Ritorna il picco del petrolio: perché la domanda raggiungerà il picco entro il 2030

Il calo del prezzo del petrolio non riuscirà a vincere la progressione di auto elettriche e rinnovabili

[23 Febbraio 2016]

La domanda mondiale di petrolio potrebbe raggiungere il picco nel il 2030? E con il picco della domanda ci sarà anche quello delle nuove forniture di greggio? A queste domande Joe Romm risponde su ClimateProgress elencando le tendenze che ad oggi puntano su questa possibilità: a dicembre alla Cop21 Unfccc di Parigi c’è stato l’accordo unanime per lasciare sotto terra la maggior parte dei combustibili fossili mondiali; da oltre un decennio, la domanda di petrolio è in calo nei Paesi sviluppati; le vendite di veicoli elettrici stanno esplodendo in tutto il mondo, in particolare in Cina; i prezzi delle batterie stanno continuando nella loro inaspettatamente rapida diminuzione dei prezzi; Tesla e Chevy ora dicono che il loro nuovo 200-mile-range Ev potrebbe costare 30.000 dollari, un  prezzo game-changing.

Già nel novembre 2015, Bloomberg Business scriveva che «l’industria petrolifera è stato messa sull’avviso. La trasformazione dei mercati petroliferi potrebbe arrivare prima di quanto pensiamo».

Romm si chiede: «E’ possibile che il mondo in realtà stia attualmente seguendo il  percorso del “Transport Transformation Scenario” e del picco della domanda di petrolio entro il 2030 o giù di lì?», e risponde: «A questo punto penso che non solo è possibile, ma che sia probabile. E’ sempre più chiaro che sarà la tecnologia a renderlo possibile, anzi, c’è già quasi ora. Lo stesso vale per le energie rinnovabili necessarie ad limentare le auto elettriche carbon-free».

Per Romm il problema principale è se i governi del mondo vogliono davvero mettere in atto le politiche necessarie per accelerare l’ingresso di queste tecnologie  per arrivare davvero a livello globale al picco della domanda di petrolio entro 10 o 20 anni, visto che il picco della domanda di greggio nei paesi industrializzati sembra essere stata raggiunta un decennio fa.

La ragione di tanto ottimismo sta nel pur “incompleto” storico accordo di Parigi, che secondo Romm innescherà riduzione sempre più forti delle emissioni di gas serra per mantenere il surriscaldamento globale «ben al di sotto di 2° C sopra ai livelli preindustriali», mentre i governi si sono impegnati «a proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1.5° C rispetto ai livelli preindustriali».

Romm fa notare che «mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2° C richiede essenzialmente a ogni paese di avere zero emissioni nette di combustibili fossili entro la fine del secolo. Gli attuali impegni di 186 Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo — Intended nationally determined contributions (Indcs) — sono solo il primo passo del cammino.

Le Indcs “appiattiscono” le emissioni inquinanti di carbonio entro il 2030. Non a caso, le emissioni globali di CO2 si sono stabilizzate negli ultimi due anni, il che suggerisce come uno spostamento globale dei finanziamenti da molti trilioni di dollari dalla crescita high-carbon a quella low-carbon sia già iniziato.L’umanità può già avere un precedente per lasciare volontariamente il combustibile fossile tanto prezioso nel terreno: il consumo di carbone globale sembra aver raggiunto il picco  nel 2013».

Il picco nel consumo di carbone è dovuto alla tendenza degli ultimi 10 anni nei paesi industrializzati a ridurne il consumo, e soprattutto alla recente brusca inversione del consumo di carbone cinese. Nei paesi Ocse, negli ultimi 10 anni, si osserva la stessa riduzione nel consumo di petrolio. Inoltre, la recente rapida crescita del consumo di petrolio nei Paesi in via di sviluppo rallenterà nei prossimi 15 anni, per poi calare come successo nei Paesi sviluppati. Anche perché, per avvicinarsi ai 2° C concordati a Parigi, il consumo globale di combustibili fossili deve iniziare a calare rapidamente dopo il 2030.

