato nel 2013 su Research Letters lo studio “Statistical mechanics of wind wave-induced erosion in shallow tidal basins: Inferences from the Venice Lagoon” che analizzava gli eventi erosivi sulla base dei risultati di un modello numerico e descriveva l’idrodinamica e il moto ondoso da vento, concludendo che «Le analisi evidenziano come i processi erosivi presentino frequenze, intensità e durate maggiori nella porzione centro-meridionale della Laguna di Venezia. Queste ricerche, assieme ai risultati di altre analisi potranno essere utili per le indagini modellistiche sull’evoluzione morfologica a lungo termine degli ambienti lagunari ed in particolare della laguna di Venezia».

D’Alpaos e il suo team hanno pio studiato  tutte le alte maree tra il 2000 e il 2012 e  simulato i potenziali esiti dei diversi innalzamenti dei livelli del mare e all’inizio di quest’anno hanno rilevato che «Con un innalzamento del livello del mare di 50 centimetri – un livello previsto dall’ultimo Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc): la laguna resterebbe chiusa per 187 giorni all’anno, occasionalmente per settimane alla volta. Ciò potrebbe rapidamente esaurire l’ossigeno dalla laguna e, a sua volta, le popolazioni di pesci e molte specie di uccelli nidificanti nella zona, come il fenicottero, il falco pellegrino, il cigno nero e l’airone guardabuoi.

Dalla conferenza “Cambiamenti climatici e pressioni antropiche: quale futuro per la Laguna di Venezia?” tenutasi a ottobre è emerso che per Venezia e la sua Laguna «Il problema non è solo l’acqua alta. O, meglio, l’acqua alta è solo una delle conseguenze di fenomeni molto più complessi, come l’aumento del livello del mare, la subsidenza e l’erosione. D’Alpaos, in quell’occasione aveva fatto il punto della situazione: «Certo i fenomeni indicati hanno tutti contribuito all’aumento della frequenza degli eventi di acqua alta a Venezia nel corso degli ultimi decenni: secondo i dati disponibili negli ultimi 100 anni, l’effetto complessivo di eustatismo (innalzamento del livello medio del mare) e subsidenza (abbassamento del suolo per cause naturali o antropiche) è stato valutato in 3-3,5 millimetri all’anno». Per D’Alpaos  il Mose «Non risolverà i problemi del degrado morfologico della laguna. Una parte importante di questo deriva dall’erosione sistematica, da parte di agenti naturali e antropici, dei fondali e dei margini delle barene, quei terreni lagunari che sono periodicamente sommersi duranti le alte maree. Non solo le grandi navi, ma anche la pesca condotta con metodi “distruttivi” del fondo e il moto ondoso generato dalle imbarcazioni medio-piccole in navigazione con velocità eccessive, infatti, favoriscono l’erosione dei fondali e dei margini delle barene. Queste superfici infatti, fondamentali perché controllano l’idrodinamica e quindi l’evoluzione morfologica della Laguna, hanno visto ridurre la loro estensione di oltre due terzi nel corso dell’ultimo secolo: dai 158 chilometri quadrati del 1900 ai soli 47 di oggi».

Secondo i ricercatori dell’università di Padova, «La tendenza evolutiva del sistema lagunare, un tempo dominata dall’apporto di sedimenti, si è modificata da quando la foce del Brenta-Bacchiglione fu spostata prima a Conche (1507), poi a Brondolo (1552). A seguito di questi provvedimenti i due fiumi furono estromessi proprio dalla laguna che essi stessi avevano contribuito in maniera determinante a creare». E  D’Alpaos citando il libro “Fatti e misfatti di idraulica lagunare” aveva ricordatoche «La diversione dei fiumi da parte dei veneziani ha salvato la laguna dai fenomeni di interrimento che erano stati al centro delle preoccupazioni della Serenissima. Allo stesso tempo però ha dato il via ai fenomeni di erosione con i quali oggi ci si deve confrontare, annullando di fatto l’apporto di sedimenti in tutta la laguna centro-meridionale e riducendo drasticamente le immissioni di acqua dolce. È risultato, in questo modo, modificato radicalmente lo stato dell’ambiente e la qualità delle acque ai margini della laguna».

