Prezzare il cibo secondo i suoi impatti climatici potrebbe salvare mezzo milione di vite all’anno

Un miliardo di tonnellate di emissioni di gas serra in meno e diete più sane

[8 Novembre 2016]

Secondo lo studio  “Mitigation potential and global health impacts from emissions pricing of food commodities” pubblicato su Nature Climate Change da un team di ricercatori dell’Oxford Martin programme on the future of food dell’università di Oxford  e dell’International food policy research institute «Tassare le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione alimentare potrebbe far risparmiare più emissioni rispetto a quelle prodotte attualmente dal trasporto aereo mondiale e portare a mezzo milione il numero di morti in meno per malattie croniche».

Si tratta della prima analisi globale che stima gli impatti che i prezzi del cibo potrebbero avere sulle emissioni di gas serra e la salute umana e i ricercatori dicono che «I risultati mostrano che nel 2020 potrebbero essere evitate circa un miliardo di tonnellate di emissioni di gas serra se venissero imposti prezzi in base alle emissioni degli alimenti, più che le attuali emissioni prodotte dal trasporto aereo globale». Ma gli autori dello studio sottolineano che dovrebbe essere attentamente considerato il fatto che queste piolitiche non abbiano un impatto negativo sulle popolazioni a basso reddito.

Marco Springmann, dell’Oxford Martin programme on the future of food, spiega che «Dare un prezzo alle emissioni dei prodotti alimentari genererebbe un contributo di cui c’è molto bisogno da parte del sistema alimentare per ridurre gli impatti del cambiamento climatico globale. Speriamo che sia qualcosa in grado di interessare i policymakers  riuniti questa settimana in occasione della conferenza climatica di Marrakech e che ne prendano nota».

Gran parte della riduzione delle emissioni deriverebbe dai prezzi più elevati e dal minore consumo di prodotti di origine animale, le cui emissioni sono particolarmente elevati. I ricercatori hanno scoperto che «La carne rossa dovrebbe essere il 40% più costosa a livello globale per pagare per i danni causati al clima dalla sua produzione. Il prezzo del latte e delle altre carni dovrebbe aumentare fino al 20%, e anche il prezzo degli oli vegetali dovrebbe aumentare in modo significativo».

I ricercatori stimano che questi  aumenti dei prezzi si tradurrebbero in un calo del consumo di circa il 10% in meno di prodotti alimentari ad alto contenuto di emissioni. «Se dovessimo pagare il 40% in più per la nostra bistecca, potremmo scegliere di averla una volta alla settimana invece di due volte», ha detto Springmann.

Il team di ricerca modellato le emissioni generate dalla produzione di diversi alimenti, i danni climatici che causano queste  emissioni, i cambiamenti nei consumi che ne deriverebbero dall’inserimento del il costo dei danni climatici  nel prezzo degli alimenti e cambiamenti nella probabilità di morire per malattie croniche legate all’alimentazione come il diabete di tipo 2,  le malattie  coronariche, l’ictus e il cancro. Poi hanno confrontato i diversi regimi di prezzi, compreso uno in cui tutti i prezzi dei generi alimentari vengono adeguati  per includere specifiche tasse sulle emissioni degli alimentari e un altro lla in cui le entrate fiscali verrebbero usate per risarcire i consumatori per i prezzi dei prodotti alimentari e per sovvenzionare il consumo di frutta e verdura.

Springmann.è ben consapevole che «I prezzi del cibo sono un argomento delicato. “Ci siamo avvicinati alla progettazione di politiche climatiche per il sistema dell’alimentazione e l’agricoltura dal punto di vista sanitario per scoprire se le emissioni della produzione alimentare potrebbero essere valutate  senza mettere “a rischio” la salute della popolazione. I risultati indicano che un prezzo sulle emissioni degli alimenti potrebbe, se opportunamente progettato, con una politica di mitigazione dei cambiamenti climatici e la promozione della salute tra i redditi alti e medi e nella maggior parte dei Paesi a basso reddito. Sarebbe necessaria una speciale attenzione politica in quei Paesi a basso reddito dove un’elevata quota della popolazione è sottopeso e, eventualmente, per i segmenti a basso reddito all’interno dei Paesi».

Il puro prezzo sulle emissioni, senza alcun compenso si tradurrebbe a livello globale in benefici netti positivi per la salute, ma alcuni Paesi, in particolare nell’Africa sub-sahariana e nel Sud-Est asiatico, potrebbe essere influenzati negativamente dalle riduzioni di disponibilità di cibo e dalla conseguente mortalità per sotto-peso Ma un  prezzo delle emissioni abbinato a compensazione del reddito o a sussidi per comprare frutta e verdura, comporterebbe impatti netti positivi per la salute in tutti i 150 Paesi inclusi nello studio. «I benefici ammontano a circa mezzo milione di vite salvate ogni anno nel 2020, grazie al minor consumo di carne rossa, all’aumento del consumo di frutta e verdura e a una diminuzione del numero di persone che sono in sovrappeso o obese», dicono i ricercatori. I vantaggi quindi supererebbero i problemi. .

Springmann  conclude: «Fino ad ora, la produzione e il consumo di cibo sono stati esclusi dalle politiche climatiche, in parte a causa delle preoccupazioni per il potenziale impatto sulla sicurezza alimentare. Qui dimostriamo che il pricing degli alimenti in base ai loro impatti climatici non solo può portare ad una riduzione delle emissioni, ma anche a diete più sane in quasi tutti i paesi del mondo».