«Dato che l’inversione dei trend globali del carbone e del petrolio dipenderanno molto dalla Cina, e dal momento che la Cina è stato il principale motore della crescita della domanda di petrolio del mondo in via di sviluppo – dice Romm – significativamente, proprio per la sua recente politica per il carbone, dove la Cina è stata più motivata dal desiderio di ridurre drasticamente l’orrendo inquinamento atmosferico urbano che dalla sua volontà di evitare cambiamenti climatici catastrofici, il Paese sarà determinante anche per la sua politica petrolifera e nel settore dei trasporti. Dopo tutto, sono sia la combustione del carbone che veicoli sporchi che rendono la qualità dell’aria di città come Pechino estremamente malsana».

Questo è uno dei motivi per cui la Cina sta fortemente investendo sulle batterie e sui veicoli elettrici (Ev). L’altra ragione è che la Cina capisce il futuro low-carbon e zero-carbon e vuole diventare leader mondiale sia nella produzione che nell’uso di veicoli elettrici a batteria, così come lo è già per l’eolico il solare. Nel 2015 il mercato Ev cinese è triplicato e la BYD Auto Company, partecipata da Warren Buffett, a gennaio ha annunciato di essere diventata il più grande produttore Ev della Cina e del mondo, ed è convinta che il mercato Ev cinese raddoppierà quest’anno e ancora nel 2017 e 2018: questo significa che entro 3 anni le vendite di veicoli elettrici in Cina potrebbero superare il milione all’anno.

Jean-Francois Belorgey, un esperto di mercato automobilistico di Ernst and Young, sottolinea che «se la Cina si mobilita sulle auto elettriche questo poi porterà automaticamente a prezzi più bassi e avrebbe un effetto a catena positivo in tutto il mondo». Romm aggiunge: «Questo è esattamente quello che è successo nell’industria del solare fotovoltaico, che ha portato all’esplosione esponenziale dell’energia solare a livello mondiale in questo decennio». La stessa cosa potrebbe avvenire per le batterie e per le auto elettriche: «Sì, i prezzi del petrolio sono bassi, ma anche a questi prezzi i veicoli elettrici hanno ancora un costo di rifornimento per miglio molto più basso rispetto alle auto a benzina».

Romm affronta anche l’apparente contraddizione di un picco della domanda che si prospetta nonostante il calo dei prezzi del greggio: «Si potrebbe pensare che i prezzi del petrolio bassi alimentino un boom dei consumi di petrolio nei Paesi in via di sviluppo. Ma, come ha spiegato la scorsa settimana il Wall Street Journal, i prezzi bassi per il petrolio (e di altre materie prime) sono un male per le economie di molti paesi in via di sviluppo, soffocando la crescita della domanda».

Romm conclude che sul lungo termine ci sono due cose che contano di più: «Primo, i trend di batterie ed Ev continueranno certo a crescere in modo esponenziale. Secondo, il mondo sta iniziando a fare sul serio su come evitare cambiamenti climatici catastrofici ma non siamo ancora disperati, come sarà invece inevitabile negli anni 2020, quando la realtà dell’accelerazione del cambiamento climatico diventerà sempre più evidente, e la necessità di adottare politiche sempre più forti per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2 ° C diventerà sempre più urgente. L’idea del picco dell’approvvigionamento del petrolio – l’idea che il nostro limite (la domanda) del petrolio avrebbe superato la nostra possibilità (fornitura globale) – è morta . Sembra invece che l’Homo sapiens possa semplicemente essere abbastanza saggio da non arrivare all’eccesso, che possiamo lasciare volontariamente lasciar andare il petrolio (e il carbone) prima che distruggano un clima vivibile per le prossime 50 generazioni. Lo speriamo».