Riceviamo e pubblichiamo

Sulle Alpi «deciso calo del numero dei giorni con persistenza continua della neve al suolo»

Come il riscaldamento globale sta cambiando il turismo invernale sulle montagne italiane

[23 Dicembre 2019]

Esaminando i dati relativi al  periodo 1994-2018 –  dunque sufficientemente esteso temporalmente per trarre un segnale alla scala “regionale” –  si evince che relativamente ai quantitativi di neve fresca stagionale, la quasi totalità delle serie storiche mostrano un incremento delle cumulate stagionali, sia alle quote più elevate che alle quote medio-basse sin sui 1300 m. di quota). Allo stesso tempo, a causa dell’oramai accertato global warming, particolarmente intenso in montagna, risulta evidente un deciso calo del numero dei giorni con persistenza continua della neve al suolo, in particolare al di sotto dei 1400 metri di quota, eccezion fatta per le Alpi slovene dove il segnale è fortemente contrastato.

Ne risulta un numero di giorni sciabili naturalmente (vale a dire senza l’ausilio della neve programmata) sostanzialmente immutato oltre i 1600-1900 metri e lievemente in calo (mediamente circa un giorno all’anno) per le quote inferiori.

Di conseguenza, almeno per le are appena menzionate, il limite dei 100 giorni con sciabilità naturale garantita si pone attualmente intorno ai 1700 metri di quota. Tale segnale è simile lungo la catena appenninica  dove, in particolare nel settore grandi massicci abruzzesi, le cumulate nivometriche stagionali mostrano incrementi significativi ma irregolari.

In sostanza, ciò che risulta evidente da un approfondita analisi dei dati è che, nonostante inverni sempre più miti, si verificano stagioni caratterizzate da un fortissimo innevamento, peraltro concentrato in poche  ma intense fasi nevose – come è tipico dell’estremizzazione meteo-climatologica – che statisticamente determinano poi un trend in aumento della nevosità. In queste condizioni particolari, purtroppo, il manto nevoso risulta mediamente sempre più instabile e dunque gli episodi valanghivi sia naturali che provocati tendono ad aumentare in numero, con ovvio incremento del rischio per il fruitore della montagna.

di Massimiliano Fazzini, climatologo, geologo dell’Università di Camerino ed esponente della Società italiana di geologia ambientale (Sigea)