Nei Paesi del Mediterraneo aumenta la disuguaglianza sociale

Per il futuro delle società del Mediterraneo centrali ambiente ed effetti del cambiamento climatico

[26 Febbraio 2019]

E’ stato presentato a Napoli  il “Rapporto sulle economie del Mediterraneo 2018” a cura dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Cnr (Cnr-Issm), edito da il Mulino, e che ha come tema di studio «l’impatto delle disuguaglianze economico sociali, degli squilibri territoriali e dei cambiamenti strutturali nei mercati del lavoro sulle migrazioni mediterranee».

Al Cnr spiegano che «Al centro del volume ci sono  le disparità tra i Paesi della sponda settentrionale e quelli della sponda sud-orientale e i gap sociali nei singoli Stati del Mediterraneo, lo sviluppo economico e la gestione del fenomeno migratorio» e che l’obiettivo è quello di «individuare soluzioni che contribuiscano a rendere il Mediterraneo un’area di prosperità e pace».

Dal workshop al quale hanno partecipato il ministro dell’ambiente Sergio Costa e il direttore generale delmMinistero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo Riccardo Rigillo e il presidente del Cnr Massimo Inguscio, è emerso che «In un contesto caratterizzato dalla scarsità di risorse fondamentali per lo sviluppo umano e da una forte pressione antropica sulle risorse, il cambiamento climatico assume sempre più il ruolo di variabile determinante nell’amplificare i fattori di crisi dell’area come crisi idrica, insicurezza alimentare e flussi migratori, tutti elementi che contribuiscono a incrementare il livello di instabilità interna che rischia di ripercuotersi su tutti i paesi della regione mediterranea».

Al centro del quindicesimo rapporto sulle economie del Mediterraneo ci sono le disparità tra i Paesi della sponda settentrionale e quelli della sponda sud-orientale del bacino  e i divari sociali nei singoli Paesi e il direttore del Cnr-Issm, Salvatore Capasso,  ha detto che «Il quadro geopolitico internazionale molto fluido, i rapporti tra i diversi attori internazionali e regionali, l’elevata instabilità e conflittualità della regione sono tra i fattori alla base di molti fenomeni analizzati nel Rapporto. Tra questi, il cosiddetto “eccezionalismo arabo”, cioè l’apparente inconciliabilità tra governance democratica e sviluppo economico nei Paesi meridionali e orientali del bacino, dove permangono forti differenze nella distribuzione delle risorse che ostacolano una crescita inclusiva, pur in un contesto di attenuazione delle divergenze di reddito e di crescita tra Paesi a nord e a sud del Mediterraneo».

Il Rapporto, , analizza aspetti diversi che vanno dalla governance istituzionale, allo sviluppo economico fino alla gestione del fenomeno migratorio e alle fondate ipotesi di complementarietà e prospettive di integrazione tra due sponde del bacino e la principale autrice del rapporto, Anna Maria Ferragina del Cnr-Issm, ha evidenziato che «Nei Paesi mediterranei del Sud la quota di popolazione sotto la soglia minima di povertà (1dollaro al giorno) è bassa, ma aumenta drasticamente se si assume la soglia di 2 $ al giorno. Una gran parte della popolazione è quindi soggetta al minimo shock negativo, per esempio quando i prezzi del cibo o del carburante aumentano. Sono inoltre tipiche di quest’area le dicotomie fra aree urbane e rurali, l’inaccessibilità di alcune aree, la densità costiera, che creano una forte competizione in attività come turismo, agricoltura o pesca. Nei Paesi del Nord Africa il 90% degli abitanti vive in meno del 10% della superficie disponibile e quasi il 40% della popolazione (oltre 110 milioni di individui) vive entro 50 chilometri dalla costa, con enormi implicazioni in termini di urbanizzazione e vulnerabilità ai possibili impatti del cambiamento climatico. Il dato si riflette indirettamente nelle notevoli disparità di mortalità neonatale fra province dei vari Paesi: in Egitto le diseguaglianze maggiori, dal 21 al 64 per mille, segue il Marocco (dal 28 al 65 per mille). Esistono inoltre profonde differenze nell’accesso all’istruzione legate ai divari di reddito: la differenza percentuale di giovani che abbandona la scuola, tra il quinto della popolazione con massimo e minimo reddito, è di 28 punti in Egitto, 25 in Giordania, 35 in Siria, 51 in Turchia, 59 in Marocco».

Secondo gli autori del rapporto, «La pressione demografica spiega solo in parte le ragioni delle migrazioni all’interno del bacino che, come emerge da diversi capitoli del Rapporto, sono dovute a una serie composita di elementi: struttura dell’economia, distribuzione della ricchezza, sviluppo delle tipologie professionali. In merito alla gestione del fenomeno migratorio nei Paesi nord-mediterranei, il Rapporto sottolinea gli aspetti positivi della gestione congiunta dei flussi tra Paesi di partenza e di arrivo con gli accordi bilaterali». Capasso aggiunge che «Il divario tra le due sponde in termini di reddito si è ridotto e la quota “intercettata” dai Paesi del Mediterraneo sud-orientale, grazie anche al flusso di Investimenti diretti esteri (Ide), è passata dal 10,1% del 1996 al 21,2% del 2016, mentre è parallelamente scesa la quota degli Ide in entrata nei Paesi nord-mediterranei. Tale flusso ha favorito una maggiore integrazione tra i sistemi produttivi delle due sponde e la crescita dell’export dei Paesi meridionali, il cui contributo al commercio mondiale è passato dall’1,5% al 2,5% nel corso dell’ultimo ventennio, nel corso del quale quello dei Paesi nord-mediterranei è sceso dal 13,1% al 9%».

Ma al Cnr-Issm sono convinti che «Il tema centrale per il futuro delle società del Mediterraneo è l’ambiente e gli effetti di medio-lungo periodo del cambiamento climatico. Se l’intera area risulta esposta a forti rischi, al suo interno sono i Paesi della sponda sud-orientale a presentare i più elevati indici di vulnerabilità, oltre che minori capacità di risposta a causa di più bassi livelli di sviluppo economico».

Il diettore del Cnr-Issm  ha concluso: «Lo studio delle società del Mediterraneo richiede un approccio multidisciplinare, per la complessità dell’oggetto di analisi e per gli effetti che i diversi fattori analizzati all’interno del Rapporto hanno su di esse: geopolitica internazionale, governance locale, demografia ed economia. Un approccio che è quello tradizionalmente adottato dal nostro istituto di ricerca».