Un fenomeno aggravato nell’ultimo secolo  dalla costruzione dei moli alle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, «Che ha accentuato la prevalenza degli effetti della fase di riflusso su quella di flusso, determinando, ad ogni ciclo di marea, una perdita netta di sedimenti verso il mare, con un conseguente aumento dell’effetto erosivo – ha detto  D’Alpaos. – Tutto questo ci porta a capire che il “Problema Venezia” non può essere limitato alle sole questioni della difesa dalle “acque alte”. Negli ultimi 100 anni l’effetto combinato di eustatismo e subsidenza, ha comportato un incremento del livello medio del mare relativo di circa 30 centimetri. Per il futuro le previsioni più ottimiste confermano il trend del passato per l’eustatismo, mentre le più pessimistiche lo duplicano o addirittura lo triplicano».

Come impedire che l’erosione aggravi questo scenario?  Per D’Alpaos, «L’unica soluzione è favorire il deposito dei sedimenti. Al riguardo è stato anche ipotizzato di reintrodurre di nuovo i corsi d’acqua in laguna in modo controllato, anche se questo comporta tutta una serie di problematiche da affrontare». E per quanto riguarda il ruolo del Mose, «C’è chi ha proposto di chiudere le paratoie alle bocche in fase di riflusso delle maree, durante episodi di vento intenso. Personalmente sono molto dubbioso: si tratta di un’opera che non è stata progettata con tali finalità. Quello che è certo è che, se il mare continuerà a crescere, per prevenire le acque alte, il Mose dovrà essere chiuso sempre più spesso». Ma, come ha detto D’Alpaos a Nature, «Per salvare la laguna, dovremmo aprire i cancelli, rimuovendo l’unica barriera contro le inondazioni».

Il Consorzio Venezia Nuova che gestisce il Mose afferma che per evitare l’anossia della laguna il Mose sarà innalzato solo nei giorni in cui il livello dell’acqua salirà di 110 centimetri sopra la media. Ma gli scienziati ribattono che è improbabile che questa misura risparmi Venezia dalle ricorrenti inondazioni causate dai livelli dell’acqua tra 70 e 100 centimetri sopra la media. L’acqua alta di ottobre è durata  30 ore. Monica Ambrosini, portavoce del consorzio Venezia Nuova, ha detto a Nature che «Se il Mose fosse stato attivo, le porte sarebbero state sollevate per 20 ore durante quelle inondazioni«, ma Del Bello fa notare che «I modelli mostrano che le inondazioni future dovrebbero verificarsi più frequentemente e durare per giorni alla volta, il che richiederebbe chiusure più lunghe».

Andreina Zitelli, del dipartimento di urbanistica dell’Università di Venezia, che ha criticato il Mose per i suoi impatti ambientali è una delle tante persone che hanno cercato  alternative e Nature spiega che «Una di queste proposte, risalente originariamente agli anni ’70, prevede l’iniezione di cemento liquido, o addirittura di acqua, sotto la città per sollevarla al di sopra del livello dell’acqua».  Una tecnica testata negli anni ’70nella laguna di Venezia, nella piccola isola di Poveglia che l’ha sollevata di dieci centimetri grazie all’iniezione di un composto di cemento a 10 metri di profondità. «Altre proposte di adattamento alle inondazioni – scrive Del Bello – includono l’iniezione di acqua a centinaia di metri sotto terra, attraverso 12 pozzi che circondano Venezia, rispecchiando un metodo ampiamente utilizzato per stabilizzare le piattaforme petrolifere mentre si estrae il fluido».

Georg Umgiesser, un oceanografo dell’Istituto di Scienze Marine del Cnr di Venezia, dice si Nature che «La scienza che sostiene  questa idea è solida e ampiamente testata dalle compagnie petrolifere di tutto il mondo» e conclude facendo notare che però «Il caso di Venezia sarebbe più complesso, perché la città ha una struttura fragile e ha già sperimentato 25 cm di cedimento, quindi qualsiasi intervento dovrebbe prima correggere il problema. Troppi soldi e tempo sono stati investiti nel Mose per poter abbandonare il progetto ora, ma una volta completato, a quel punto potremo pensare a qualcos’altro».